mercoledì 25 aprile 2012

Borbetomagus - Barbed Wire Maggots (1983)

L'aberrazione impro più radicale: più violenti di ogni forma di musica dura, più rumorosi del japa-noise che in effetti influenzarono, più estremista dell'industrial, i Borbetomagus sono tutt'ora un trio newyorkese che fa paura nel vero senso della parola. Questo è considerato il loro capolavoro, e per adesso non me la sento di esplorare altre incisioni.
Non oso immaginare, almeno a quei tempi, come doveva essere assistere ad un loro live: i due sassofonisti avevano le capacità polmonari di un maratoneta olimpico, non c'è altra spiegazione per le loro assurde, infinite iperboli atonali, dai toni più bassi (barriti pachidermici) a quelli più alti (squittii lancinati). Una delle loro tecniche preferite: appoggiare le rispettive bocche del sax l'una all'altra per creare nuovi mostri sonori.
Fra di loro, uno che definire un chitarrista è una parola grossa. Un generatore di feedbacks, di grumi elettrostatici, di nebulose elettromagnetiche.
Il primo risultato è il giudizio inascoltabile, ma già al 3°/4° ascolto si incomincia a capire qualcosa di più, specialmente nel finale quando la chitarra si ritaglia un'angolo di dominio quando nei 40 minuti precedenti è rimasta sopraffatta in lungo e in largo dai due fondisti. In ogni caso, non proprio gradevole, ma impressionante sì.

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