lunedì 12 novembre 2012

Peter Hammill - A Black Box (1980)

Sulla spinta emozionale causatami dal recente ascolto del box di 7 cd Pno Gtr Vox Box, mastodontico live solista, mi decido a riprendere in maniera un po' più marcata lo studio della sterminata discografia del mio eroe, su cui cronicamente ho delle lacune non indifferenti.
Pertanto passo sotto esame 4 suoi dischi indicati da più fonti come importanti tasselli, e significativamente posti a cavallo degli ultimi 4 decenni. La scatola nera in questione è uno spartiacque significativo: l'addio ai seventies, celebrato simbolicamente con la suite di 20 minuti Flight, e l'avvio agli eighties che sarà un decennio pregno di soddisfazioni e altissimi risultati artistici.
Il lato A è variopinto ed eccellente: si parte il fragoroso chitarrismo di Golden promises, replicato più tardi dalla power-ballad The spirit; si tratta di due pezzi fra i più accessibili e lineari del catalogo fino ad allora, fatti di un melodismo fresco e memorabile. Losing faith in words cresce con una progressione rabbiosa aritmica ed il fuzz vocale ruggente.
Ci si immerge in una nebbia inquietante con Fogwalking, a passi felpati fra drones minacciosi, e si esce con la solennità rabbrividente di In slow time, memorabile. Completa il quadro un paio di sperimentazioni fra le più ardite: The Jargon King è una selva di percussioni sintetiche in cui PH si muove incerto fra sdoppiamenti vocali e rasoiate chitarristiche. The wipe insiste sui battiti incessanti e sbatte su pulsioni cosmiche.
Su Flight c'è poco da dire: un po' depresso alla Over, un po' romantico alla A louse is not a home, un po' caotico alla Pawn Hearts, fa la felicità di chi ama il lato più teatrale e labirintico del Nostro.
Dall'anno successivo, con Sitting targets, la scrittura si fece più asciutta ed essenziale.


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