sabato 31 agosto 2013

Nic Potter - The Blue Zone (1990)

Destino non particolarmente grato, quello di Potter: eccellente bassista nei primi VDGG, se ne chiamò fuori nel momento artisticamente migliore, e poi ci rientrò quando però ormai la storia era al capolinea. Poi una carriera da session/touring man, dentro e fuori dai progetti di Peter Hammill, ed una manciata di dischi in proprio di cui Blue Zone è l'unico che sono riuscito a reperire.
Interamente strumentale ed a carattere fortemente accompagnatorio, qui la musica di Potter assume connotati di post-new age dalle orchestrazioni sintetiche, putroppo penalizzata dalle sonorità tipiche delle tastiere anni '80, che in questi contesti continuano a non fare bella figura neanche oggi che c'è la corrente ipnagogica...
Immagino Blue Zone come sottofondo a qualche documentario, anche perchè neppure la composizione brilla di una sua luce particolare. Insomma, Potter rimarrà impresso molto meglio come esecutore che come compositore. 
E pace all'anima sua, che se ne è andato all'inizio dell'anno.

venerdì 30 agosto 2013

Porcupine Tree - In absentia (2002)

La prima volta che ascoltai In absentia, rimasi molto confuso: Wilson aveva veramente bisogno di quei chitarroni per farsi sentire da un po' più di gente?
Non trovavo davvero opportuno il deciso inserimento di queste aspre muraglie, unitamente a ritmiche che sapevano tanto di tardo grunge, di crossover (che parola orribile, a ripensarci adesso) o di hard rock ipercinetico (finendo addirittura per assomigliare ai Cave In di Jupiter in più momenti).
A distanza di 10 anni, a mente fredda, la mia considerazione di questo disco sale, anche se solo in misura dignitosa. Il trademark melodico/sognante di Wilson non veniva del tutto sacrificato, ed un trittico di perle in stile prog-psych (Trains, The sound of muzak, Gravity eyelids) contribuisce al pieno salvataggio di un programma forse un filo lungo, ma articolato quanto basta per intrigare.

giovedì 29 agosto 2013

Popol Vuh - Letzte Tage - Letze Nachte (1976)

Incastonato in una agreste copertina con gregge di pecore, un altro piccola perla della seconda fase che, come Einsjaber... vede Fricke lasciare la scena principale al chitarrista/batterista Fichelscher, in un tripudio cinematico carico di enfasi.
Il piano del leader assume ruolo guida praticamente soltanto in un pezzo scomodamente intitolato Kyrie, come il punto più toccante di Hosianna Mantra. La Yun qui non è più sirena ammaliante, bensì imperante e solenne con decisione. La title-track assume connotati di precisa forma-canzone, rivelando un aspetto melodico che soltanto pochi anni prima probabilmente nessuno si sarebbe neanche immaginato.
Ma Fricke non era uomo da fossilizzarsi, ed anche se la qualità scese con gli anni, nei suoi dischi c'era sempre qualche gemma da scovare ed in generale il suo tocco d'arte inconfondibile.


mercoledì 28 agosto 2013

Popol Vuh - In den gärten pharaos (1972)

Prima di Brian Eno e del suo incidente stradale che racconta esser stato causa della sua folgorazione per l'ambient music, ci fu Fricke e i suoi due sodali (Fielder e Trulzsch) con queste due colossali suite dell'inconscio e del subliminale.
A passi da gigante verso la spiritualità ultraterrena di Hosianna Mantra, con la title-track si stabiliva un nuovo concetto di misteriosità musicale, fra ronzii di synth e bordoni di organo, attracchi di congas e la seconda fase contrassegnata da un rilassato (e splendido) motivo di piano elettrico.
Girando il lato, Vuh tramuta l'atmosfera in solenne contemplazione per organo tempestoso e piatti in libertà. Pionieri e non solo.

martedì 27 agosto 2013

Pop Group - For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder (1980)

Senza quel mostro di Y alle spalle, probabilmente di questo disco si parlerebbe come di una pietra miliare dell'avant-funk epoca new-wave. Invece è destinato a rimanere nell'ombra, e non è giusto. Perchè è stato meno radicale dello storico debutto, ma è travolgente fino allo spasimo ed ha mille trovate specialmente sul piano ritmico. Risente di un'influenza politica nella performance di Stewart, più impegnato a declamare i suoi salmi al vetriolo e meno a fare da avant-strumento, è meno collagistico e più compatto.
L'orchestra-foresta Pop Group non aveva comunque alcun timore di suonare già sentita, per carità. Questo è un labirinto inestricabile che non può che continuare a far porre interrogativi all'ascoltatore.

lunedì 26 agosto 2013

Pop. 1280 - The horror (2012)

Scovati sulla classifica del 2012 di Mattioli (e probabilmente i meno anormali della lista), sono un quartetto newyorkese che ha ben assimilato il noise-rock concittadino di 20 anni fa, ha aggiunto un bel po' della new-wave più ispida ed un tocco molto Birthday Party alla situazione.
Ne fuoriesce un disco dai toni ovviamente molto bruti ed affilati, con un vocalist fin troppo monocorde ma abbastanza aggressivo per emergere dal caos brutale del gruppo. Al primo ascolto coinvolge e sembra potente, poi si scopre che è un po' troppo schematico per eccitare più di tanto. 
Buono ma non da classifica di fine anno.

domenica 25 agosto 2013

Pontiak - Maker (2009) - + Echo Ono (2012)

La parentesi altamente introspettiva di Comecrudos non è stata preludio di alcuna metamorfosi di sorta: i Carney bros continuano a captare per aria e poi macinare quello che in maniera banale si può definire anche hard-rock, ma lo fanno dannatamente bene.
Che sia più propenso all'espansione psichedelica (Maker) o alla compattezza senza fronzoli e con ottime songs (Echo ono), non importa un granchè, perchè riescono sempre a fare ottimi dischi che suonano antichi ma contengono un segreto artigianale di quelli seri: ricordano mille nomi ma non ne viene mai in mente uno preciso. Può darsi che la lontananza dalle città abbia determinato questa grande atipicità dei fratelli Carney, cresciuti sicuramente a pane e anni '70.
Su Echo ono ci sono pezzi forti e taglienti come l'accetta del taglialegna e persino un paio di ballads evocanti santo padre Neil Young, ed in grado di competere con quelle degli amici Arbouretum, su Maker invece prevale un sentore di stoner delle foreste incontaminate, delle riserve di caccia montane.
Vien da chiedersi quanto potranno andare avanti con queste esplorazioni non sperimentali.

martedì 13 agosto 2013

Franco Falsini - Cold Nose (1975)

Chiudo per le vacanze col disco che più ossessivamente ho ascoltato negli ultimi 5-6 mesi, un tuffo negli immortali anni '70 che continuano a regalarci gioielli misconosciuti come questo (perlomeno io non lo conoscevo, un plauso alla specializzata Spectrum Spools per il ripescaggio).
Autore il fiorentino Falsini, chitarrista / tastierista dei Sensations' Fix, gruppo rimasto un po' ai margini del prog in quanto più orientati all'estero (canto in inglese) e dal suono non proprio affine al movimento. Cold nose è un'avventura stupefacente di psichedelia onirica, forse non adattissima al contesto per cui venne concepito (documentario sulla cocaina) ma che non può essere ignorata da chi ha amato / ama i giganti del genere. I movimenti dei synth richiamano la grande stagione tedesca, ma la vera protagonista è la chitarra di Falsini, che ondeggia altissima e culla l'ascoltatore con amore, lungo sentieri emozionanti fra blues dolente e psichedelia suprema.
I movimenti sono tre: melanconico e stratosferico il primo, tempestoso e cosmico il secondo, multiforme e sfaccettatissimo il terzo. Quando si arriva a quattro minuti dalla fine, la chitarra resta da sola e Falsini intona un flebile canto; il brivido è inevitabile.
Ristampa dell'anno 2012.

venerdì 9 agosto 2013

Polysick - Digital Native (2012)


Uno dei fenomeni più curiosi, ma per certi versi comprensibile, dei vari revival che si susseguono nei tempi è che a volte i migliori esponenti sono giovani che forse non erano neanche nati al tempo delle musiche che rincorrono o cercano di rigenerare. 
Potrebbe essere il caso di questo romano, che dalle foto mi sembrerebbe poco più che un ragazzetto; Digital native pesca con reti giganti da un immaginario elettro-analogico che nasce negli anni '80 con la library cibernetica e si protrae nei primi '90, fino alle pagine storiche della techno-ambient-acid. Il suono ineffabile e rotondo dei synth è solo la base primaria di quanto si ode lungo questa piacevolissima ora; anche la struttura delle tracce ha una sua importanza ed essa stessa permette di immergersi a tutto tondo, grazie anche ai minutaggi concisi, in quest'universo coloratissimo ed evocativo, a tratti con puntine di somiglianza col primo Aphex Twin. E quando la cassa inizia a pompare metronomica (Preda, Transpelagic), sembra davvero di stare dentro una di quelle Mental hours che ancora oggi mi fanno trasalire di nostalgia....

giovedì 8 agosto 2013

Polvo - Today's active lifestyles (1993)

I primi, già grandi Polvo, non erano molto più cervellotici di come sarebbero diventati qualche anno dopo: le melodie ci sono sempre state, soltanto che erano semi-nascoste sotto una dura scorza fatta di sincopi e convulsioni ritmiche, piegamenti e stretching chitarristici spinti al parossismo. 
In Today's active lifestyles ci sono tutti gli aspetti essenziali del loro sound, già un classico al primo vero album sulla lunga distanza. Il sapore delle loro sbilenche orchestrazioni dà ancora il gusto di un avventura unica e gli assalti all'arma bianca si fondono con le estensioni psichedeliche. 
Forse il loro disco più difficile e senza compromessi, più math.

martedì 6 agosto 2013

Planning For Burial - Leaving (2010)

Nascosto sotto un moniker che evocherebbe un gruppo grind si cela questo musicista dal nome sconosciuto che viene patrocinato dalla Enemieslist degli Have a nice life. Lo scopro solo adesso e lo consiglio a tutti gli amanti del duo anche se brilla di una sua eccezionale luce (o meglio dire, oscurità). Infatti non si tratta di somiglianza, ma direi più che altro di affinità espressive e perchè no, di sana angoscia. 
Il suo è un cantautorato doom-gaze, oppure slow-dark-core. La splendida traccia d'apertura, Wearing sadness, ha il passo tipico dei Codeine ma col surplus di una solennità totalizzante. Le cose si fanno subito più grevi con lo psicodramma valzerato di Memories you'll never feel again. Per essere un solista, PFB ha realizzato gli arrangiamenti con cura e gusto enormi. Le chitarre distorte (un po' Jesu, un po' Earth) sono al centro del suo mondo ma il piano e le tastiere hanno una loro importanza e tutto il disco è una sequenza di centri. Lo sludge di Oh Pennsylvania, il ruvido epico di Humming quietly, la scultura doom-ambient alla Nadja di We left our bodies. Infine ancora slow-core cosmico con Verse/Chorus/Verse e il quarto d'ora ambientale, passabile, della title-track.
Personaggio che condivide con gli HANL pure l'esiguità delle pubblicazioni (nonostante una discreta pletora di EP semi-carbonari, si aspetta ancora un secondo album), per me è già un semi-idolo.

Pixies - Doolittle (1989)

Apice o inizio del declino?
Fra le mille disamine, più o meno scientifiche, relative alla collocazione di Doolittle nella discografia, la mia è: ascoltare e divertirsi insieme a quei matti.
E' vero che il lato A è migliore, ma solo perchè ci sono gli anthem storici, quelli che restano impressi, sono doverosi ai concerti e vanno a finire nei best of, ed altre amenità del genere. Sono sempre teorie opinabili, dalle quali ci si può distanziare o meno.
Ciò che è innegabile è che da qui vanno estrapolate alcune pagine significative del manuale del pop-core, come Debaser, Tame, Monkey gone to heaven, Number 13 baby. Punto e nient'altro da dire.

domenica 4 agosto 2013

Pivot - O Soundtrack My Heart (2008)

Vengo a conoscenza di questo bel disco con notevole ritardo, ed ancora non ho ascoltato le altre prove di questo trio australiano che in foto sembra alquanto in difficoltà a far quadrare i conti ma sa il fatto suo in tema musicale.
Proposta atipica e abbastanza indefinibile: interamente strumentale salvo qualche coro in secondo piano, divisa fra elettro-rock sincopato alla Trans Am, groove enfatici alla Battles (o alla Holy Fuck, a seconda dei punti di vista), elettronica analogica antidiluviana, qualche aria epic-instru e persino qualche stralcio ambient. Il programma parte già eccitante a premetterlo così, e lo sviluppo delle cose fa aumentare la considerazione dei Pivot.
Secondo me l'emblema del disco è Epsilon: partenza lenta e soffusa, poi partono il ritmo incalzante ed il bellissimo tema solista. La cosa che colpisce di più del disco è che non si eccede mai in nessun verso nè si perde la bussola dell'equilibrio: tanti spunti diversi e idee che vengono messe in campo con una naturalezza davvero invidiabile.

sabato 3 agosto 2013

Pissed Jeans - Honeys (2013)

E' dura da accettare: 6 anni fa per me erano i campioni del mondo del noise-rock, poi nel 2009 un tonfo clamoroso col deludentissimo King Of Jeans, ed ora questo quarto album che non fa altro che farmi sprofondare nello sconforto: questi non sono più i miei Pissed Jeans.
Sono bensì un anonimo e mediocre gruppo di hardcore, che scimmiotta un po' i Black Flag ed al massimo può ricordare i Melvins più aggressivi degli ultimi 15 anni (quindi non esattamente un complimento) e a cui non è rimasto quasi nulla di noise.
Fry non incendia più la sua chitarra ma spara soltanto accordoni su riffoni, Korvette è sempre più rollinsionato, i pezzi sono piatti e senza alcuna fantasia.
Lo so, non avrei dovuto scrivere questo post ma a volte il dovere di cronaca è più forte.


venerdì 2 agosto 2013

Pink Floyd - Live Bootleg 1970-05-01 Santa Monica, California

Esistono almeno 3-4 versioni di questo concerto californiano, dai titoli più strambi (uno addirittura Since we were teenagers) e dalle scalette modificate; questo si intitola 1st Generation e dovrebbe essere il più completo oltre che di una qualità che, considerando la media dei Floyd di quegli anni, è abbastanza buona.
Sono almeno 10-15 anni che ho smesso di collezionare bootlegs, e questo per me è un revival giustificato dal fatto che  tempo fa in un blog lessi di questa versione primordiale di Atom heart mother, che qui si chiamava ancora The amazing puddling ed era priva della sezione fiati che di lì a poco li avrebbe accompagnati in giro.
La struttura portante era comunque identica alla versione finale definitiva, con i riff compatti di Gilmour in evidenza durante il refrain principale e il suo falsetto al posto del coro collettivo nella fase mistica intorno alla metà. Resa finale curiosa, ma nulla di sconvolgente.
Per il resto nella scaletta non ci sono grandi sorprese, a parte una Interstellar overdrive sfigurata ed allungata fino ai 15 minuti e l'assolo di Gilmour in A saucerful of secrets sostanzialmente diverso. Differenze che interessano soltanto ai feticisti, e non mi ritengo tale. Sono soltanto un grande appassionato dei live.

giovedì 1 agosto 2013

Picchio Dal Pozzo - Picchio Dal Pozzo (1976)

Dadaismo in Italia? Negli anni '70 tutto era possibile, ed infatti accadde (seppur con moderazione) con questo gruppo genovese che attenzione, non è da catalogare unicamente alla voce progressive italiano ma in area più riservata.
Ovviamente non siamo a livelli iconoclasti che li elevino a nome storico (fecero soltanto due dischi), però a  testimoniarne la statura sta il semplice fatto che la prestigiosa Cuneiform ne abbia stampato un live una decina d'anni fa. In questo primo album siamo in presenza di un jazz-prog dai mille risvolti e dalle tante angolature, specialmente nel primo lato e con la suite Seppia in evidenza.
Unn deciso approccio favolistico, presente soprattutto nel secondo lato inferiore a livello di sorprese, finisce per avvicinarli più al prog melodico; le lunghe ed elaborate strutture con arrangiamenti bizzarri coinvolgenti tutti gli strumenti (spicca Napier da questo punto di vista) rendevano comunque i PDP un'espressione italiana piuttosto unica dei tempi.