La prima volta che ascoltai In absentia, rimasi molto confuso: Wilson aveva veramente bisogno di quei chitarroni per farsi sentire da un po' più di gente?
Non trovavo davvero opportuno il deciso inserimento di queste aspre muraglie, unitamente a ritmiche che sapevano tanto di tardo grunge, di crossover (che parola orribile, a ripensarci adesso) o di hard rock ipercinetico (finendo addirittura per assomigliare ai Cave In di Jupiter in più momenti).
A distanza di 10 anni, a mente fredda, la mia considerazione di questo disco sale, anche se solo in misura dignitosa. Il trademark melodico/sognante di Wilson non veniva del tutto sacrificato, ed un trittico di perle in stile prog-psych (Trains, The sound of muzak, Gravity eyelids) contribuisce al pieno salvataggio di un programma forse un filo lungo, ma articolato quanto basta per intrigare.
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