Progetto collaterale ai God del sassofonista inglese Kevin Martin, ma contenente un peso massimo di quei tempi quale Justin Broadrick. E come quasi tutto ciò che il Godflesh-head realizzava, era contrassegnato da una ferocia metallica e da una contaminazione difficile da immaginare prima.
Al punto che mi sembra più corretto parlare di collaborazione fra i due, perchè le pesanti chitarre hanno un ruolo portante. Erano semmai le ritmiche a differenziare Under the skin dai Godflesh, oltre che un senso della dilatazione temporale che fa sospettare che la natura dei pezzi (tutti fra i 6 e i 13 minuti) sia quasi improvvisativa. Alcuni frangenti ricordavano gli Scorn di Vae Solis.
Era comunque un esperimento molto ardito, non meno dei gruppi principali dei due. La riuscita fu leggermente inferiore, tant'è che ci fu soltanto un altro episodio cinque anni più tardi e poi più nulla. Under the skin è comunque un capitolo importante di quella stagione coraggiosa e fruttifera dell'Inghilterra più violenta che si sia mai sentita.
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