venerdì 30 dicembre 2016

Miracle Condition ‎– Miracle Condition (2009)

La parentesi di Mark Shippy, spalleggiato dal primo batterista degli US Maple Pat Samson e da uno (intuisco bassista) sconosciuto dottore in bioinformatica, tal Matt Carson. Per loro un album, un EP e una distanza siderale da quanto realizzato nel glorioso passato e nell'immediato futuro (cioè Invisible Things).
Il sound di MC è infatti contrassegnato da una specie di shoegaze-ambient-post-rock davvero inaspettato per gli standard di Shippy; eppure col senno di poi, anche se non la ricorderemo come la sua cosa più memorabile, appare chiaro che si trattava di una fase sincera e genuina.
E poi si sa, un fuoriclasse lo è anche in trasferta. Il disco è una parata di tanti stili; l'epic-instru più alto (reminescenze Explosions in the sky scorrono un po' per tutta la scaletta), l'indie-rock più confidenziale degli anni '90 fino a lambire le stasi dello slow-core (Anthem) o i balzelli art-pop di derivazione Three Mile Pilot / Pinback (The Wandering Y, Assignment), i cumuli shoegaze-core (Arrival), stratosfere che Halstead invidierebbe a morte per un ipotetico nuovo Slowdive (Into the bay), per terminare con l'unico pezzo in cui fa capolino la pazzia rimasta latente altrove, Alphaspectra Rising che in 8 minuti fa un mini-riassunto ed aggiunge una grinta ed un dinamismo quasi alieno in un disco che sarà riservato agli amanti dei sopracitati e forse meno a quelli di US Maple, ma è fatto maledettamente bene.

mercoledì 28 dicembre 2016

Stormy Six ‎– Al Volo (1982)

I nostri rappresentanti del RIO all'ultimo album, esemplare dimostrazione dell'eclettismo di una formazione che attraversò i '70 compiendo l'impresa di non esser mai stata incasellata completamente.
Due anni dopo l'iconico contributo alla lega europea Macchina Maccheronica, gli Stormy Six avevano già cambiato pelle allineandosi alle tendenze anglosassoni più ricercate: Al Volo è un disco di canzoni in tutto e per tutto, dal minutaggio contenuto e dopotutto anche abbastanza accessibili, ma fu tutto fuorchè un colpo di spugna. Le ritmiche complesse e gli schemi irregolari dei King Crimson correnti, quelli di Discipline, unite ad una sensibilità armonica che a tratti sembra rasentare i lavori solisti sempre contemporanei di Peter Hammill, rendono Al Volo un disco forse unico nella storia italiana (Math-pop??). Al punto che lo scioglimento immediatamente successivo lascia dei rimpianti per cosa avrebbe potuto fare una band che spiritualmente era l'antitesi perfetta degli anni '80, ma che con uno schiocco di dita li aveva intrapresi con sapienza e carisma. Obbligatorio porre un orecchio attento alle liriche. Che peccato.

lunedì 26 dicembre 2016

Grails ‎– Doomsdayer's Holiday (2008)

In piena fase di maturazione, tre anni prima del loro capolavoro e già ben oltre i primi incerti passi, i Grails sfoderavano un disco fortemente eclettico, fra crudezze post-stoner (la title-track), cataclismi esotici (Reincarnation blues), clamorosi recuperi dal sapore progressive (The natural man), paesaggi desertici da mozzare il fiato (X-contamination), un anticipo deciso delle atmosfere più cinematiche e rilassate (Acid Rain), e soprattutto il titanico medio-oriental-core Predestination Blues. Una scaletta forse un po' frammentaria, ma che strega per le svolte improvvise e dopotutto necessaria per la crescita di questa band dalla quale speriamo di risentire qualcosa di nuovo prima o poi. Ciclopici.

sabato 24 dicembre 2016

Leyland Kirby ‎– Lost Moments, Errors And Accidents #001 (2009)

Uno degli svariati regali di LK ai sottoscrittori della mail list della sua HAFTW. Lo stile di competenza è quella romantico-intimista del mastodontico Sadly, the future is no longer what it was, uscito lo stesso anno. Quindi bozzetti per piano, espansi e meditabondi, che annullano qualsiasi concezione del tempo e che fanno vibrare le corde più recondite dell'anima. Un soffio discreto di elettronica costituisce il fondale funzionale a supportare, quando opportuno.
Dal triplo sopracitato viene estratta una versione alternativa di When did our dreams, impolverata da una soffice coltre di nebbia. Come recita il titolo, si tratta comunque di una raccolta, si intuisce che le tracce derivano da registrazioni non univoche, eppure sono due ore di malinconia e disincanto che stregano senza sosta. Con uno dei trionfi più memorabili dello spleen di LK, non a caso nella traccia più lunga, la sterminata Deeper Still Into A Place Where Nothing Is As It Seems che si dipana per 25 minuti con gentilezza infinita e candore cosmico. Culto ormai senza parole .

giovedì 22 dicembre 2016

Chameleons ‎– Script Of The Bridge (1983)

Quasi in tutti i generi ci sono sempre stati dei ritardatari che sono arrivati lunghi ma hanno saputo far strabuzzare gli occhi. In ambito new-wave inglese di sicuro la palma va ai Chameleons, quartetto che arrivò all'esordio con 3-4 anni di ritardo ma lo fece con un capolavoro dalla copertina fuorviante, progressive in tutto e per tutto.
I riferimenti principali erano Echo & The Bunnymen e i Sound; due chitarre espanse e cristalline, ritmiche squadrate e nervose, pezzi epici e di grande respiro, che non avevano nulla da invidiare ai suddetti. La media di Script of the bridge è impressionante: a parte il poppettone Up the down escalator, probabilmente destinato al lancio commerciale, tutte le 11 tracce sono formidabili, con speciale menzione per Here Today, Second Skin, Pleasure and pain, As high as you can go, A person isn't safe..., Paper Tigers, impregnate di quella malinconia e senso di decadenza che solo il miglior post-punk inglese ha saputo esprimere. 
Pietra miliare.

martedì 20 dicembre 2016

Catapilla ‎– Changes (1972)

Sestetto londinese che come una scheggia realizzò due album su Vertigo e poi si sciolse. Una congiunzione astrale come solo in quegli anni poteva accadere: suono jazzato in mano a musicisti bravi ma non tecnico/virtuosi, composizioni dilatate in forma di jam ma ben organizzate, per poco meno di 40 minuti di pura magia la cui unica lacuna è quella di avere i pezzi sfumati allo stesso minutaggio (A1 è tagliato esattamente come B1 e stessa cosa per i n. 2, ma di sicuro fu una scelta manageriale ed in quegli anni i responsabili facevano più danni della grandine).
Certe alchimie dei Settanta ebbero il tocco dell'immortalità. Rispetto al primo album, più esuberante nelle orchestrazioni, la formazione era cambiata per metà ma la leadership era sempre in mano al sassofonista Calvert ed al chitarrista Wilson; il primo marchiava a fuoco con le sue frasi languide, il secondo saliva in cattedra in punta di piedi ma con uno stile memorabile. Strumentisti discreti, strateghi tattici, mai sopra le righe, mai un passo più lungo della gamba, il gusto sopraffino al comando; la cantante Meek una sirena fascinosa e carica di mistero (sembrerà un parallelo improbabile, ma io ci sento le inflessioni più free di PJ Harvey).
Nè jazz, nè Canterbury, nè psichedelia, nè prog, Changes è un istantanea che la storia non dovrebbe mai ignorare: si provi ad ascoltare It could only happen to me e si troveranno certe soluzioni che l'anno successivo i Pink Floyd fecero proprie in The dark side of the moon.

domenica 18 dicembre 2016

Agamotto ‎– Agamotto (2012)

Ma con quei cappucci, vorrebbero loro essere i Sunn O))) italici?
Il parallelo ci può stare ma solo in superficie: sotto il drone statico di Solomon grundy, l'opener, si agitano frattaglie solo in apparenza metalliche, vibrazioni dark-ambient, catene catacombali, per un inizio davvero orrorifico. La paura diventa realtà con i 14 minuti di Eric Dolphy, un'abisso ambient-metal fatto di saturazioni che si dimenano come serpenti, sirene navali, sonagli e voci ansimanti. E poi i 19' di Antonio Margheriti, una gigantesca allucinazione sottopelle che, non so perchè, mi ha ricordato le messe nere di David Tibet in Nature Unveiled. Ecco il punto: non saranno forse stati i primi a mixare metallo ed esoterismo, ma il risultato è imponente, di quelli che si ricordano. Eccellente Agamotto.

venerdì 16 dicembre 2016

Slowdive ‎– Pygmalion (1995)

La grandezza degli Slowdive non va misurata soltanto nel fattore guardati-le-scarpe e non soltanto nel miliare Just for a day, ma anche nel coraggio di fare uno dei capolavori più misconosciuti dei nineties come Pygmalion, dopo quel Souvlaki che vedeva il gruppo ancora in ottima forma ma un po' confuso sulla direzione da intraprendere, forse distratta anche dall'ingombrante presenza di Eno. Con questo terzo rinnegarono di fatto quanto realizzato in precedenza e si diedero ad un ambient-rock trasognato sotto la loro lente, che assimilava la lezione degli ultimi Talk Talk, dei Bark Psychosis di Hex e che clamorosamente anticipava persino certe atmosfere criptiche che i Radiohead portarono alla ribalta qualche anno dopo. C'è poco da spiegare sul contenuto. lunghe e circolari composizioni minimalistiche nella struttura, poche stratificazioni, grande enfasi sulle trovate melodiche sempre brillanti di Halstead. Qui sotto di video ce ne metterei 9, di video. Ovvero quanti i titoli in scaletta.

mercoledì 14 dicembre 2016

Zak Riles ‎– Zak Riles (2008)

Il chitarrista dei Grails nell'unica uscita a suo nome, su Important Records. Prettamente acustico col fingepicking in primo piano, pregno delle fragranze indianeggianti e misticheggianti che hanno permeato il repertorio padre grosso modo fino all'anno di uscita. Al primo ascolto, ho pensato: bello, una raccolta di spunti su di cui il gruppo avrebbe potuto ricavare un ottimo disco, peccato che resti un po' incompiuto. Al secondo ascolto, ho smesso di immaginarmi la batteria di Amos e mi sono lasciato abbandonare all'espansione arrendevole dell'animo inquieto di Riles, ricavandone sensazioni ed aromi inebrianti soprattutto nella seconda metà del disco, in cui il fingerpicking lascia spazio a soluzioni più aperte e ad arrangiamenti più corposi. E' il destino dei dischi che hanno il contenuto migliore nel finale: ti lasciano con un gran bel sapore nelle orecchie.

lunedì 12 dicembre 2016

Ultravox! ‎– Ha!-Ha!-Ha! (1977)

Quelli con il punto esclamativo, retaggio di un tributo Neu!. Mica quelli senza, col synth-pop, senza John Foxx. Quelli che si trovavano nell'anno del punk a formare un incrocio temporale fra new-wave in piena nascita, sfuriate di rock stradaiolo, vampe di glam, soffi di romanticismo. Memorabili Artificial Life e Distant Smile. Foxx un dandy-punk istrionico, la band trascinante e polivalente. Un disco che ho conosciuto molto molto tardi, poco tempo fa e che mi avrebbe fatto impazzire quando, giovincello, scoprivo la new-wave per conto mio, senza una guida.

sabato 10 dicembre 2016

Boris – Noise (2014)

Avevo lasciato un po' in disparte i miei amati Boris negli ultimi 10 anni. Troppi dischi, qualche caduta di tono e li avevo già belli considerati andati per il loro destino. Soltanto un paio di anni fa con questo Noise sono tornati ad entusiasmarmi, con un disco che paradossalmente è uno dei più normali che abbiano mai realizzato. Emo-power d'assalto (Melody, una bomba in apertura), ballad crepuscolari di orizzonte immenso (Ghost of romance), doom in rosa-shocking (Heavy Rain, cantata da Wata), pop sornione (Tayio no baka), la proverbiale suite epico-psycho-metal (Angel, 19 minuti), il trash-metal come solo loro possono farlo (Vanilla, Quicksilver). Sostanzialmente nulla di nuovo o che pensavamo non potessero fare, con l'energia dirompente che non cede mai e le aperture melodiche sempre di grande effetto. 40 anni e non sentirli.

giovedì 8 dicembre 2016

Manuel Göttsching ‎– E2–E4 (1984)

Disco-santino per Christian Zingales, ed apro una parentesi. Il simpatico redattore di BU, in possesso di un linguaggio colorito, fantasioso (a volte persino un po' troppo enfatico, ma si sente che c'è una grande passione...), non sarà certo uno con cui condivido la maggior parte dei gusti, ma in certi casi mi ha fatto scoprire grandi perle come questo. Gottsching, uno dei chitarristi guru della stagione dorata krauta con gli Ash Ra Tempel, prese la sua strada di sperimentazione elettronica solista ed al contrario della stragrande maggioranza dei compari che scendevano in un declino impietoso, sfornava un capolavoro come E2-E4.
Santino non solo per Zingales; per i pionieri della techno-trance, per tutti gli hypnagogici-hauntologicy degli ultimi 10 anni, e perchè no? Anche per gli amanti del minimalismo, perchè si tratta di un pezzo lungo un'ora basato sullo stesso poliritmo sostenuto e due-accordi-2 di tastiera ripetuti all'infinito. Sopra di essi, variazioni di synth, glitches di varia natura e dulcis in fundo, un lunghissimo assolo di chitarra a cavallo dei 40 minuti; chitarra che Gottsching fa volare bassa come un deltaplano, pulita e snodata; la ciliegina sulla torta di un viaggio che non si può non ascoltare 3-4 volte di seguito, tanta è la dipendenza che sviluppa istantaneamente.

martedì 6 dicembre 2016

Pop Group ‎– Citizen Zombie (2015)

Li avevamo visti dal vivo nel 2009 e già allora era stato annunciato un fantomatico nuovo disco, The Alternate, mai uscito. L'anno scorso invece sono tornati per davvero con Citizen Zombie, che ha confermato le (almeno mie) previsioni: un rientro dignitosissimo, ben lungi dallo scatenare sismi del passato, gradevole e per nulla ostico. Bene o male la tendenza è quella degli Wire attuali: fare sfoggio delle proprie radici con un'autoironia (almeno a me) palpabile; sessantenni che vogliono riappropriarsi di quanto crearono in quelle formidabili annate, che hanno ritrovato il piacere di riunirsi. La formazione poi è ben 4/5 di quella originale, manca solo il secondo chitarrista Waddington che evidentemente non ce l'ha fatta.
Citizen zombie è divertente, frizzante e ben assortito. C'è il funk, i ritmi squadrati e quelli fratturati, ci sono gli spasmi tipici e c'è Mark Stewart a suonare la sua voce. Magari fra qualche anno ce lo saremo anche dimenticato, ma un rientro bello va sempre salutato col cappello.

domenica 4 dicembre 2016

Screams From The List 53 - Silberbart ‎– 4 Times Sound Razing (1971)

Una manciata di gradini sotto gli inarrivabili Guru Guru di UFO c'è un altro power-trio tedesco che non ebbe però l'occasione di bissare quest'unico album. Certo, rispetto ai titanici sballomani con 4 Times sound razing siamo in presenza di un sound più umano, per così dire; trattasi di un hard-rock sostanzialmente asciutto e potente, ma complesso ed arzigogolato: la chiave di lettura era la smarcatura efficace dai più abusati clichè blues-rock; una virulenza esecutiva che aveva del sovrannaturale rendeva i tre persino antesignani dell'heavy-metal (in rete ho persino letto proto-noise-rock), grazie anche alla voce arrochita fino al singulto del chitarrista Teschner. Pressochè inevitabile per i fan più liberi da prevenzioni dei Black Sabbath, ma anche ai cultori del rock psichedelico (le fasi più sballate all'interno dei lunghi pezzi docet, ma anche la cantilena zombie alla We Will Fall di Brain Brain, il brano più sperimentale).
In una parola, tremebondo.

venerdì 2 dicembre 2016

Mirrorring ‎– Foreign Body (2012)

Conosco molto bene Liz Grouper Harris, mentre sono totalmente all'oscuro di Jesy Tiny Vipers Fortino; per lei due album su Sub Pop alla fine del decennio scorso, e poi più nulla a parte questa (chissà se estemporanea) collaborazione fra le due, sotto la sapiente egida Kranky.
Difficile quindi asserire per me quanto Foreign body esprima dell'una e dell'altra; ciò che conta è che si tratti di un disco ispirato, pregno di quelle intense sensazioni galactic-drone-folk che la migliore Harris ci ha saputo regalare nei suoi momenti migliori ma anche più ancorato a terra per la voce intensa della Fortino, forse responsabile anche di momenti acustico-asciutti (Silent from above, incantevole) e più stilisticamente legata alla tradizione, ma con una sensibilità rilevabile all'istante.
Si evince, quindi, un disco più Grouper ma con la curiosità di pensare come sarebbe stato con più Fortino; in ogni caso molto molto bello, con la speranza che non sia stato uno one-shot.