giovedì 30 marzo 2017

Æthenor ‎– En Form For Blå (2011)

Musiche composte automaticamente, recita (con un po' di vanità, diciamocelo) il booklet del quarto album degli Æthenor. Come verificai in sede live qualche anno fa, il corso profondamente cambiato al contempo del rimescolamento della line-up ha visto creare una forma di suono nuova, inusitata ed all'altezza dei personaggi. Per l'ormai ex-progetto collaterale di dark-hypnotic-ambient, O'Malley e O'Sullivan hanno acquistato Rygg (manipolatore elettronico, anch'egli in forza agli Ulver) ed il veterano batterista inglese Noble (un passato remoto nel funk-wave bianco ed una carriera stabile nell'avant-jazz); fatta base in Norvegia, i quattro fanno sfracelli e coniano questo suono sgusciante ed astratto, cerebrale ma anche fisico, soprattutto grazie a Noble. Il live-report sopra citato vale come sintesi di uno stile pressochè indefinibile, probabile frutto di improvvisazioni neanche tanto concordate. Musiche che rapiscono, automaticamente.

martedì 28 marzo 2017

Faust ‎– The Faust Tapes (1973)

Il fantomatico disco-non-disco con cui la Virgin introdusse il mondo stregonesco dei Faust in Gran Bretagna. Dato che si trattava di registrazioni a costo zero poichè effettuate in casa, la Virgin lo mise sul mercato ad un prezzo stracciatissimo, un operazione un po' discutibile ma che di fatto ottenne l'effetto desiderato: divulgare il verbo Faust fuori dalla Germania.
E tal verbo, in quel pugno di anni gloriosi, era l'arte ed il fulmine della sperimentazione pazzoide e dell'anarchia più sfrenata. Tapes, pur nella sua natura precaria di antologia d'archivio, inquadra alla perfezione il contrasto che era il carburante del caos creativo in seno al gruppo: la sensibilità musicale di Sosna contro la follia degli altri, in un cut and paste alternato ed avvincente, composto di 26 tracce tutte molto brevi che non fai in tempo ad assimilare che già sono bell'e passate. Non merita di essere trattato come un capitolo minore, anche se loro stessi si preoccuparono di segnalarlo come tale: qualunque cosa potessero aver realizzato in quegli anni, era un concentrato di lungimiranza inestimabile.

domenica 26 marzo 2017

Soft Moon ‎– Deeper (2015)

Terzo disco per Luis Vasquez e terza volta in cui affronto l'ascolto con previdenza, superficialità e poca attenzione, salvo poi dovermi ricredere ed ascrivere di nuovo il monicker Soft Moon ad una delle più brillanti operazioni di recupero dalla dark-wave degli ultimi 10/15 anni.
Temevo un'iniezione innaturale di elettronica nel suono di Deeper, che probabilmente avrebbe deluso me ed altri gothicconi inguaribili che si emozionano ancora a sentire una mutuazione dei Cure della trilogia. Qui ce ne sono diverse: Far, Try, Wasting (in verità più altezza Disintegration), Being, la sospesa e magnifica Without. La suddetta elettronica resiste, ma in dosi esclusivamente funzionali nel resto dei pezzi che sostano fra synth-pop e cyber-industrial di gran razza, anche grazie alla produzione piena e rotonda che restituisce giustizia a dei suoni che in origine furono penalizzatissimi. Un altro centro per il mexican boy.

venerdì 24 marzo 2017

Gaseneta – Sooner Or Later (Recorded 1978)

Fantomatico quartetto giapponese che non pubblicò nulla in vita, e del quale si sa pochissimo a livello biografico. Già di per sè è difficile ottenere info sulle bands nipponiche, figuriamoci andando così indietro nel tempo; in questa raccolta pubblicata dalla PSF nel 1991, ad esempio, non si sa neanche il nome del batterista. Ciò che è importante è la sostanza recuperata su nastro; un acid-lo-fi-punk esponenziale, suonato a rotta di collo, che ai tempi poteva avere ben pochi concorrenti in materia di violenza a livello mondiale.
Ciò giustificato senza alcun dubbio anche dalla voce di Yamazaki, un grugnito maniacal-isterico similare a quello del vocalist degli Aburadako. Il supporto del trio è punk, c'è poco da dire, ma di quello a  ritmi folli (col bassista Hamano in evidenza, che contemporaneamente faceva parte della prima formazione dei Fushitsusha, e ho detto molto) e con una chitarra acidissima che quando va in assolo spacca vetri a 360°.
Diverse tracce sono ripetute, ma ovviamente sono in alternate takes ed oltretutto a diverse velocità. Schegge impazzite, imprendibili. La solita storia: solo il Sol Levante poteva etc etc etc....

mercoledì 22 marzo 2017

Inutili ‎– Elves, Red Sprites, Blue Jets (2016)

Trio di mattacchioni abruzzesi che con fare pacioso e divertito giocano con una nutrita serie di luoghi comuni del passato. Mi si passi i termini, magari gli Inutili prendono la loro musica molto sul serio, ma io la vedo così. Già il nome del gruppo stesso è memorabile. Al primo ascolto sembra una band di bassa lega, al secondo già la considerazione sale parecchio, al terzo la simpatia è inevitabile ed alcuni motivi restano in testa.
Il garage è il punto di partenza; selva di chitarre, ritmiche scalcinate, chiasso generale e caos organizzato. La prima metà del disco è quella grosso modo classica: Velvet Underground, l'indie-rock americano più slacker degli anni '90 (vengono in mente gli Strapping Fieldhands), Jon Spencer Blues Explosion, Sonic Youth, addirittura i Doors.
Nella seconda metà i ritmi si allentano, si allentano anche i cordoni di tenuta ed il suono si slabbra, compaiono delle tastiere astruse; è la controparte sperimentale degli Inutili. E' chiaro che non sono degli innovatori, ma alla fine guadagnano un loro stile che va oltre la miriade di influenze.

lunedì 20 marzo 2017

Harold Budd ‎– Lovely Thunder (1986)

Viene solitamente indicato come un disco minore di HB, forse perchè registrato con l'ausilio di sole tastiere elettroniche e (poco) piano, oppure perchè quell'immenso debutto ha costituito una pietra di paragone troppo ingombrante.
Eppure, se ci si abbandona senza alcun preconcetto all'ascolto, Lovely Thunder è magia pura. Soltanto Sandtreader va annoverata come una delle sue meditazioni più serene, ed in parte anche Ice floes in eden. Gran parte della raccolta vede un Budd cupo, ad un passo dalla tempestosità, con una ambient da finta quiete prima della tempesta: Flowered knife shadows, The gunfighter, Valse Pour Le Fin Du Temps e la lunghissima Gypsy Violin vedono la sua indicibile grazia e compostezza asservirsi di arie maestose e minacciose. A mio avviso la sua prova migliore degli anni '80.

sabato 18 marzo 2017

Aluk Todolo ‎– Occult Rock (2012)

Il black-metal, si sa, può essere un'ottima palestra giovanile per sviluppi di vario tipo. Ce lo insegna la storia, con casi clamorosi come gli HANL. I francesi Aluk Todolo da lì provengono e con questo programmatico rock occulto hanno coniato un sound furibondo e ricco di sfaccettature.
Il trampolino di lancio sembra essere la propaggine più oscura ed urticante del rock tedesco '70, come i primi Ash Ra Tempel o meglio ancora gli Amon Duul II di Yeti; scomodare paragoni così scomodi può fuorviare, senza dubbio. Però gli 80 e passa minuti di Occult Rock non sanno di vintagismo, bensì spaziano in tante altre direzioni, post-metal, space-rock, epic-instru, con unico comune denominatore la psichedelia pesante, a tratti oppressiva. La chitarra di Riedacker disegna scenari apocalittici, la sezione ritmica tiene le fila delle architetture. E' un ottovolante di ottanta minuti che riesce a non tediare quasi mai. Non rivoluzionerà nulla, ma è una voce personale e penetra sottopelle, progressivamente.

giovedì 16 marzo 2017

Insides ‎– Clear Skin (1994)

Un'altro disco santino di Zingales, che rapidamente faccio altrettanto mio. Una di quelle mission inglesi che soltanto in quegli anni potevano uscire, che avrebbe fatto un figurone sulle Mental Hours, giustamente paragonato per i suoni a Global Communication, e che per attitudine io aggiungerei da affiancare al santone E2-E4 di Gottsching: diversi i punti in comune. Il pezzo unico, strumentale, che trae le fondamenta dal minimalismo, che intercala figure ricorrenti, cresce inesorabilmente con piccoli dettagli che affiorano a poco a poco, che manco te ne accorgi ed è cresciuto, evoluto, strega ed incanta.
Autori di siffatto gioiello un duo misto che nella propria breve vita ha realizzato soltanto tre album; per inquadrarlo direi un felicissimo incontro fra il dream-pop, l'ambient e la trance, con la chitarra protagonista ad intarsiare figure angeliche. Un sogno ad occhi aperti.

martedì 14 marzo 2017

Daniele Brusaschetto ‎– Fragranze Silenzio (2010)

Qualche mese fa, in una monografia su DB su Blow Up, l'ermetico redattore Capuano tracciava la storia del torinese evidenziando uno spartiacque ben preciso a metà anni Zero, ovvero il momento in cui si rese conto di non poter sopravvivere di musica. C'è un verso su Fragranze Silenzio in cui canta le mani sporche di lavoro...Destino ingrato per un artista che da vent'anni propone il suo personalissimo cantautorato semi-industriale bilanciato fra elettronica e strumenti suonati, e che ha saputo dimostrare capacità melodiche forse neanche troppo sviluppate, probabilmente perso in un trip troppo originale per sapersi anche solo avvicinare alle conformazioni.
Melodie che in Fragranze silenzio escono timide in tutto il suo indolente intimismo, come un fiore che sboccia alla fine dell'inverno. Spazio ai beats sintetici, ai glitches, alla voce fantasmatica, ai clangori ora smussati, alle nebbie soniche e a piccoli gioielli come Cauterization, Clouds, Fiori finti, Ali di mosca. Unico neo la finale title track, 16 minuti di drone-doom immobile e leggermente tedioso. Ma prima di essa, fragranze molto molto gradite.

domenica 12 marzo 2017

Magma - Live in Paris June 1975

L'apoteosi dell'apocalittico Magma-sound non poteva che essere ottenuta dal vivo, in cui la classe del gruppo di Vander usciva inesorabile, quasi superiore alle già ricche e complesse prove in studio. La formazione che registrò una serie di concerti a Parigi nei primi di Giugno del '75 vedeva la temporanea uscita di Jannick Top, sostituito però prodigiosamente da quel Paganotti che poi, dopo aver strappato un credito compositivo su Udu Wudu, andò a formare gli eccellenti Weidorje. Il suo stile era meno animalesco di Top, più raffinato e comunque altrettanto incisivo. Insomma, stiamo parlando di due fenomeni.
Al di là dell'economia fondamentale del basso, il live parla la lingua kobaiana in una summa esaustiva di quanto realizzato fino a quel momento. Ci sono i lunghi estratti delle temibili Konthark e Mekanik, c'è persino un recupero del primissimo (passabilissimo) album che fa un'ottima figura, la pastorale Lihns a stemperare l'oppressione, l'articolata sinfonia celestiale Hhai. Sugli scudi tutti i membri, soprattutto il violinista Lockwood, ma è quasi superfluo ribadire la coesione impressionante di un gruppo così dipendente da un unico compositore.

venerdì 10 marzo 2017

Fire! Orchestra ‎– Exit! (2013)

Progettone messo in piedi dal fiatista di fama mondiale Gustafson, che con questo primo ha guadagnato la palma di disco dell'anno per BU. Registrato dal vivo in studio da parte di un ensemble di una ventina di elementi quasi tutti svedesi, Exit! ha avuto l'ambizione di aggiornare il jazz da big band ai giorni nostri con due lunghissime suite. 
Traguardo raggiunto perfettamente: Part one parte con passo felpato, in parte imparentato col jazz classico, con svisate di fiati, voce femminile e piano alla Abrahams in primo piano. Dopo una pausa, l'orchestra riparte sorniona cambiando il tema e chiude con eleganza.
Ma è la tempestosa Part two a sbancare, con un ritmo tumultuoso che taglia momentaneamente i ponti col jazz, un maelstrom incessante di caos organizzato. Un'altra pausa a circa metà e poi la ripartenza con la disintegrazione della composizione, è la parte impro che manda tutto a catafascio. Per me magari non disco dell'anno 2013, ma da top ten sì.

mercoledì 8 marzo 2017

Gastr Del Sol ‎– The Serpentine Similar (1993)

Quasi strano, non ricordavo che nel primo GDS non c'era O'Rourke, ma Bundy K. Brown, uno dei padri putativi del post-rock dell'asse Louisville-Chicago. Al riascolto dopo parecchi anni di The Serpentine Similar, la sensazione è sempre che Grubbs fosse giunto finalmente al progetto di avanguardia che aveva fatto covare sotto le infuocate performance dei Bastro. La trasformazione è perfettamente inquadrata da un pezzo come For Soren Mueller, che alterna piroette bastroane alle compassate astrazioni per chitarra e basso ipnotico, di fatto il piatto forte e principale del disco, che non disdegna comunque qualche sonata per piano che tradiva le mai celate influenze dei Red Krayola epoca God Bless...su Grubbs. Manifesti del lotto le lunghe A Watery Kentucky e Even the odd orbit, splendide digressioni di uno stile unico ed inimitabile, trasognato e formale al tempo stesso.

lunedì 6 marzo 2017

Spartiti ‎– Austerità (2016)

Non perdere un protagonista di un modo così anti convenzionale di fare musica è qualcosa che arricchisce il nostro sottobosco indipendente, specie se amate chi cerca di affermare pensieri più pensati e “impegnati” rispetto alla media dei nostri tempi.
Citazione di una recensione che mi sembra doveroso riportare, perchè sintetizza alla grande ciò che io stesso ho provato ascoltando Austerità. Dopo la triste scomparsa di Fontanelli, temevo che in qualche modo avremmo perso Collini e le sue storie, il suo sarcasmo, il suo cinismo trasognato, il suo semplicemente esserci. Mi rallegra quindi questo matrimonio (tutto sommato prevedibile, ma di certo non scontato) con Reverberi, che snocciola sfondi e scarni scorci di limpida ispirazione GDM (i migliori, Austerità e Bagliore), riuscendo a modo suo a non far rimpiangere le basi ODP. 
Per quanto riguarda Collini, va solo ascoltato famelicamente. Impossibile tuttavia non citare lo stupefacente aneddoto scolastico-adolescenziale di Vera, lo struggimento di Austerità, l'esilarante fraintendimento di Banca Locale. Caro Geometra, è sempre un piacere.

sabato 4 marzo 2017

Scream From The List 56 - Heratius ‎– Gwendolyne (1978)

Ennesimo inqualificabile art-avant-monster dalla Francia, con un unico, inevitabile disco in carniere, peraltro in ritardo temporale sulle bizzarrie più generalizzate del decennio.
Essenzialmente un trio tastiere, chitarra e clarinetto, gli Heratius vengono solitamente definiti i Faust d'oltralpe, ma la sensibilità musicale era più focalizzata seppur convogliata in una serie di stranezze difficilmente descrivibili; in un certo senso lo potrei battezzare industrial-progressive da camera, vista l'alternanza fra ruvidezze analogiche, gorghi rumoristici, fraseggi bucolici col clarinetto in evidenza, qualche svisata elettrica frippiana, un recitato che fa molto teatro d'avanguardia, demenze blues spudoratamente umoristiche, e tanto altro.
Gwndolyne va preso per ciò che è: un pasticciaccio dada figlio del proprio tempo, sfuggente per l'eternità e relegato alla categoria delle musiche più incredibilmente strane. In solida reputazione.

giovedì 2 marzo 2017

A.R. Kane ‎– 69 (1988)

Splendida anomalia britannica: un duo di colore che abbandonò qualsiasi stereotipo legato alla musica nera per abbracciare uno strano e fascinoso miscuglio di new-wave, dream-pop, fulgidi arabeschi chitarristici (senza disdegnare feedback stridenti), lambendo spesso un campo dub dalle parvenze molto più bianche.
Un disco fantasioso e super-variopinto, con la peculiarità delle voci che, essendo tutt'altro che limpide (per non dire sgraziate), davano un chè di preziosa precarietà. Dopo una prima metà effervescente anche a livello ritmico, la seconda parte va in gloria con le meravigliose rarefazioni di Sperm Whale Trip Over, The Sun Falls Into the Sea, The Madonna is With Child e Spanish Quay, numeri magistrali di ambient-rock. Si scrive un po' ovunque che hanno anticipato tante cose della Too Pure, il trip-hop, persino certi aspetti dello shoegaze. Un po' di giustizia è arrivata postuma, dato che in vita non ebbero un granchè di riconoscimenti; per quanto mi riguarda, ho impiegato 3-4 ascolti per permeare nella grandezza di 69.