Ennesimo grido francese, reso ancor più affascinante dall'aurea di mistero che ammanta la storia del gruppo. Esiste solo una bio dei Pataphonie, che parla in sostanza di una band di amici che se ne fregava (come tantissimi altri nei '70) dell'indigeribilità della proposta, una specie di deformità avant-jazz-rumoristica che manda letteralmente in pappa il cervello. Non si può parlare di astrattismo, di cerebralità o di concetti del genere: questi due lunghi pezzi, di certo improvvisati e registrati dal vivo, sputano il linguaggio dell'assurdo di un quartetto di gente che aveva senz'altro delle doti tecniche, che affiorano in tratti insospettabili e a più riprese. Ma dopo svariati ascolti, l'aggettivo è sconcertante, quello che impressiona per il coraggio. Non saprei neanche dire se e chi abbia influenzato. Per chi si vuole disorientarsi e sconvolgersi per una quarantina di minuti. Un esperienza terminale.
domenica 2 aprile 2017
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