I grandi gruppi di qualità fanno passare il tempo, lo
ingannano, si fanno desiderare, centellinano; insomma, fanno il contrario delle
tendenze contemporanee. I Grails fanno parte di questa esigua schiera, e poco
importa quanta distanza temporale sia dovuta agli impegni collaterali, alle
necessità della vita personale, alle possibilità di realizzare un disco di
elevata produzione che, checché se ne dica, non è così scontato (anche in
termini monetari) come si pensa.
Sono passati 6 anni dal loro capolavoro Deep Politics, ed anche per loro ogni
tanto mi sono chiesto cosa facessero, se stessero lavorando. Se avessero chiuso
con quello, non ci sarebbe stato niente da dire; avevano dato il meglio, forse
Amos non ce la faceva più a sostenere tutti gli impegni, forse Riles si
dissociava artisticamente. Balle: sono tornati con Chalice Hymnal ed anche se non raggiungono quel livello, impresa
ardua, sfoggiano un’altra dimostrazione di stile e classe. Un disco che pecca
di disomogeneità, quasi come se fosse un’antologia del lustro trascorso, o
frutto di creazioni separate e poi proposte agli altri; il fattore
coesione/eclettico era stato forse il maggior pregio di Deep Politics, al netto dei sensazionali highlights.
Che sembrano
un po’ mancare su Chalice Hymnal. Eppure,
eppure; come non rimanere estatici di fronte ai paesaggi di Deep Snow II, Thorns II, After The funeral o al sisma
di New Prague? Difficile non
apprezzare le deviazioni dal sentiero
maestro di avventure, come l’hauntologia di Empty
Chamber, l’alta velocità di Pelham, il
cupo salmodiare con inserti di elettronica di Tough Guy. Ancora in grande forma, tutt’altro che andati.
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