giovedì 7 dicembre 2017

Grails ‎– Chalice Hymnal (2017)


I grandi gruppi di qualità fanno passare il tempo, lo ingannano, si fanno desiderare, centellinano; insomma, fanno il contrario delle tendenze contemporanee. I Grails fanno parte di questa esigua schiera, e poco importa quanta distanza temporale sia dovuta agli impegni collaterali, alle necessità della vita personale, alle possibilità di realizzare un disco di elevata produzione che, checché se ne dica, non è così scontato (anche in termini monetari) come si pensa. 
Sono passati 6 anni dal loro capolavoro Deep Politics, ed anche per loro ogni tanto mi sono chiesto cosa facessero, se stessero lavorando. Se avessero chiuso con quello, non ci sarebbe stato niente da dire; avevano dato il meglio, forse Amos non ce la faceva più a sostenere tutti gli impegni, forse Riles si dissociava artisticamente. Balle: sono tornati con Chalice Hymnal ed anche se non raggiungono quel livello, impresa ardua, sfoggiano un’altra dimostrazione di stile e classe. Un disco che pecca di disomogeneità, quasi come se fosse un’antologia del lustro trascorso, o frutto di creazioni separate e poi proposte agli altri; il fattore coesione/eclettico era stato forse il maggior pregio di Deep Politics, al netto dei sensazionali highlights. 
Che sembrano un po’ mancare su Chalice Hymnal. Eppure, eppure; come non rimanere estatici di fronte ai paesaggi di Deep Snow II,  Thorns II, After The funeral o al sisma di New Prague? Difficile non apprezzare le deviazioni  dal sentiero maestro di avventure, come l’hauntologia di Empty Chamber, l’alta velocità di Pelham, il cupo salmodiare con inserti di elettronica di Tough Guy. Ancora in grande forma, tutt’altro che andati.
 

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