Nello splendido Superonda, Valerio Mattioli giustamente dedica un lungo capitolo alla Library e spiega un retroscena alquanto curioso su questa ormai storica saga italica: ai tempi la Rai pagava un compenso per ogni passaggio in onda, e le decisioni sui materiali da accoppiare alle immagini spettava ad alcuni direttori artistici che in gran parte erano i compositori stessi; aggirando la regola del conflitto d'interesse per il quale un direttore non poteva assegnare musiche da egli stesso composte, si era generato così un circolo vizioso a base di scambi di favore fra questi musicisti che quasi sempre erano regolarmente assunti dall'emittente nazionale. Una questione tipicamente italica, mi verrebbe da dire, ma in fondo resta soltanto un retroscena e non va ad inficiare un testamento di portata che forse solo oggi, in termini di riscoperta, possiamo quantificare.
Il motivo per cui invece a volte i compositori si celavano dietro uno pseudonimo, invece, era legato a motivi contrattuali. Il nickname Farlocco è alquanto esilarante, ed era appannaggio di Stefano Torossi, un prolifico autore di colonne sonore diciamo sul versante più leggero del settore. Tecnologia invece faceva sul serio, allo stesso modo in cui lo faceva Giorgio Zanagoria Carnini oppure Amedeo Di Jarrell Tommasi. Pare infatti che fosse quest'ultimo l'esecutore materiale del disco, un allucinata sequenza di ritmi ossessivi ipercinetici (proto-techno, e cos'altro?), vortici inarrestabili, sbuffi meccanici, loop sintetici, ben pochi passaggi musicali in cui brillano le incursioni di mellotron, uno strumento piuttosto inedito per il settore. C'è poco da fare, abbiamo scovato un'altro capolavoro (ristampato una prima volta in Inghilterra nel 2008 e in Italia nel 2016); e continuiamo a scavare allegramente in questa miniera.
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