Quarto album al seguito dell'acclamato (e non solo da me) Shedding Skin per l'inglese Ghostpoet, un gioiello certamente non dimenticato, cosa non ovvia visto che negli ultimi anni è sempre più faticoso trovare qualcuno che senza fare rivoluzioni riesca a trovare una propria voce che si distingue. Sgombriamo subito il campo da ogni dubbio; il magico livello di quel disco non viene eguagliato da Dark Days + Canapes, che grossomodo si muove sulle stesse coordinate produttive (suono di gruppo di base, poca e marginale elettronica, strutture compositive definite anche se spesso circolari) ma vira su un mood cupo, introverso e molto meno sanguigno; l'indie-guy abbassa notevolmente il dosaggio di chitarre elettriche e stempera i ritmi in favore di ambientazioni notturne, per non dire raffinate (abbondano piano ed archi, ed affiora spesso una vena soul). Non che manchino le tracce esaltanti: Trouble + Me, Dopamine If I Do, Blind As A Bat, Live-Leave, Immigrant Boogie fanno centro facilmente, ma sembra che Ejimiwe abbia accantonato lo spumeggiante (e personale) stile del precedente in favore di un disco ripiegato su sè stesso, quasi ad esprimere un disagio, un abbandono esistenziale.
La sensazione finale, a dispetto di questi sentori, è tutt'altro che un amaro in bocca: il carisma, la classe e la maestria del Poeta restano indiscutibili. Magari in prospettiva ricorderemo Dark Days come un disco di transizione, che documentava, per l'appunto, un periodo un po' buio.
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