Un gesto davvero non comune, quello di Kuba Ziolek: in un intervista seguente l'uscita di questo disco, ha dichiarato di voler chiudere il suo progetto solista in modo da potersi maggiormente concentrare sui gruppi in cui è coinvolto (Innercity Ensemble, Alameda 3, T'ien Lai); di solito è sempre avvenuto il contrario, ma è chiaro che il personaggio vive in dimensioni che vanno oltre le convenzioni di comune musicista/compositore. Prova ne è questo, che appunto dovrebbe essere il canto del cigno di Stara Rzeka, un disco dalle forti connotazioni filosofiche. Al di là dello scudo della lingua polacca, nelle varie recensioni ne possiamo trovare ampissima conferma.
Rispetto a quel Cien... che ce lo aveva fatto conoscere nel '13, Ziolek si è ripiegato in sè stesso: laddove allora impressionava col massimalismo e l'eclettismo (a tratti persino esagerato), in Zamknely si distende in un lunghissimo percorso fatto principalmente di fingerpicking acustico, come se fosse stato rapito ed incantato in una qualche foresta nordica e poi fosse tornato in studio a registrare, aggiungendo effetti, tastiere e quasi nient'altro. Un disco che non procura brividi immediati come il predecessore e che per questo richiede più attenzione; suona un po' come un ritorno all'arcaico, ad una regressione umana, lascia tanti interrogativi e questioni irrisolte nella nebbia mattutina di una gelida radura. Saperci entrare è l'impresa più ardua; questo non è folk psichedelico ordinario, ma l'espressione purissima di un artista a sè stante.
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