lunedì 13 luglio 2020

Harold Budd ‎– Avalon Sutra (2004)

Sembrava un cerchio in perfetta chiusura: HB dichiarò l'auto-pensionamento, alla soglia dei 70, e si apprestò a registrare per l'ultima volta per la label di David Sylvian, che nelle sue pagine ambient era stato un superbo discepolo del verbo buddiano, che ne diede l'annuncio con fierezza.
Non è andata così, perchè giù l'anno successivo tornava a pubblicare, seppur a più mani, e l'avrebbe continuato a fare con assiduità, ma le sue dichiarazioni fecero capire un ripensamento genuino e sincero. Proprio come la sua musica.
Comunque sia andata, Avalon Sutra resta uno dei suoi capolavori e costituì una mirabile sintesi delle migliori doti suggestive del californiano. I rimandi all'opus Pavillion Dreams sono frequenti, ma le composizioni sono snocciolate in maggior parte in forma breve, distillando un ispirazione superba in acquarelli commoventi. Strumentalmente, il contributo al suo elegiaco pianoforte si divide fra un pastorale quartetto d'archi ed i fiati nobili di Jon Gibson (in 4 pezzi, anche co-accreditato alla composizione), a costruire un quadro perfetto, da cui farsi avvolgere senza alcuna speranza, nonostante un lieve calo nelle tracce centrali del disco, più concentrate a costruire ipnosi e dilatare le atmosfere. Ma miniature supreme come Three Faces West, It's steeper near the roses, Porcelain Ginger, le 3 Arabesque, Faraon sono pura levitazione mentale.
Non era ancora la fine, avrebbe avuto ancora qualcosa da pennellare, il Maestro. Magari non a questi livelli, ma lo ha dimostrato.

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