La notizia che un paio d'anni fa risuonò sulla bocca di tutti fu: i CAS hanno fatto un disco uguale identico al primo, e giù un coro di disappunti. In effetti il fattore sorpresa, ormai svanito, sulle prime poteva lasciare l'amaro in bocca: nessuna novità, se non una produzione appena appena più sviluppata sui toni alti, ma sono dettagli trascurabili. Stessa ricetta, stessa combinazione di atmosfere carezzevoli e suadenti, semmai un numero minore di pezzi da urlo rispetto a CAS, e se possibile un lieve aumento della dose di ruffianeria, soprattutto nei pezzi di lancio antecedenti l'uscita.
Non bastava il fattore artistico in sè: la recensora di turno su Pitchfork gli affibbiò un 4.0, causa l'aggravante di un presunto maschilismo da parte di Gonzalez, a suo avviso autore di liriche smaccatamente demodè e fin troppo concentrate sulla preda femminile come oggetto di conquista.
Dopo un paio di ascolti che mi hanno lasciato indifferente, mi sono temprato, ho dato risalto ai pezzi da urlo ivi presenti (un trio, ad essere selettivi) ed ho pensato: ma ci possiamo stancare così facilmente di una formula che, per quanto prevedibile e scontata, è così sublime e raffinata? La risposta è no, e per Cry la dipendenza si ripete. Heavenly, You're the only good thing in my life, Hentai, Pure. E lasciamolo scatenarsi, con le sue donne, il buon Gonzalez. Ci ripenseremo al prossimo album.
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