Dev'essere andata più o meno così; qualcuno le ha messo pressione addosso, tipo con la voce che hai, cerca il successo, puoi ottenerlo, e così la Danilova l'ha cercato veramente, finendo su Mute a fare un disco imbarazzante, ruffiano e stucchevole. Tre anni dopo, il ritorno a casa in tutti i sensi: sulla stessa label che l'aveva lanciata oltre 10 anni fa, un disco serio e maturo, ben bilanciato fra le tentazioni commerciali ed il suo immarcescibile spirito gotico (sintetizzabile con Soak, questa sì che meriterebbe il successo mondiale). Okovi offre diverse combinazioni: si apre con una corale estatica alla Grouper, Doma, ma è un caso isolato. La mutuazione inevitabile di Siouxsie trova sfogo nell'ossessiva Exhumed, affogata in poliritmi tribali. Entrando nel cuore del lotto, la Danilova centra il suo climax espressivo dando spazio agli archi, una tendenza a lei non nuova. Ash to bone e Witness sono le perle incontrastate.
Nella seconda metà, purtroppo, manda tutto al club. Fino alla chiusura quasi cosmica di Half Life, è tutto un ballabile che per carità, è anche gradevole e ben fatto, ma non trova il mio gradimento. Sarebbe stato un gran disco, se fosse stato tutto all'altezza dei primi 5 pezzi. Di questi tempi, mi accontento. La ragazza è giovane ed il potenziale per confezionare un capolavoro c'è ancora.
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