Ecco un clamoroso caso di getto di maschera, che può anche sembrare modaiolo ma trova nel suo risultato finale un degno coronamento.
Goyer e McNeely, fra i fondatori dei Windsor For The Derby, e l'ex-bassista dei Paul Newman Robert, alle prese con uno spudorato e curatissimo dark-wave. Ovvero due fra i gruppi texani che negli anni '90 hanno aderito al filone post-rock. Se i secondi sono praticamente dissolti, i WFTD continuano a ciccare un disco dietro l'altro in modo inesorabile, i 5 non trovano meglio da fare che varare un progetto revivalistico proprio negli anni di maggior martellamento.
Dunque la questione è sempre la solita: roba stra-sentita trent'anni fa ma fatta tremendamente bene. Quindi piace a chi ama il genere, nulla più. Il bello è che, come si evince da foto, i 5 non sono propriamente giovinotti di primo pelo e quindi hanno l'esperienza dalla loro, elemento che consente loro di evitare stereotipi già fin troppo sfruttati da bands contemporanee presto assurte alla fama ma destinate a bruciarsi nel giro di poco.
Quindi in Fear si sentono umori di nomi meno conosciuti ma non meno gloriosi della wave inglese, Sound e Modern English sono i primi nomi che mi vengono in mente; quella capacità atmosferica di far vibrare certe corde che risiedeva nel talento di Borland si percepisce spesso nell'arco delle dodici tracce.
Poi è ovvio che dei texani non resterà molta traccia anche nel futuro, ma un ascolto gradevole se lo guadagnano volentieri.
Goyer e McNeely, fra i fondatori dei Windsor For The Derby, e l'ex-bassista dei Paul Newman Robert, alle prese con uno spudorato e curatissimo dark-wave. Ovvero due fra i gruppi texani che negli anni '90 hanno aderito al filone post-rock. Se i secondi sono praticamente dissolti, i WFTD continuano a ciccare un disco dietro l'altro in modo inesorabile, i 5 non trovano meglio da fare che varare un progetto revivalistico proprio negli anni di maggior martellamento.
Dunque la questione è sempre la solita: roba stra-sentita trent'anni fa ma fatta tremendamente bene. Quindi piace a chi ama il genere, nulla più. Il bello è che, come si evince da foto, i 5 non sono propriamente giovinotti di primo pelo e quindi hanno l'esperienza dalla loro, elemento che consente loro di evitare stereotipi già fin troppo sfruttati da bands contemporanee presto assurte alla fama ma destinate a bruciarsi nel giro di poco.
Quindi in Fear si sentono umori di nomi meno conosciuti ma non meno gloriosi della wave inglese, Sound e Modern English sono i primi nomi che mi vengono in mente; quella capacità atmosferica di far vibrare certe corde che risiedeva nel talento di Borland si percepisce spesso nell'arco delle dodici tracce.
Poi è ovvio che dei texani non resterà molta traccia anche nel futuro, ma un ascolto gradevole se lo guadagnano volentieri.
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