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Greenwood coordinava così un ensemble anarchico che spaziava su tanti fronti. Il pezzo no.2, Native Einstein, è un quieto delirio organizzato di psichedelia fra squittii di clarino, clangori chitarristici sparsi, violini come seghe e scampanellii tenui.
Ci si inizia a dare una regolata con la più convenzionale Your cells are in motion, sorta di country-indianeggiante dagli umori volubili. A quel punto sale in cattedra la Owens con Go down old Hannah, un coro stile-traditional dolente e ripetitivo, e la pigrissima cantilena di Beautiful September. Bucket si ritaglia uno spazio importante nel marasma libertino di Amazing grace.Nel finale, fra i brevi quadretti surrealisti di Chiapas e Madame Curie, trova posto la gigantesca dilatazione di Michigan Avenue Social Club, che si protrae per ben 25 minuti in un impro totale di psichedelia-tribal-jazzata. Si poteva troncare qualche passaggio o farla partire dopo o farla finire prima, ma il bello dei JOMF sta proprio qui; il suono di una comune completamente fuori dal tempo, guidata da un leader democratico che tende quasi ad eclissarsi una volta dettata la linea al fine di far risaltare i compari del momento. Il suono di un allucinazione collettiva fresca e positiva.
Good trips.
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