mercoledì 10 novembre 2010

Isis - Oceanic (2002)

La preparazione al capolavoro.
Oceanic, metallo in progressione verso nuove coordinate. Disco con cui si giocarono una fetta di fans puri e duri esaltati dalle eruzioni di Celestial, ma diretti a guadagnarne dei nuovi, oltre che sconvolgere la critica a tutto campo.
Misero in campo un formidabile percorso che continuava la scia lasciata dei loro padri putativi, Godflesh e Neurosis, ma aprendo i loro castelli granitici a fasi meditative di cristallina bellezza: prendesi ad esempio la splendida Carry, con una fase centrale da brividi, un po' il manifesto del disco.
Uno schema che si ripeterà più o meno regolarmente in tutti i pezzi, tant'è che il trittico iniziale è linearmente imperniato su questa ambivalenza; The beginning and the end denota una ferocia stemperata dalla melanconia dei fraseggi puliti. La durissima The other è godfleshiana fino al midollo, esclusa la ritmica. Le ossessioni di False light sono ai limiti di un minimalismo monotonico, con Turner che si sgola furioso e amaro.
Ma è un disco che cresce, inesorabile, nel finale; il barocco strumentale di Maritime è un intermezzo del tutto atipico. La stratificazione di Weight, con voci femminili incantevoli. Gli 8 minuti e mezzo di From sinking, sublimazione totale dei sensi sprigionati dal solco insieme alla chiusura minacciosa di Hym, che porta al parossismo l'onda innalzata dai lenti tsunami.
Sebbene le chitarre abbiano il dominio totale, anche le ritmiche hanno un importanza capitale nel loro scandire medio-lente, a volte dispari e spettatrici inermi del disastro oceanico che gli Isis hanno concepito con questo sforzo pindarico.

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