mercoledì 31 ottobre 2012

Great Saunites - Delay Jesus '68 (2011)

Duo pavese basso-batteria, immerso in una situazione tutta sua ed inesorabilmente isolato da qualsiasi corrente / trend / generalizzazione.
DJ68 dura mezz'ora per tre pezzi ed è un ottimo modello di dinamismo mutevole, non risente della mancanza di nessun'altro strumento, sta in piedi benissimo da solo. Il suono è bello pieno, con il basso eclettico ruvido e plettrato, la batteria agile con un charleston aperto che squilla in continuazione.
Il pezzo guida è Golden mountain, col riff arzigogolato che si imprime in testa e la pausa mistica con tanto di flauto. La title-track sublima le loro atmosfere cupe ma energiche in un quarto d'ora in cui succede di tutto: tirata mozzafiato, break di sospensione, rullate quasi tribali, finale con sconquassi che sfiorano la psichedelia.
Ecco il bello dei Great Saunites: la capacità di saper muovere i loro strumenti essenziali in una lotta contro chissà quali demoni. In un certo senso li definirei gli Om italiani, anche se le differenze sono sostanziali.
Da seguire con attenzione.

Gravitar - Now The Road Of Knives (1997)

Progenitore dell'art-noise degli anni duemila (Sightings e Wolf Eyes, ma anche delle branchie più spiritate come Aufgehoben e Raccoo-oo-oon), questo trio del Michigan partì da una base improvvisativa di studio dedicata al sound più selvaggio possibile, per dilatarla in forme folli mai sentite prima.
In un certo senso, appresero certe lezioni dei Chrome, applicarono la follia cubista dei Red Krayola e ci misero il loro bel sacco di talento per generare un paio di giga-mostri informi fra cui Now The Road Of Knives.
La prima parte va ascritta fra i monumenti assoluti del free-psych-noise di tutti i tempi, con Real Li e Leelamau che sono vortici inarrestabili di follia pura. I bombardamenti delle chitarre effettate, la prova di resistenza del tentacolare batterista Cook (impressionante), le manipolazioni maniacali, sono le caratteristiche principali del terrifico quarto d'ora della prima. La seconda spinge sul versante più allucinogeno e delirante, con la comparsa anche dei fiati in delay (a cura del chitarrista Walker).
Ma non c'è solo violenza diagonale. Man mano che scorre il disco gli sconquassi tellurici si alternano a fasi di sospensione e deliquio sorprendenti, fino alla tranquilla chiusura psichedelica di +LEE+19357-039.
Quasi oltre ogni concezione sub-umana, per uno degli acts più coraggiosi fra i segreti più nascosti dell'underground statunitense. Grandissimi.

martedì 30 ottobre 2012

Grant Lee Buffalo - Buffalondon Live (1993)

Ep di 4 pezzi registrati dal vivo come da titolo, a seguito del magico Fuzzy. E l'anima più ispida, per l'appunto, del trio si rivelava nuda e vibrante in questo oggettino.
Le esecuzioni, pur restando nelle strutture già note, sono viscerali e sanguigne: Phillips è energico, tira come un matto e la sua 12 corde è l'autentica protagonista: delicata quando acustica, aguzza quando elettrica in particolare negli assoli.
Tre estratti dall'album: The shining hour, Grace, America Snoring. Un inedito mai pubblicato in vita, a quanto mi risulta; For the turnstiles, poco meno che eccellente (non avrebbe certo sfigurato insieme alle altre).
Degnissimo corollario.

domenica 28 ottobre 2012

Romolo Grano - Musica Elettronica (1973)

Si sa ben poco di Grano: classe 1929, pianista e compositore in serie di colonne sonore generalmente per la televisione (solo per citarne un'esempio, Nero Wolfe).
E non sono stato in grado di trovare in rete una sua foto nè uno straccio di biografia che superasse le 3-4 righe superficiali. Questo programmatico titolo mi è stato suggerito dall'impagabile Mattioli, quindi mi ritrovo ancora qui a spendere parole di sorpresa positiva. Un'anno fa scrivevo meravigliato di Zanagoria e del suo osticissimo proto-industrial da incubo: a tali livelli di estremismo Grano ci si avvicina abbastanza, ma in un versante più spaziale, espansivo: l'opening Zooming è tutto un ribollire di gorgoglii sintetici, così come l'impetuoso ND Filter. Attenzione alla seconda traccia, Mark: trattasi di proto-dark-ambient d'oltretomba. Abbastanza avanti.
I solchi sono tutti abbastanza brevi, in genere non si arriva ai due minuti. A metà scaletta i toni si fanno meno impetuosi, e la musica elettronica diventa una minaccia dronica che sembra voler esplodere da un secondo all'altro. Shutter riprende con le spirali demoniache, Grip raggiunge massimi livelli di astrattismo.
Tutto rigorosamente atonale ed ossessivo. Sarà anche vintage, ma che esperienza...

mercoledì 24 ottobre 2012

Goldmund - Two Point Discrimination (2007)

E' praticamente impossibile trovare un'uscita di Kenniff che sia poco meno che bella. L'artista sembra essere toccato dalla dote divina del buon gusto, nonostante le sue uscite siano state veramente numerose da quando esordì nel 2004.
Quando diventa Goldmund non si può far altro che abbandonarsi al relax. Two Point discrimination evolveva il marchio ultra-riflessivo di Corduroy Road grazie ad una piccola dose di dinamismo in più (e persino qualche loop elettronico, come in Light), con le cascate decise di note alte, e persino propaggini oltremodo oscure (Will).
Non sia mai definita semplicemente musica per pianoforte. L'evocatività è tutto per Kenniff.

Gogogo Airheart - ExitheUXA (2002)

Oggi se li sono dimenticati tutti, figuriamoci dopo la scemata del fenomeno post-post-wave che ha impazzato nella seconda metà degli anni Zero e che neanche li aveva considerati. Ed anche gli ascoltatori più attenti.
Diciamo che i GA non sono stati un gruppo fenomenale, ma quando vennero fuori a metà anni '90 erano una proposta discretamente arty che contribuiva al ripescaggio a piene mani dalla new-wave più spigolosa dei Gang Of Four e dei Fall, con l'aggiunta di una certa schizofrenia. Ed ExitheUxa qualche anno dopo non era tanto differente dai precedenti: c'era di sicuro una maggior accessibilità, con delle piacevoli e frizzanti songs in carniere. Piace ricordarli come gruppo genuino e sincero che non si curava di dichiarare le proprie manifeste influenze. Non molto altro di più.

lunedì 22 ottobre 2012

Gog - Mist From The Random More (2009)

Già il nome del progetto mi piace perchè evoca una delle composizioni più avanguardistiche del giovane Peter Hammill, ovvero la chiusura tempestosa di In Camera. Dalla mente del chitarrista californiano Michael Bjella, Mist è un disco làvico, che ruota attorno alla kilometrica title-track. Ventitrè minuti di eruzioni ad altissimo volume, un audace incontro fra Bowery Electric e Boris. Che è difficile a pensarci, eppure si materializza in una saga convulsiva di chitarre pesanti, ritmiche possenti e continui spirali space.
Una suite monumentale ed avvincente. Prima di essa c'è il drone-feedback di Night Noise, dopo c'è il doom slabbrato condito di concretismi Gasp In A Fifty Pound Claw. Entrambi risentono abbastanza dell'influenza delle opere più criptiche dei giapponesi sopracitati, ma il disco ha sicuramente fatto il piacere di chi ascolta queste robette leggere leggere.

domenica 21 ottobre 2012

Godflesh - Pure (1992)

Forse oggi si riesce a comprendere meglio la portata storica dei primi dischi dei Godflesh. E così ci si rende conto, se ce ne fosse bisogno, di quale grande musicista è Broadrick: io ad esempio sono rimasto così abbagliato da Jesu quasi da dimenticarmi dischi come Pure, che vedeva il duo già in progressione verso territori più ampi (Don't bring me flowers), con aperture lucenti che ricordavano le pagine migliori della new-wave.
Un influenza che era rimasta un po' sotterrata nei precedenti, e che sopraggiunge prepotente nella seconda parte del disco. Gli inserti elettronici e i samples si ritagliano uno spazietto non ignorabile, e Broadrick rinuncia a tratti al growl rabbioso per modulare una parvenza melodica (Baby blue eyes, per me il top).
E' la suite Pure II che chiude con i suoi 21 minuti a choccare: drone-feedback interminabile, ambient infernale per i gironi infernali più freddi.

giovedì 18 ottobre 2012

God Machine - Live 1993-08-14 Hultsfred Festival, Sweden

Oh, un ritorno alle origini.
Uno perchè i GM vanno sempre ricordati, possibilmente a scadenze regolari, ancor di più perchè ogni volta che ci penso non mi capacito per quale motivo nessun'anima discografica più o meno pia non abbia ancora deciso di ristampare la loro discografia. Le mie copie originali di Scenes e One last laugh se ne stanno lì a prendere la polvere e io me ne frego delle quotazioni collezionistiche, tanto non le venderò mai.
Due perchè il primo post che scrissi in questo blog, poco meno di 5 anni fa, fu su un loro bootleg di qualche mese precedente. In questo festival svedese il trio suona compatto e rabbioso, con Robin a sgolarsi rauco e a far fischiare continuamente il suo feedback; un suono estremamente grezzo se paragonato alla produzione (divina) di Scenes.
Ci sono un paio di inediti a raccogliere curiosità per gli intenditori; anche se leggermente inferiori alla loro media, I Don't Give A Fuck About How You Feel e Fucking Hypocrite sono schegge di violenza che restarono probabilmente nel cassetto in vista del mood maggiormente intimistico che pervase poi One last laugh. C'è anche la cover dei KLF What time is love, comparsa soltanto in una rara edizione di Home.
Poi ci sono 5 superclassici, ci sono le anticipazioni di Alone e Mama, già ben definite.
C'è la macchina divina in piena forma, in sostanza.

mercoledì 17 ottobre 2012

God Bullies - Plastic Eye Miracle (1990)

Non c'è molta differenza fra le prime prove dei GB come questa e le ultime; stesso senso di panico e di abbrutimento generale, forse verso la fine c'era una maggior varietà di atmosfere ma il fine era sempre quello.
In Plastic Eye Miracle c'è un breve e grezzo campionario del loro punk-noise deviato ed ossessivo, ma c'è anche l'incubo per intercalare di voci arroganti della title-track, e soprattutto la litania psichedelica di She's wild, uno dei 3-4 pezzi migliori del loro repertorio.
Gli ultimi 3 titoli in elenco sono dal vivo e mostrano il lato più animalesco della band.
Non il loro miglior disco ma adatto ad introdurli.

martedì 16 ottobre 2012

Gnaw Their Tongues - L'arrivée De La Terne Mort Triomphante (2010)

Come possa un uomo solo concepire e mettere in opera colossi di questa fattura è veramente impressionante, eppure De Jong dall'innocua Olanda ci riesce ripetutamente da qualche anno. Ed è l'orgoglio metallico, il portabandiera di intere ed immobili generazioni che vedono e salutano spiazzate tali sismici rinnovamenti di portata storica.
In questo caso, di provenienza black-metal. Genere di cui non sono assolutamente intenditore, forse perchè affermatosi a livello continentale in tempi non troppo lontani, al contrario del death-grind che invece mi prese al collo quando avevo 16-17 anni. Chiusa parentesi.
De Jong è una mente perversa e magniloquente, e mette veramente paura. La marea gigantesca di suoni che si ode nei suoi dischi spazza via tutto e tutti, ed è fin troppo ovvio parlare di tempeste, sinfonie, di corali, di vocalizzi atroci in stile b/m. Ovvero, si può anche cercare di discuterne ma per me è inutile; mi annichilisce.
Ovvio che GTT si ama o si odia, non ci sono mezze misure. Da questo che è il suo miglior disco potrei citare il break pianistico della title-track o dell'assolo di violino nelle progressioni memorabili di La Mort Dans Toute Son Ineffable Grandeur, ma non c'è storia. De Jong annienta e mi lascia scoperto, con nulla in mano ed un incredulità in testa che mi capita molto, molto raramente.

lunedì 15 ottobre 2012

Gnaw - This Face (2009)

E' durissima confrontarsi con un passato importante chiamato Khanate, eppure tutti e 4 i componenti hanno dimostrato che quell'esperienza era la somma dei singoli valori aumentata di un bel po', il che è eloquente. Per il chiacchieratissimo O'Malley non c'è molto altro da dire, mentre Wyskida e Plotkin hanno messo a segno un gran colpo con Jodis. Ma colui da cui era plausibile aspettarsi di meno, lo screamer Dubin, è sicuramente una clamorosa sorpresa con la sua formazione Gnaw.
Clamoroso perchè This face è un disco indefinibile, e potrei parlare di avant-metal-noise concreto ma non gli rende giustizia perchè ha degli spunti davvero unici. La line-up comprende soltanto un elemento dell'area doom-metal moderna, il batterista Skyes, che peraltro indugia spesso su tornitruanti poliritmi che del doom non hanno un granchè. Sono gli altri componenti che incidono sull'originalità della proposta: c'è Mizumaki, un reduce dell'industrial anni '80. C'è Beatrice, uno stimato ingegnere del suono che lavora abitualmente in televisione ed è stato anche premiato nel settore. Entrambi curano le parti elettroniche e sono fondamentali nel rendere ancora più allucinante il quadro. Thornton completa il quadro alle chitarre, raramente impostate su timbri metal.
This face è assolutamente delirante e schizofrenico. Dubin terrorizza nel suo classico stile (ma attenzione a Watcher, in cui setta la gola su un timbro umano, una direzione che potrebbe anche approfondire in futuro), e dietro di lui succede il finimondo. Lo scenario è post-qualsiasi cosa, il suono è tanto labirintico quanto curato nonostante ci si trovi in una macelleria o infilati dentro una lavatrice a tutto gas.
Non so quali sviluppi possa avere il progetto, visto che sono passati già 3 anni. Spero chiaramente che ci sia un seguito a questo capolavoro.

sabato 13 ottobre 2012

Global Communication - 76.14 (1994)

Uno dei massimi capolavori della techno-ambient degli anni '90, uno di quelli che vanno a finire nelle liste come i 1000 dischi che dovresti ascoltare prima di morire, uno che lo ascolti e pensi "ecco, questo è un suono che non è invecchiato male come gli altri".
E' perchè in effetti dei contemporanei non è che ci fosse molto: in certi pezzi sì, c'era la cassa bella pulsante e un synth caciarone monotematico. Ma ciò che i GC seppero mescolare amabilmente nei momenti migliori era l'eredità dei corrieri cosmici, la seriosità del primo B. Eno, il minimalismo e il dub.
Tutti i pezzi hanno per titolo il loro minutaggio, così come il nome stesso del disco. Bastano i primi due per mettere k.o. la percezione temporale, con la sinfonia sublime di 4:02 e il rilassatissimo trip celestiale di 14:31. Tant'è che il disco sembra perdere leggermente solennità e tornare un po' sul concreto ritmato, ma con un po' di orecchio si sente il lavoro genuino ed ispirato che passava per le teste dei due inglesi.

Girls Against Boys - Nineties Vs. Eighties EP (1990)

Il debutto dei GVSB fu alquanto strano: gli anni '80 sono rappresentati da 3 pezzi registrati da Janney, McCloud e Brendan Canty (il batterista dei Fugazi) nell'88. Il decennio di appartenenza si sente ma era il modulo a creare attenzione: fra industrial da ballo ed hip-hop, con i chitarroni sempre in bella evidenza, il ritmo sintetico, i bassi slappati e la voce rauca di McCloud.
Diverso il discorso dei 3 pezzi registrati nell'anno di uscita dell'EP: entrano in gioco Fleisig e Temple, a costituire quindi la line-up storica della band, con Janney non più mero ingegnere del suono ma musicista-jolly fra organo, voci di rimbalzo e samples.
E la musica cambia, travolge ed esalta: Stay in the car è uno dei loro inni urbani newyorkesi di prima grandezza, con le chitarre deraglianti e la ritmica ultra-compatta. E Jamie riesce addirittura a far meglio, sfoderando quella componente sorniona che li renderà unici negli anni a seguire. Completava il tutto Kitty-Yo, esperimento di ballad spettrale, altro aspetto che approfondiranno con successo qualitativo.

giovedì 11 ottobre 2012

Giardini Di Mirò ‎– Hits For Broken Hearts And Asses (2004)

Collezione delle primissime cose che i reggiani rilasciarono alla fine degli anni '90, fra cui un demo, il primo Ep e tracce sparse.
Spicca la qualità professionale del suono, davvero curata per essere prodotti di primo pelo. Spiccano tutte le qualità strumentali di un giovane gruppo armato di buona volontà nel cercare di diffondere sonorità in Italia che erano ai tempi assolutamente inesistenti.
Spicca però anche l'impressionante influenza dei primi Mogwai, nelle tessiture chitarristiche e nei pieni/vuoti d'atmosfera, ai limiti del plagio. Non vorrei dire che il buon lavoro venga vanificato, perchè di pezzi validi in questa raccolta ce ne sono. Ma è fuor di dubbio che successivamente i GDM hanno fatto di molto meglio.
Escluso il recente ultimo, davvero deludente.

mercoledì 10 ottobre 2012

Gatto Ciliegia Contro Il Grande Freddo - L'irreparable (2004)

L'ascolto di L'irreparable, oltre a lasciare un bel gusto in bocca, genera diversi pensieri. Il primo è che non ho mai letto giudizi entusiastici da parte della critica italiana, ma in fondo ci può anche stare perchè di certo non si tratta di un gruppo che rivoluziona la storia della musica. Il secondo è il dato di fatto che aver pubblicato 2 dischi in diec'anni (senza considerare quello di cover '60 con una cantante) in favore di tutta una serie di realizzazioni di colonne sonore ha fatto sì che il trio torinese potesse in qualche modo sopravvivere.
In Italia è difficile portare avanti certi progetti; nel 2001 comprai il loro debutto dopo neanche un mezzo ascolto in negozio, e speravo che esplodessero almeno a livello indipendente. Al posto loro ci sono stati i Giardini Di Mirò, con merito, s'intenda. Ma il gusto armonico ed evocativo dei GC è impagabile, e L'irreparable sta lì a dimostrarlo, con le sue atmosfere un po' più tese dei precedenti, le sue variabili eleganti ed un capolavoro come Cactus in the eye.

martedì 9 ottobre 2012

Gastr Del Sol - The Harp Factory On Lake Street (1995)

Chi si ricorda W, contenuto su Barely Real dei Codeine, anno 1992, sa di cosa si parla qui. Era una ospitata di David Grubbs, che al piano solitario conduceva una melodia straniata, sghemba, malinconica per quanto efficace tant'è che per il loro epitaffio Immerwahr & co. la amplificheranno a loro modo facendola diventare Wird.
La seconda fase della suite The Harp Factory On Lake Street è debitamente ispirata a quell'esperimento (così come a produzioni Bastro tipo Recidivist), ma con un sentore, se mi è permesso scriverlo, dadaista. Grubbs sembra giocare con i suoi accordi irregolari e la voce timida, per uno sviluppo imprendibile nonostante la lentezza dello svolgimento, e peraltro con momenti assolumtamente emozionanti.
La prima fase invece era più insolita per i GDS, e qui probabilmente era farina del sacco di O'Rourke: un minuto scarso di archi tesi, una pausa di silenzio e poi un quartetto di fiati che inizia sommesso, cresce fino a diventare dissonante e solenne e infine si rispegne lentamente.
Un prodotto davvero fuori dai canoni estetici dei GDS, che non a caso uscì per l'etichetta avant-prog Table of The Elements. E la maglietta di O'Rourke con l'immagine del giovane Tony Conrad diceva già tutto.

lunedì 8 ottobre 2012

Future Sound Of London - Cascade (1993)

Duo di Manchester che ebbe un notevole successo anche commerciale con l'album Lifeforms del 1994, fino ad arrivare nella top ten degli album più venduti. Ma qui di ammiccamenti non ce n'erano, semplicemente la musica da rave andava per la maggiore e i FSOL seppero catturare l'attimo giusto.
In quel disco era contenuta anche Cascade, che l'anno precedente era uscita in questo EP di quasi 40 minuti, contenente un unica suite in 6 puntate centrate sul refrain principale. Ed è una cascata di suoni ipnotici, plastici, inizialmente pompati e poi più meditati col passare dei minuti.
Non erano creativi come gli Orb nè stravolti come Aphex Twin, ma trovarono una via abbastanza personale da affrancarsi dal mucchio selvaggio.

Fushitsusha - Pathétique (1994)

Non è celebrativo e / o celebrato come i due epici live, Pathétique, ma che forza ragazzi... Che prova titanica, come tutte le prime dei Fushitsusha, ma molto più free e violenta.
Non ho ascoltato tutta la discografia (sarebbe un impresa altrettanto dura) di Keiji, ma fra ciò che conosco della sua carriera questo è di gran lunga il più devastante: il pezzo n. 4, ultimo in scaletta, si dilunga per 45 minuti in un'interminabile maelstrom di vortici chitarristici, puro sacrificio noise.
Ma il resto è art-noise al top della forma: le figure marziali e scandite della n. 1 fanno rabbrividire, con la sezione ritmica che fatica a farsi sentire dietro i volumi colossali del leader, ma l'orecchio più allenato può notare uno sforzo sovrumano anche del batterista che suona con energia nucleare, mentre il bassista fa ciò che può (egregiamente) per rincorrerlo.
La follia continua con la n. 2, fratturato attacco dissonante in cui fa capolino anche la voce angelico-demoniaca, mentre con la n. 3 si cerca di trovare un minimo di linearità, grazie anche al groove prorompente.
Del finale apocalittico ho già riferito, di Keiji non occorre aggiungere altro, sarebbe superfluo.


mercoledì 3 ottobre 2012

Fursaxa - Amulet (2005)

La definizione folk psichedelico sta un po' stretto a Tara Fursaxa Burke: più che altro si tratta di mantra estatici in libero sentiero, in cui la componente onirica ha il sopravvento su tutto il resto, che sia un torrenziale flusso di chitarre e accordion (Song to the cicada), una messa di organo e collage di vocalizzi rapiti dai fantasmi (Crimson, con evidente richiamo ai voli sovrannaturali del Tim Buckley di Starsailor), o uno scampanellio per coro gregoriano solista e flautini magici (Rheine).
Amulet è tutto qui, in questi tre lunghi pezzi: la voce della Burke, molto dotata tecnicamente, viene sacrificata sull'altare di una spiritualità inflessibile, non priva di pecche ma rilevante da ritagliarsi un posto tutto suo.

Fucked Up - David comes to life (2011)

Come esprimere il proprio pensiero serenamente su un disco che è stato esaltato da tutti, ma proprio da tutti, senza riserve?
Non conoscevo i Fucked Up, ma principalmente per il fatto che non sono più interessato all'hardcore, perchè ha dato tutto da un bel po' di anni, neanche ascolto più l'hardcore evoluto che ebbe le sue grandi pagine negli anni '90. Non che lo rinneghi, semplicemente non m'interessa più, a meno che non si parli degli Husker Du che restano i più grandi di sempre.
Ora, per i canadesi si scrive di paralleli con Mould & co., si parla di hardcore progressivo, di Who. La grande intro di Let her rest e la partenza propulsiva dell'ottima Queen of hearts fanno saltare sulla sedia, promettendo benissimo. Ma il disco è lunghetto, oltre un'ora, e gli ottimi spunti disseminati ovunque finiscono per mischiarsi. E gli aspetti migliori, come le incisive frasi del bravo chitarrista solista o le doti del batterista, sono un po' coperti dal muro delle altre due chitarre che non staccano mai il pedale del gas e soprattutto dal rauco monotono in classico stile hc del cantante, che sinceramente stanca dopo un quarto d'ora. Ovviamente non si può chiedere di cantare ad uno che magari non ne è neanche capace (e forse c'è da considerare l'aspetto tradizionalista hc che credo imponga questa regola), ma qualche soluzione un po' diversificata in termini di arrangiamento avrebbe soltanto fatto bene ad un malloppo di pezzi dalle idee anche ottime.

martedì 2 ottobre 2012

Fuck Buttons - Street Horrrsing (2008)

Power-pop-electronics?
Il memorabile inizio del disco, Sweet love for planet earth, è già un prototipo del FB sound: una grattugia fuzz inarrestabile modulata in semplici schemi melodici di tastiere, voce distorta oltremisura, battiti digitali spartani.
Non è nulla che rivoluzioni la storia, e neanche troppo fantasioso, ma l'insieme è astuto e abbastanza personale da permetter loro identità. Come in Ribs out, unica pausa dal rumorismo, ovvero battiti tribali da terzo mondo su loop vocali primordiali. A parte la caduta di tono di Bright tomorrow, scadente tributo alla techno-trance '90. Per fortuna che si chiude in bellezza con un altro prototipo dei loro, Colours move.