lunedì 30 ottobre 2017

Julia Kent ‎– Character (2013)

Violoncellista canadese formatasi al conservatorio e, dopo aver accantonato l'idea di una carriera nell'ambito classico (per troppa competitività), da oltre vent'anni si è creata un ruolo di session-woman prestigiosa nell'ambito cosiddetto alternativo. Nel suo c.v. la presenza più illustre è quella al seguito di Antony, ma spiccano anche performances nel giro Swans e nei Larsen. Da una decina d'anni si è messa anche in solitaria, e Character è un'assortimento di ottimi affreschi che vanno ad aggiungersi alla già ben nutrita schiera dei post-cameristici, ma sa elevarsi con una voce propria. Musica struggente, irrimediabilmente malinconica, con pochissimi orpelli, molto cinematica ed evocativa; la Kent è anche autrice di razza e Character fa vibrare le corde interiori dell'animo, con grazia solenne. Penso che i Godspeed You Black Emperor farebbero carte false per averla con loro.

sabato 28 ottobre 2017

Scream From The List 64 - Poison Girls ‎– Hex (1979)

Nel panorama post-punk inglese potevano anche accadere delle congiunzioni così particolari: una ultraquarantenne madre di famiglia che, in risposta ai figli accasatisi presso punk band giovanili, ne fondava una sua; al di là delle curiosa genesi la notizia in sè però è che la proposta Poison Girls non era punk canonico, tant'è che si gemellarono coi Crass, gli astri indiscutibili dell'anarchia UK.
Quello di Hex è un art-punk beffardo, con tante sfaccettature e con ben più dei 3 frenetici accordi; la voce grassa e delirante di Vi Subversa (tutt'altro che una mamma affettuosa, e sorprendentemente affine a quanto inizierà a fare Jello Biafra un'anno dopo!), le stilettate delle chitarre, la ritmica coesa, le combinazioni dissonanti, tutto contribuiva a creare un clima paranoico, psicotico e quasi cabarettistico, fra i Crass stessi e gli Alternative Tv più aggressivi. Da manuale.
Da notare che il disco uscì sulla leggendaria Small Wonder.

giovedì 26 ottobre 2017

Jade Warrior ‎– Floating World (1974)

Difficile da ammettere, ma una proposta come quella dei Jade Warrior, che per la fertile epoca era ambiziosa ed avventurosa, ha finito per diventare quasi più anacronistica dell'hard-rock e del jazz-rock coevi, essendo quindi condannata all'oblio eterno. E perchè mai? Perchè col tempo sono diventati fra i padri putativi assoluti della new-age, loro malgrado.
Floating World invece è, come la maggior parte dei loro dischi, un coacervo multicolore di stili, un florilegio eclettico. Si provi ad ascoltare il massiccio hard-etnico di Red Lotus, o il jazz flautato di Mountain of fruits and flowers, momenti di distrazione da un quadro pastorale che trasudava a pieno regime quella spontaneità ed ingenuità che, come ha abilmente scritto PS, avrebbe difettato agli astuti prosecutori.

martedì 24 ottobre 2017

Sleaford Mods ‎– Key Markets (2015)

Il successore del fortunato e rompighiaccio Divide And Exit, e che sostanzialmente non fa altro che ripetere lo stesso canovaccio con una dozzina di pezzi minimali, stentorei ed a loro modo, ossessivi. Anche questo è essere punk: chi si sarebbe aspettato un cambiamento o una spinta verso un'eventuale evoluzione dovrà restare deluso, perchè Williamson e Fearn in fondo non sanno o non vogliono fare altro che questo; è vero che quest'ultimo avrebbe anche potuto cercare qualche soluzione per sviare, ma in fondo se ne è fregato, no? Anzi: English Tapas, uscito all'inizio dell'anno, si è rivelato addirittura più scarno.
Tocca analizzare i dettagli; la formula SM continua a dare dipendenza, e Key Markets è forse il loro disco meno per modo di dire agitato, più cantato, meno abrasivo, più musicale. I capolavori del lotto sono; Tarantula Deadly Cargo, un giro irresistibile dei loro con quella chitarrina che fa quasi scalpore. Il funk scarnificato Silly Me, il post-punk ultra-midollare di Face to Faces, la gag ipercinetica Giddy on the ciggies.  
Poco da fare, la truffa continua.

domenica 22 ottobre 2017

Egg – The Polite Force (1970)

Successivo all'esordio dello stesso anno, nonchè ultimo perchè il terzo del 1974 fu di fatto una reunion per completare dei lavori rimasti in sospeso, The polite force è uno dei dischi più avventurosi di tutta la parabola canterburyana. L'eleganza di questo magnifico trio si materializza in tutto il suo carisma nell'iniziale, splendida A visit to Newport Hospital, ma a partire dalla jazzata e nevrotica Contrasong si può dire che gli Egg iniziarono a fare sul serio; Boilk chiudeva la prima facciata con un collage avanguardistico per nastri rallentati e velocizzati, concretismi, dadaismi inconsulti e rumorismi allucinati. E poi il piatto forte sulla seconda facciata, la strumentale Long Piece, una suite monumentale che alterna slanci melodici di grande respiro a fasi serratissime, la quintessenza del prog applicato alla scuola di Canterbury. Molto, molto meglio di Caravan e compagnia bella del decennio appena iniziato.

venerdì 20 ottobre 2017

Flaming Lips ‎– Oczy Mlody (2017)

Altro colpo dei Lips, mi sembra quasi incredibile; a dispetto delle più o meno generali storte di naso, trovo Oczy Mlody un disco perfettamente compatto e con un suo focus generale, fattore che ha reso grandi i due principali precedessori, mediando fra i coloriti arcobaleni di Embryonic e le plumbee atmosfere di The Terror, che fra tutti resta il mio preferito.
Siamo comunque poco sotto. Come quest'ultimo, spazio massiccio all'elettronica ed ai bassi saturi, ritmi sintetici ed in ogni caso non molto rilevanti. Ciò che torna in superficie è la vena pop, con una serie di motivetti intonati dalla voce fragile e ricca di struggimento di Coyne; ma le strutture sono tutt'altro che scontate, ed i cambi di ambientazione sono molto frequenti.
Mi domando, fra tanti anni, come verranno ricordati i Lips: ne parleremo ancora come di un folle, grande gruppo che si è saputo reinventare per oltre 30 anni?

mercoledì 18 ottobre 2017

Cows ‎– Orphan's Tragedy (1994)

A mio parere i dischi migliori dei Cows sono stati quelli della maturità, a partire da Sexy Pee Story fino alla fine: è vero che la forza bruta ed eversiva del quartetto perse parte del suo impatto scabroso, ma le doti tecniche (superiori alla media del noise-rock coevo, diciamo una spanna sotto i Jesus Lizard) meritavano di essere valorizzate da una produzione migliore, senza per questo perdere la sua potenza e la sua angolarità. Per cui, vista anche la varietà di ritmi e dei pezzi in generale, prediligo anche Orphan's tragedy ai primi, scalcagnati, scalcinati, violentissimi dischi: in una parabola simile ai Cop Shoot Cop, i Cows furono in grado di evolversi in maniera naturale, continuando a predicare un verbo velenoso e personale nel glorioso underground americano dei '90.

lunedì 16 ottobre 2017

Van Pelt ‎– Tramonto (Live In Ferrara 12.08.2014)

Il disappunto si dipinse sul mio volto nel momento in cui venni a sapere che i riuniti Van Pelt si sarebbero esibiti in pieno Ferragosto del 14 nientemeno che all'Hanabi. Ma diamine, non potevano scegliere un periodo più consono? In quei giorni, avevamo già programmato da mesi e ci saremmo trovati da qualche parte fra Iasi, Brasov e la Moldova. Era uno speeding train e chissà se ripasserà nuovamente.
Due giorni prima di quell'evento, il quartetto fece un rodaggio privato a Ferrara, registrandolo. Non so come sia andata all'Hanabi, ma sono sicuro che se ci fossi andato mi sarei commosso, come minimo. A distanza di 17/18 anni, le meraviglie dei sultani non conoscono il significato della parola invecchiare, conservano tutta la loro freschezza e l'emozione. Era giusto riunirsi; per quale motivo farlo in Italia, al di là delle amicizie, resta un mistero. Ma anche un piccolo vanto.
Maryansky, O'Brian e Greeene mostrano barbe e capelli imbiancati e pance importanti. Chris Leo invece è rimasto quasi miracolosamente il giovincello di allora; quando deve salire di tono, la sua voce fa un bel cric, ma è segno dell'umanità tangibile, del sentimento, del trasporto emotivo. Non è un difetto, anche perchè la formazione suona divina ed impeccabile. Nessuna modifica alle strutture, qualche rifinitura chitarristica in meno (salta all'orecchio su Nanzen kills a cat), persino i pezzi di Stealing suonano più pieni e a fuoco.
Gloria ai sultani che ci riportano alla giovinezza ed alla spensieratezza.

sabato 14 ottobre 2017

Bomis Prendin ‎– Phantom Limb (1980)


Originalmente autoprodotto nell’aulico formato di flexi disc, si tratta del secondo atto della geniale formazione di Washington; ho letto da qualche parte che pare sia stato proprio questo ad aver spinto i NWW ad inserirli nella list, anziché quell’oggetto volante non identificato che fu il debutto. Poco importa, la materia grezza è altrettanto scottante: composto da 13 tracce molto brevi (al massimo 2 minuti e mezzo), Phantom Limb è non meno eversivo col suo industrial-space-noise-pop, che passa da cantilene demenziali in salsa radioattiva (che faranno scuola agli Ubzub) a sinfonie per oscillatori impazziti,  da balletti meccanici marziali ad allucinazioni psicotropo-fantascentifiche come se nulla fosse, con pressochè tutto quello che ci può stare nel mezzo. Da manuale del sacro e genuino fuoco della follia.

giovedì 12 ottobre 2017

Claudio Rocchetti ‎– Memoria Istruttiva (2016)

Quando ascolto i 3/4hadbeeneliminated, mi è difficile stabilire cosa fa Rocchetti e cosa fa Tricoli; i due manipolatori elettronici in tandem creano uno scompiglio mai fine a se stesso, sia che solchino i mari dell'ambient-elettro-acustica che i bassifondi del rumore bianco.
Ma, a differenza della prova solista del collega Miseri Lares, che non mi ha convinto per niente, Memoria Istruttiva mi appare come un disco compiuto, ben focalizzato, coeso: Rocchetti è anche polistrumentista ed in mezzo a questi percorsi nebbiosi utilizza chitarra e contrabbasso a fare da punti di riferimento, da bussole per una fosca esplorazione dell'ignoto. Hauntologia di spessore.

martedì 10 ottobre 2017

Rustic Hinge ‎– Replicas (1988)

Reperto del 1970 disotterrato dalla Reckless Records, un negozio di dischi usati di Soho, Londra, e che è un'autentica primizia per chi ama le cose più irregolari della scena underground inglese di quegli anni. Si trattava di un trio composto dal bassista Pavli degli High Tide, dal chitarrista Funnel e dal batterista Theaker; tutti personaggi con un bel pedigree. Gli ultimi due, anni dopo, faranno parte del gruppo di Tony Hill durante il periodo buio, e provenivano entrambi dal Crazy World of Arthur Brown.
Fin dal titolo della raccolta, si intuisce una certa deferenza strumentale nei contronti di Captain Beefheart, epurata però da qualsiasi voce. La registrazione è quella che è, trattandosi dopotutto di demos di quegli anni; con una preparazione e produzione adeguate si sarebbe potuto trattare di un piccolo capolavoro, ma stiamo parlando di soggetti dalla sanità mentale discutibile (qui c'è una bio che rende bene l'idea) per cui non stupisce che non se li filò nessuno. E pensare che le idee non mancavano di certo, al di là della prima parte dominata dalle acrobazie beefheartiane, fra citazioni di Bartok, sprazzi di musica balcanica, deliri avanguardistici e percussivismi etnici; ciò che resta maggiormente impresso sono i proto-noise-jazz-math-rock di Kinesis e Mastodon.

domenica 8 ottobre 2017

Desertshore ‎– Drawing Of Threes (2011)

Prima di reclamare il suo nome di fianco a Desertshore, Kozelek aveva già messo il suo pesante piedone nel progetto di Carney & Connolly, in occasione di questo secondo. Sarei curioso di sapere chi ha fatto il primo passo, ma solo per il puro sfizio di conoscenza; poco da dire, ne hanno guadagnato entrambi. Col pur gradevole primo, C&C sembravano destinati a restare in una nicchia di tappezzeria folk elegante ma sterile. Del declino inarrestabile e pluriennale di Mark-One ho già scritto fino allo sfinimento. Su Drawing of threes mette voce e testi nel 70% del lotto, e lievi brividi di sapore RHP ci scorrono lungo la schiena; sono sensazioni più inerenti alla seconda vita degli imbianchini, quella di Songs for a blue guitar e Old Ramon per intenderci, ma con spiccate eleganza e compostezza. Sarà merito anche di Connolly, che sembra quasi silente tanto è funzionale ma nel complesso strumentale è pressochè l'uomo in più. La scala di valori vede due perle da salvare e custodire nel miglior canzoniere kozelekiano e dintorni: la divina, delicatissima Turtle Pond e la complessa, articolata Mölle. A seguire l'elegia affranta di Vernon Forrest, le suadenti trame chitarristiche di Randy Quaid, il loop crazyhorsiano di Diana, lo strumentale Matchlight Arcana che chiude con una vena solare quasi inaspettata. Non un capolavoro, ma indispensabile per i fans del Nostro.

venerdì 6 ottobre 2017

Clash - The Clash (1977)

In occasione del quarantennale del loro debutto, ascolto un disco dei Clash per la prima volta nella mia vita. Per capire il motivo di questa omissione, devo compiere una serie di riflessioni personali; in giovane età non fui attirato in modo particolare dal punk classico anglosassone, a meno che non si parlasse dei primi Wire. E poi per me sostanzialmente il nome Clash significava quei 2-3 pezzi famosi in heavy rotation che di solito i dj mettevano nei locali alternativi poco dopo la fine dei concerti (sempre appaiati a Psycho Killer, Aca Toro, Sheena is a punk rocker ed altri) che mi facevano scendere la catena spirituale o comunque sgonfiavano di netto la tensione positiva accumulata; vedere la gente pogare su pezzi così poco significanti mi dava l'immediato desiderio di tornare a casa. Per questo, li ho sempre snobbati a piè pari.
Detto ciò, oggi non disdegno di certo questo disco di impatto storico; d'altra parte è sempre stato notorio che i Clash fossero band con una dote artistica importante ed andarono oltre il punk con brillantezza. La prima metà della scaletta è infuocata, divertente ed in fondo in fondo fatta di motivi pop declinati con tiro oculato e foga trascinante. Peccato che la seconda veda un declino della qualità piuttosto netto. Al netto di tutto, pezzi come Complete Control, White Riot, White Man in Hammersmith Palais e I Fought The Law restano memorabili. Oops: quest'ultimo era uno dei famosi tormentoni post-concerto. Effetto nostalgia?

mercoledì 4 ottobre 2017

Locrian ‎– Infinite Dissolution (2015)

Una presenza più fisica, quella dei Locrian attuali. E' chiaro che rispetto ai devastanti esordi siamo di fronte a musiche meno avanguardistiche, il drone-metal che li ha fatti conoscere ha subito un processo di autocombustione e l'acquisto in pianta stabile del batterista Hess ha contribuito in maniera decisa ad un cambio di marcia drastico. Dopo il disco progressive, ecco quello epic-instru; Infinite dissolution gioca le sue carte sugli orizzonti ampissimi, sulle distese panoramiche, sulle alternanze pesantezza/solennità. Nonostante una falsa partenza black-metal, l'opener Arc of extinction, il percorso si snoda in maniera avvincente, fra Explosions In The Sky e Sunn O))), con la voce isterica che di tanto in tanto fa capolino, qualche azzeccatissima divagazione a stemperare la tensione (la sonata per mellotron ed usignoli di KXL II), e la potenza espressiva resa al massimo da una produzione perfetta. I detrattori li spingeranno ancor più giù dalla torre, ma io continuo a pormi la classica domanda: cosa mai avrebbero dovuto fare? Ripetersi all'infinito?

lunedì 2 ottobre 2017

Sand – Desert Navigation (2011-1974)

Reietti com'erano, i Sand non riuscirono ad andare oltre la pubblicazione di Golem ed hanno dovuto aspettare quasi 40 anni per vedere uscire le registrazioni che accumularono prima e dopo quel gioiello. Sono ben 4 i cd rilasciati dalla francese Rotorelief, che si è occupata di questa meritoria opera di riesumazione dall'oblio di materiali che, seppur inevitabilmente discontinui e disomogenei, danno una conferma della portata che ebbe il trio sassone sulle musiche future. Metà della scaletta è contemporanea alla realizzazione di Golem; Vulture I e II, doppio affronto di elettronica sulfurea e disturbante, forse la cosa più vicina a quel proto-industrial con cui vengono taggati spesso. La lunga cantilena di Desert Storm poggia su basi mediorientali. Due tracce sono del 1975; la splendida ballad acustica Burning House e la nevrotica Touch The Tyrants, che curiosamente mi ha ricordato i Cosmic Jokers. Appare un po' fuori contesto Tendrara (1982), unico ripescaggio di tutte le ristampe successivo al 1976. Siamo dalle parti di un electro-gothic con gelida voce femminile; l'effetto è molto valido, anche se era evidente che per i Sand il tempo era scaduto. La media finale è sempre buona, anche se resta il dubbio che una migliore compilazione di tutti i lotti avrebbe giovato alla resa finale.