lunedì 31 dicembre 2018

Cure ‎– Torn Down: Mixed Up Extras 2018

Mentre si vocifera che siano in studio alle prese con un nuovo disco (e non è che la notizia mi entusiasmi un granchè, in verità), Ciccio Smith continua la serie di rimasterizzazioni prendendo in esame Mixed Up, che nel 1990 iniziò una famigerata serie di brutalizzazioni a base di elettronica. Ho quasi sempre detestato i remix dei Cure, trovandoli prolissi, inadatti e vacui. In un periodo vuoto come questo, è quasi inevitabile che Ciccio ci si butti a pesce ed infatti l'output è stato addirittura triplo: rimasterizzazione dell'originale, secondo disco di lati-b 82-90 (alcuni dei quali già conosciuti su Join the dots) e terzo di nuove rielucubrazioni, per l'appunto Torn Down.
Sulla scia retrospettivale che corrisponde all'inesorabile china degli ultimi 15 anni, sono 18 pezzi in ordine cronologico, ciascuno per ogni album. E sorpresa, sono quasi tutti molto buoni, persino quelli più recenti. Ovvio che il maggior interesse verta sul vecchiume ed è curioso che le scelte siano tutt'altro che scontate; M, A Strange Day, Just One Kiss, Like Cockatoos e Plainsong non furono certo gli hits principali dei rispettivi album. Il bello è che Ciccio trova un equilibrio sonoro davvero invidabile, per una rendition generale più organica possibile, con delle soluzioni arrangiative che da lui non mi sarei aspettato. Che la saggezza lo abbia avvinghiato ai 60 anni?
In massiccia heavy rotation per me in questi giorni la Bright Birds Mix 2018 di The Drowning Man, una meraviglia stratosferica da inserire nel best dei best.

sabato 29 dicembre 2018

Scream From The List 78 - Deutsch Amerikanische Freundschaft ‎– Produkt Der Deutsch-Amerikanischen Freundschaft (1979)

La storia dei tedeschi DAF, legata essenzialmente al cantante Delgado, al batterista/programmatore Gorl ed ai loro minimali ed ossessivi synth-driven-anthems, ebbe un inizio profondamente no-art-wave, con questo album composto da 22 schegge impazzite. Il quintetto, registrato il tutto col vocalist di origini spagnole, fece retromarcia e lo fece accomodare in sala d'attesa, epurando la sua performance dall'output finale; diciamo la verità, non se ne sente la mancanza. Il suono selvaggio, lo-fi ed ispido di Produkt parla di una band fuori dagli schemi imperanti all'epoca, sia del punk che della prima new-wave; una specie di versione meno colta dei This Heat o spastica dei Chrome, debordante di creatività e nichilismo sui generis. Di lì a poco si trasferiranno a Londra in cerca di fortuna, e presto si ridurranno al duo storico che si toglierà più di una soddisfazione a livello internazionale. Ma questo infuocato debut album resterà per sempre il loro zenith artistico.

giovedì 27 dicembre 2018

Narassa ‎– Tensione Dinamica (1974)

Episodio per così dire minore della library nazionale, generalmente poco citato nei servizi speciali dedicati. Dietro lo pseudonimo si celava il sassofonista Sandro Brugnolini, che resta più che altro ricordato per la coppia Over e Underground del 1970, più legato allo spaghetti-lounge-sound in auge in quegli anni, in tema di sonorizzazioni e soundtracks. Tensione dinamica ha comunque ottenuto il riconoscimento della ristampa in vinile in anni recenti, più precisamente nel 2016 da parte della milanese specializzata Intervallo. In esso si alternano disincantate e languide bosse, pseudo-jazz da scena carica di suspence, acquarelli astratti alla Fabio Fabor, striature di oscillatori, rasoiate drammatiche di mellotron; un prodotto nella media, più indirizzato ai completisti che ai novizi. Attenzione; per media intendo una che resta altissima, e con disinvoltura.

martedì 25 dicembre 2018

Leyland Kirby ‎– We, So Tired Of All The Darkness In Our Lives (2017)

Non è bello da dire, ma grossomodo da quando ha lasciato Berlino per Cracovia il grande James Kirby ha perso gran parte di quel lirismo e quell'emotività che hanno caratterizzato le sue pagine migliori. La saga Caretaker volge alla conclusione con i 6 capitoli di Everywhere at the end of the time, dal concept ambizioso ma molto poco sorprendente dal punto di vista sonoro. La riesumazione del progetto V/Vm si è concretizzata con un disco di solo piano molto deludente, per il retrogusto parodistico. Ci consoliamo con questo, l'ultimo LK, un ritorno più che dignitoso alla sua hypno-ambient; We, so tired of all the darkness in our lives (solito grande titolo poetico) se non altro introduce la rilevante novità della presenza massiccia di una batteria elettronica, che pigramente scandisce gran parte dei 16 titoli. Un disco molto espanso e solenne, che per via di questi ritmi strascicati crea un nuovo possibile orizzonte negli sviluppi del LK sound. Non sarà uno dei suoi migliori titoli in discografia, ma lo accettiamo più che volentieri.

domenica 23 dicembre 2018

Zint Group ‎– Curve And Crane (1990)

Quintetto milanese con questo unico vinile in carniere, scovato su un Ripeschiamoli di un Blow Up di un annetto fa. E sfortunato, direi, a trovarsi in Italia, in un periodo non proprio favorevole; infilati a forza in quell'orrendume che fu il famigerato calderone neo-prog.
Nulla di tutto questo, ovviamente: nel 1990 sarebbe stato complicato incasellare lo ZG, guidato dal vocalist / polistrumentista / compositore Fabio Martini. Trattavasi di una notevole formula di art-rock, vagamente imparentata col progressive per gli scarti ritmici ma completamente avulsa dalle atmosfere favolistiche in quanto molto vicina alla new-wave più colta, non necesariamente di derivazione british quanto mitteleuropea. Il recensore di BU ha tirato in ballo PH & VDGG, io starei un po' più basso, ma ciò non toglie che si trattava di una ricerca molto originale, che poteva anche richiamare i King Crimson del 1980-81. Ottime le doti tecniche, peccato per qualche pecca produttiva (batteria semi-fustinata, tastiere midi, ma in quanti si sono salvati da questi demoni?), ma soprattutto peccato per la mancanza di seguito: avrebbero potuto fare ottime cose.

venerdì 21 dicembre 2018

Heidika ‎– There Is No Cure & Other Songs (2005)

Probabilmente l'ultimo monicker della galassia Richard Skelton che ancora non avevo toccato, e stando all'enciclopedia Discogs primo prodotto in assoluto della sua discografia, in quanto codificato SR01 su Sustain-Release, antecedente all'esordio Carousell. Ai suoi esordi il nostro Riccardo snocciolava una folk-tronica piuttosto quieta e dopotutto abbastanza solare, ben diversa dalle tempeste emozionali che lo renderanno un grandissimo. Tessuto principalmente su delicati arpeggi di acustica e sporcato da vari effetti elettronici, There is no cure consta di una ventina di minuti abbastanza lineari, con qualche impennata lirica che lasciava soltanto intravedere la stoffa pregiata dell'artista, soprattutto per gli inserti violinistici. In ottica futura, un più che buon presagio.

mercoledì 19 dicembre 2018

Talk Talk ‎– Laughing Stock (1991)

Solo poche parole per un grande capolavoro fuori dal tempo in cui venne distribuito. Il mio ricordo; ero un bambino quando le radio commerciali battevano fortissimo con Such a shame e It's my life. Due anni dopo le hits di The Colour of spring passavano più di rado, con le aspettative un po' raffreddate persino per i conduttori radiofonici. Altri due anni dopo e gli stessi si chiedevano cosa fosse successo a Mark Hollis, perchè avesse buttato via così il suo successo con quello strano oggetto chiamato Spirit of eden. Al termine della corsa TT, delle radio non era più neanche interesse mettere in onda Laughing Stock. Era quasi più un vincolo contrattuale da sbrigare per la Polydor, ormai disinteressata ad un artista che non ne voleva più sapere di darsi in pasto alle masse.
Laughing Stock; meglio o no di Spirit Of Eden? Questo è un dilemma che probabilmente non risolverò mai, tanta è la meraviglia che sprigiona. Il bozzolo che era stato impiantato 5 anni prima con la divina Chameleon Day aveva attecchito perfettamente. Questo è il suono del surreale più serio, della levitazione pura, del subconscio liberato dalle pastoie del vivere quotidiano. Serve una tonica sola, come quella fragorosissima di Ascension Day o quella metafisica di Taphead. Ma ho già commesso un'ingiustizia; torno indietro subito, esplodo in una risata e faccio ripartire lo Stock. Magia.

lunedì 17 dicembre 2018

Sin Ropas ‎– Fire Prizes (2005)

Progetto di Tim Hurley, bassista dei Califone, che pigramente ha dato alle stampe 5 album in 16 anni. La derivazione è chiaramente quella non solo dei sopracitati, ma anche del gruppo madre del leader Rutili, ovvero i gloriosi Red Red Meat; un post-blues-indie-folk strascicato, molto elettrico, slacker e dai ritmi vicini allo slow-core. In Fire Prizes, terzo della serie, si sentono anche forti echi di Neil Young e Will Oldham, quindi si potrebbe dire che i SR sono un appendice più tradizionalista rispetto alle origini, ma il disco funziona perfettamente fra le sue moviole, le impennate chitarristiche di grande enfasi e le canzoni, che dopotutto sono buone e basta.

sabato 15 dicembre 2018

Rush ‎– Permanent Waves (1980)

Per un gruppo come i Rush il periodo migliore fu a cavallo del 1980: emacipatisi dai modelli che seguivano ad inizio carriera, negli anni dell'esplosione new-wave trovarono una loro cifra stilistica, inclusa la maggior accessibilità, senza tradire spudoratamente l'integrità del loro power-pop-progressive. Di certo il loro successo dovette molto a pezzi come The spirit of the radio, che di Permanent Waves fu singolo di lancio verso le grandi masse. L'album è ottimamente bilanciato fra le cose più easy e quelle più tecnicistiche, in cui fare sfoggio delle innegabili doti. Da citare perlomeno Jacob's Ladder, che conserva con gran gusto il piglio prog e qualche scenario crepuscolare, la ballad Different string e la mini suite Natural Science, che inizia umilmente con uno strumming acustico per poi esplodere in un vortice hard davvero notevole.

giovedì 13 dicembre 2018

Jim O'Rourke ‎– I'm Happy, And I'm Singing, And A 1, 2, 3, 4 (2001)

Pitchfork gli ha dato 9.0, PS invece 5/10. La media è esattamente il voto che darei io a questo album che nel 2001 vide il (provvisorio) ritorno alle sonorità meno scontate e di avanguardia dal cui humus il buon Jimmy aveva mosso i primi passi di musicista. Nello stesso anno, per dire, aveva pubblicato su Drag City Insignificance, un disco di rock ordinario che più ordinario si poteva (per quanto la parola ordinario possa essere un complimento nei confronti di questo moderno guastatore e diciamocelo, grande produttore). In questo live registrato fra New York e Osaka ce lo ritroviamo alle prese col minimalismo, con l'elettronica analogica, con il glitch tanto in voga ai tempi, per un trio di titoli che sembrano costruiti in forma compatta e con una sequenza tutt'altro che casuale, anzichè prelevati da un palco (non si sente nessuno fiatare, e la qualità del suono non a caso è pari a quella di uno studio). Per questo, pur partendo da premesse tutto sommato non molto originali, è innegabile che si tratti di un capitolo elegante e raffinato, oserei dire, di volgare contemporanea elettronica.

martedì 11 dicembre 2018

Comsat Angels ‎– Sleep No More (1981)

Un suggerimento tira l'altro, così il buon Fabio mi ha consigliato l'ascolto di questa band di Sheffield che, devo essere onesto, ritenevo minore sulla base delle letture su di loro inerenti che mi erano capitate nel corso degli anni. D'altra parte, ho sempre pensato che anche per la new-wave storica valesse il postulato per cui, nel mazzo di valore, qualche scartino c'è sempre. Invece.
Questo quartetto venne scritturato dalla Polydor e realizzò 3 album perfettamente aderenti al trend della prima dark-wave, col santino Joy Division bene in evidenza, com'era inevitabile, ma comunque di medio-alto valore, paragonabile anche a Sound e Modern English, e perchè no, i primissimi U2, con i quali divisero anche un tour. Voce nasale e algida, tastiere atmosferiche, sezione ritmica bella marcata e qualche grande pezzo. Su questo loro secondo, sicuramente The Eye Dance, Be Brave, Dark Parade. Il potenziale commerciale era enorme, in ottica di progressione, ma in un certo senso per lorò andò a finire come per i Sound: grande tenacia e voglia di farcela, pochi risultati.

lunedì 10 dicembre 2018

domenica 9 dicembre 2018

Keiji Haino ‎– Abandon All Words At A Stroke, So That Prayer Can Come Spilling Out (2001)

Scelta oculata dalla sterminatissima discografia di KH, se non altro perchè PS gli ha affibbiato un bel 7/10 e poi in quanto rientra nella categoria "dischi senza chitarra, e quindi interessanti per recepire traiettorie diagonali della sua arte".
In tal senso, questo doppio cd rilasciato nel 2001 dalla canadese Alien8, una label che si è sempre dedicata parecchio al Sol Levante, si tratta di un vero centro perchè Whereto Can I Cast Away This Fragrant Echo Called The End, So That I May Summon An Awakening From The Other Side? è un eccezionale suite di 47 minuti per hurdy-gurdy e voce. Ci si dimentichi del suono tradizionale di questo antico strumento; KH lo trasforma in macchina dronica generatrice di paesaggi foschissimi, di nebbie glaciali, di insostenibili thrilling, suonandola di fatto come avrebbe trattato la sua 6 corde. Un viaggio indimenticabile.
Col secondo cd purtroppo non si replica la magia: con I Have Decided To Tear You To Pieces. Whether You Become Light Or Darkness Depends On You. I Wonder, Which Shall You Choose? KH si lancia sulle percussioni (sia acustiche che elettroniche) alla sua maniera, come un samurai impazzito, corredando con le sue urla belluine in una consueta performance estremista. Detto che 44 minuti così sono decisamente troppi, per quanto le variazioni siano innumerevoli, se non altro il capitolo resta una sua pietra angolare per la prima suite, davvero monumentale.

venerdì 7 dicembre 2018

Bare Minimum ‎– Bare Minimum (1996)

Completiamo la risicata discografia del Minimo Sindacale, questo quartetto che dalla Bay Area si mosse a Seattle, senza fortuna: il grunge era già finito, figuriamoci se c'era spazio per una musica senza tanti compromessi come la loro. L'esordio omonimo non fu per nulla inferiore all'ottimo Can't cure the nailbiters che finì per essere il canto del cigno; un alternative noise di vaga derivazione hardcore, non molto dissimile da quanto stavano realizzando nello stesso anno i Crownhate Ruin. Quindi, una band già matura nel mettere in scena 5 pezzi piuttosto lunghi, innestati di venature slintiane, dalle ritmiche scomposte, dalla voce incattivita e dalle chitarre spigolose ed affilate. Da recuperare per chi ama questi suoni così novantiani, ma invecchiati alla grande.

mercoledì 5 dicembre 2018

Sleep ‎– The Sciences (2018)

Ci sono voluti 9 anni dalla reunion ufficiale per ritrovarci fra le mani il nuovo disco degli Sleep, con un artwork curiosamente fantascientifico; eppure basta scrutare un secondo in più fronte e retro per avvistare dei cimotti di ganja che galleggiano nello spazio, fra la sonda e l'astronauta, o per meglio dire, il Marijuanaut di cui si fa il Theme in uno dei migliori episodi dell'album.
Non importa che cosa ci si aspettasse da Cisneros e Pike; quello che si voleva da loro ce l'hanno consegnato, e con l'ausilio fondamentale di Roeder, che si conferma un drummer pienamente all'altezza. Sono 6 pezzi in tutto, non si esagera con le durate (al massimo si arriva ai 14 minuti di Antarticans thawed, che sembra una miniatura involontaria di Dopesmoker ma in sostanza è l'episodio meno entusiasmante), il suono è quello bello che fa vibrare gli attributi, la forma è stellare nonostante barbe ingrigite ed occhiali. Marijuanaut's theme viaggia ad una velocità che per i loro standard è quasi supersonica, con Cisneros che svisa alla grande. Quasi di rigore il battesimo discografico di Sonic Titan, un live-must fin dai tempi di Holy Mountain. L'omaggio Giza Butler spicca per il motivo iniziale, quasi mediorientale, alla Om, per poi innervarsi della potenza sismica propulsiva. Splendido il finale di The Botanist, che concede prima atmosfere rilassate grazie ad un inedita chitarra pulita di Pike ed una seconda parte pseudo-dub-freeform con feedback raggelanti. 
Lunga seconda vita a questi re.

lunedì 3 dicembre 2018

Faucet ‎– Faucet (1995)

Oscurissima band che realizzò soltanto questo omonimo su Southern, e del quale lessi una recensione positiva sul n. 0 di Blow Up. Restarono segnati sui miei appunti degli acquisti da valutare, invano; ma oltre vent'anni dopo pervengo all'ascolto, e si tratta di un noise-rock tipicamente USA invecchiato alla grande. Attacco a doppia chitarra fragososa ma non chiassosa, ritmiche spesso dispari, l'influenza dei Rapeman e Steve Albini che circola ma non opprime, qualche curiosa incursione vagamente hard-rock (a giustificare le lunghe criniere dei componenti, direi). Quel che si dice un disco cazzuto e vigoroso, seppur un po' monocromatico; non avrebbero mai cambiato la storia ma hanno lasciato un più che buon lascito.

sabato 1 dicembre 2018

Angelic Process ‎– Coma Waering (2003)

Per me che ho ascoltato per primo il disco finale del duo georgiano, l'analisi della retroguardia è stata di rigore e scoprire Coma Waering è stata ancor più una sorpresa. Se nell'atto conclusivo il duo concentrava l'enfasi sulle melodie ricoperte di plutonio radioattivo, sul secondo si destreggiava in sfide titaniche con grande attenzione per le ritmiche, per un risultato finale articolatissimo, per non dire spericolato. I saliscendi che si susseguono senza sosta, così come le esplosioni, i goticismi che trasudano da tutti i pori (il pensiero vola rapidamente a Pornography), le avvincenti composizioni, rendono Coma Waering il loro disco migliore; a 15 anni di distanza, per non dimenticarli, per l'importanza e l'originalità che hanno rivestito come attori di un suono immediatamente riconoscibile.