Secondo ed ultimo album di questo grande math-trio spentosi alla fine del millennio. Nel 2014 si riunirono per un tour coast-to-coast e sperai a lungo che tornassero a registrare qualcosa di nuovo, ma purtroppo non se ne fece nulla.
Se la schizofrenia era sembrata il loro tratto più distintivo su Flemish Altruism, su Inindipendence il quadro clinico era decisamente peggiorato, e fu il miglior segno che potessero dare, anche perchè il disco è maggiormente a fuoco, facendo risaltare anche il sardonico sense of humour portato in dote.
E la registrazione è magnifica, a firma di garanzia Brian Paulson.
E' soprattutto lo showcase del batterista Connors, un performer spettacolare che avrebbe meritato una carriera ben più lunga ed espositiva. La filiazione Slint/Codeine è ancora presente, ma solo come rampa di lancio per le elucubrazioni di The Dutch Fist, Michael Anthony e It's Salmon; le composizioni sono contorte, elaborate e spigolose, capaci di passare da un lento spiritato ad una violenta aggressione. La Top track è Look at that car, It's Full of Balloons.
Ma erano i segnali di discontinuità a rendere ottimisti per il futuro, almeno io lo ero nel 1999 quando consumavo questo cd fino a mandarlo a memoria: i 18 minuti strumentali di The Smell Of Hot, un irrisolto enigma del post-rock, autentico labirinto che travalica le loro certezze, e la coda Discoier, un dolente crepuscolare scandito dal pianoforte in punta di dita, la cosa più seria che avessero mai fatto, un involontario addio.
Era finita, purtroppo. Ne avrei voluto molto, molto di più.
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