Completa la trilogia iniziale del trio di Duluth, seguito del primo prezioso e del secondo, essenziale. Poco da aggiungere, se non la felicissima reiterazione di una formula impareggiabile nel suo essere disarmato, disarmante, arrendevole ed arresa. Il calore del focolare invernale contro l'austerità, la liturgia e l'ascetica, la levitazione di quelle voci coniugate e coniuganti. Spiccano l'aerea Coattails, la progressione redhousepaintersiana Standby, la rarefazione sospesa di Laugh, il quarto d'ora di Do you know how to waltz?, con la novità di una stratificazione chitarristica ambient-core che ipnotizza e mette scompiglio, pur nella sua compostezza formale. Un disco lunghissimo, indissolubile e da amare per il resto della propria vita. Come i due sopracitati, all'epoca me lo persi e resta un rimpianto personale difficilmente colmabile, perchè potrò ascoltarlo altre mille volte ma non lo sentirò mai mio come altri.
sabato 5 ottobre 2019
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