Se pensiamo bene all'anno in questione, 1971, una cosa del genere poteva venir fuori soltanto dal Giappone. E da una formazione che aveva come vocalist quel matto di Keiji Haino, qui ai primi passi.
I LA partivano da un substrato free-jazz psicotico e fuori dai generis, ma il ruolo e le performance di KH lo rendevano a dir poco inqualificabile. Non ci sono pressochè info che possono aiutare a capire la line-up, ciò che è sicuro è che con lui c'erano un batterista ed un pianista altrettanto folli nelle loro improvvisazioni radicali, immagino qui catturate live in studio. I pezzi sono 3 e tutti privi di titolo, e nel secondo (38 minuti!) pare di udire anche un contrabbasso, inoltre il feedback del microfono è talmente diffuso che diventa in pratica uno strumento (per modo di dire) aggiunto.
KH sfoggia un bestiario di grida, gemiti e schiamazzi fuori di testa, un banzai costante da camicia di forza. Il terzo pezzo, il più inquietante ed infernale, lo vede alzare la tonalità in modalità spacca-vetri. Nel secondo si materializza un canovaccio di forma composita, in cui i LA realizzano una specie di elegante vaudeville jazzato. L'effetto è quello di boccata d'ossigeno, anche se KH non lascia spazio alla convenzionalità neanche in questa sede.
Il primo ascolto mi aveva procurato fastidio. Ma già al secondo, si può apprezzare il fatto che questo approccio noise-naif li rendeva di un originalità inaudita.
I LA partivano da un substrato free-jazz psicotico e fuori dai generis, ma il ruolo e le performance di KH lo rendevano a dir poco inqualificabile. Non ci sono pressochè info che possono aiutare a capire la line-up, ciò che è sicuro è che con lui c'erano un batterista ed un pianista altrettanto folli nelle loro improvvisazioni radicali, immagino qui catturate live in studio. I pezzi sono 3 e tutti privi di titolo, e nel secondo (38 minuti!) pare di udire anche un contrabbasso, inoltre il feedback del microfono è talmente diffuso che diventa in pratica uno strumento (per modo di dire) aggiunto.
KH sfoggia un bestiario di grida, gemiti e schiamazzi fuori di testa, un banzai costante da camicia di forza. Il terzo pezzo, il più inquietante ed infernale, lo vede alzare la tonalità in modalità spacca-vetri. Nel secondo si materializza un canovaccio di forma composita, in cui i LA realizzano una specie di elegante vaudeville jazzato. L'effetto è quello di boccata d'ossigeno, anche se KH non lascia spazio alla convenzionalità neanche in questa sede.
Il primo ascolto mi aveva procurato fastidio. Ma già al secondo, si può apprezzare il fatto che questo approccio noise-naif li rendeva di un originalità inaudita.
Nessun commento:
Posta un commento