mercoledì 30 novembre 2011

Awake – April Orchestra Présente RCA Sound Vol. 12 (1977)

La library italiana è così di nicchia che sotto certi pseudonimi non si ha neanche la certezza di chi si possa nascondere. E' il caso di Awake, il cui dubbio si dibatte fra Rino/Oronzo De Filippi, sonorizzatore già piuttosto attivo in diversi fronti in quegli anni, e Silvano Chimenti, che invece è un chitarrista prevalentemente occupato come session man nella musica leggera italiana.
Ora, gli indizi (e anche l'ascolto del disco) portano a pensare che si trattasse del primo, visto che qui di chitarra non ve n'è quasi per nulla, ma alla fine è più una curiosità.
Ciò che conta è che questo volume è un gioiello di library spettrale e circospetta, ricca di sfaccettature. La sequenza iniziale di pianoforte di Squallore è già un brivido: note lente ed inquietanti in uno schema a-melodico, doppiate da un humming glaciale presumibilmente femminile. Altre tracce varianti impostate sul piano sono la seriosa Sospensività, Cultura moderna che si circonda di un paio di violini impazziti, Aria tesa con le sue percussioni tribali e il flautino in libera uscita.
Regna ovunque un astratezza fatta di bad trips e dissonanze: le frammentazioni di Sotto la superficie, il thrilling acido di Atomo, i vocalizzi femminili in pena di Evocazione remota, il clarinetto starnazzante di Psicomania ossessiva. Il disco uscì come 12esimo volume di una collana promossa dalla RCA francese, che comprese fra gli altri Niccolai e Morricone. Una sonorizzazione che non sta in piedi da sola, di più! Lo raccomanderei come uno dei primi titoli da scandagliare del proprio settore.

martedì 29 novembre 2011

Auto!Automatic!! - Another round won't Get us Down (2006)

Frizzantissimo e spumeggiante dischetto di math gioviale per questi tre floridiani che sembrano alquanto simpatici e finiscono anche per esserlo in senso strumentale.
Innanzitutto lascerei perdere il frequente paragone che mi è capitato di leggere in qualche review riguardo ai Don Caballero: passi un po' per lo stile del chitarrista Larsen che abusa del tapping e finisce per ricordare un po' lo Ian Williams di American Don, ma sia chiaro che di Damon Chè ce n'è (era?) uno solo. Tuttavia Fedele, il drummer degli A!A!!, si fa apprezzare per le sue doti metronomiche e perfettamente funzionali alle elaborate vignette qui presenti, completate dallo stile pennato (qualcuno si ricorda i Dianogah?) del bassista Murray.
Il rischio che si corre quando tutto è così perfetto e pulitino è che la noia faccia capolino, specialmente se le timbriche degli strumenti non cambiano mai e ancor più se non si hanno grandi doti compositive. In tal senso Another round cerca di ovviare puntando tutto sulle esecuzioni millimetriche e sull'allegria che vorrebbe trasmettere, risultando un buon solco di seconda categoria del genere.

lunedì 28 novembre 2011

Aural Fit - Mubomuso (2010)

E' sempre da tenere sott'occhio, l'underground nipponico, non c'è niente da fare, ogni tanto viene fuori qualche sorpresa che solo là può nascere come questo power-trio della capitale, fautore di una invasione di psycho-noise pantagruelico a dir poco impressionante.
L'evidente scollamento sonoro è il punto di forza, per un sound che necessita di caotica continuità: il chitarrista è evidentemente in un mondo tutto suo, fatto di distorsioni maniacali fuori da ogni binario. La sezione ritmica va per conto proprio ed ha la stessa forza di cento martelli pneumatici, con un batterista in perenne stato di nevrosi avanzata in simbiosi con un bassista ultra-legnoso quanto svisante. In due parole, free-jazz + allucinazioni.
Il bello degli AF è che non fanno nè new-noise nè revival. La combinazione di suono è quanto di più sporco si possa immaginare, ma è anche un viatico a scopi altamente lisergici. Nonostante si finisca per saturare le casse e fare un baccano infernale, non scorgo propositi di violenza in Mubomuso nè tantomeno attacchi gratuiti al sistema. E' una implosione, un emorragia latente che non conosce praticamente soste.
Non c'è monotonia, nella selva infuocata. Basta sintonizzarsi, e poi ci sono alcune grida isolate che somatizzano il dibattersi del dinosauro in gabbia che è Aural Fit.

domenica 27 novembre 2011

Aufgehoben - Khora (2008)

Quinto ed al momento ultimo mostro degli inglesi più radicali che ci siano. Come disse in un intervista Robinson, uno dei due batteristi, per la session di registrazione di Khora avevano intenzione di limitare un po' l'approccio, ma evidentemente hanno perso il controllo e ne è uscito un disco ancor più violento, se possibile, del capolavoro Messidor.
Non ci sono quasi pause, solo la destrutturazione di Annex Organon lascia un po' di fiato a livello ritmico: l'affronto è massimalistico oltre misura, le frequenze paurosamente alte, le casse sature; a livello subliminale è un disco molto più free-jazz (soprattutto A bastard reasoning), ed è la caratteristica che più li rende differenti da Sightings e Wolf Eyes. Provare a seguire il chitarrista Smith è un impresa piuttosto ardua, quanto dolorosa: Jederfursich occupa i 27 minuti finali in una baraonda infernale che spazza via tutto, magari si sarebbe potuto tagliarla un po' e cercare di mescolare le carte come in Ignorance oblivion contempt, che più si riallaccia a Messidor.
Ma l'impressione finale è sempre quella di un annichilimento siderale ed avanguardistico. Fra quanto tempo li si potrà capire?

sabato 26 novembre 2011

A Short Apnea - A Short Apnea (1999)

Esperienza di gran livello per il trio milanese, dalle origini ben note: Iriondo e Cantù di provenienza Afterhours (il primo all'epoca militava ancora) e all'epoca entrambi nei Six Minute War Madness, Magistrali rinomato tecnico/produttore nonchè membro sempre di questi ultimi. Questi rimescolamenti erano sovrapposizioni dettate dall'esigenza di sperimentare, di spingersi sempre più avanti, e A Short Apnea furono eccelsi in questo nonostante la breve durata. A cavallo del decennio, specialmente dopo il secondo album, erano tranquillamente allo stesso livello dei Madrigali Magri.
Questo debutto vedeva un lungo dualismo a viso aperto fra due stili di fondo: l'elettronica più disturbata e malsana vs. le cerebro-fisiche tessiture di reminescenze louisvilliane, June Of '44 più astratti in primis. Ma è solo una semplificazione per tagliare in fretta, la mia: gli stili si sovrappongono, si scontrano e si confondono. Di certo Heat In June però è strettamente della seconda categoria, un quarto d'ora ineffabile di dissonanze e labirintici interscambi fra i due chitarristi, con una batteria sferragliante a dirigere i binari senza sosta. Sconvolgente l'effetto terminale. A short apnea è l'unico frangente con parvenze melodiche, rilassata girandola di accordi psichedelici. Un isola deserta in mezzo alle emissioni sulfuree di La nota nera per il tasto bianco e E-statico, le allucinazioni sonore di Visita notturna al museo mnestico, le vibrazioni inquietanti I've found my eyes e Neon paralleli: comparsa in alcuni di questi il vocalist Ciappini, anch'egli SMWM, con dei recitati spettrali.
La chiusura è riservata alla ghost-acustica Note a margine, splendido esemplare di isolazionismo in economia che avrebbe fatto la gioia di Mark Hollis.
Visionari.

venerdì 25 novembre 2011

Arbouretum - The Gathering (2011)

Ce ne faremo poco, di un gruppo che sembra ancorato all'America di 40 anni fa. Ma se a guidarlo c'è un compositore come Haumann, occorre drizzare le orecchie ed abbandonarsi ad una 40ina di minuti di quelli che ti riconciliano col concetto di ruralità.
E poi se per loro si è mossa la Thrill Jockey, un motivo ci sarà stato. Condividono coi compagni di scuderia ed amici Pontiak (hanno anche realizzato uno split EP) il recupero delle sonorità acid-rock e sfiorano di pochissimo lo stoner, ma piuttosto puntano sulla forma canzone e fanno bene, dal momento che qui ce ne sono e di ottime.
In particolare un paio sono semplicemente fra le migliori che abbia sentito quest'anno: la solenne When Delivery Comes è un lento tramonto sulle praterie sconfinate, con esplosione di violini al momento del chorus, da far venire la pelle d'oca. Ancor meglio riesce a fare Highwayman, un motivo disarmante nella sua semplicità emotiva e ripetitiva, che fa risaltare anche la bella voce limpida di Haumann. Questi vertici però rappresentano il lato più morbido degli Arbouretum, in quanto altrove le chitarre si fanno belle ispide: The white bird è uno stoner al rallentatore con un assolo chitarristico angolare, atipico per gli standard. Destroying to save omaggia alla lontana San Neil Young nelle sue arie elettriche più drammaticamente enfatiche. Il finale si fa sulfureo, con le vampate space-rock di Waxing Crescent e i 10 minuti vulcanici di Song of the Nile.
Per amatori rustici, con pochi patemi di modernismo.

mercoledì 23 novembre 2011

Arab Strap - Music From Rogue Farm (2008)

Colonna sonora per un film animato scozzese di uscita risalente al 2005, ma messa in commercio separatamente soltanto 3 anni dopo sotto forma di download dalla Chemikal. Nonostante si tratti di appena 17 minuti divisi in 11 brevi frammenti, Rogue Farm è una primizia che tutti i AS-heads come me hanno accolto come una piacevolissima scoperta.
Come facilmente prevedibile, il tratto è funzionale allo svolgimento del cartone e spesso le tracce sono interrotte di netto, brutalmente. Siamo nel periodo fra Monday at the hug & pint e The last romance, ma la soundtrack non ha nè la grazia cameristica del primo nè l'asciuttezza rude del secondo. Qua c'erano spunti in abbondanza per fare un disco completo, c'erano le basi per costruire qualcosa che forse sarebbe somigliato vagamente a The red thread. La mano compositiva è nettamente di Middleton, mentre Moffat si occupava dei contrappunti elettronici. Piccolissime gemme come Merge 1, Merge 2, Forest Walk, Blast Off avrebbero potuto arricchire il già immenso canzoniere dei due, ad un passo dallo split.

martedì 22 novembre 2011

Aphex Twin - Selected Ambient Works Vol.2 85-92 (1994)

Degno prosecutore del Vol. 1 che al momento della sua esplosione certificò la già notevole attività, seppur praticamente casalinga di un giovanissimo Richard Mr. Irish James.
Volume decisamente più austero, con pressochè zero ritmi digitali, improntato su una ambient polimorfa che spesso sfocia in new-age scura e scarnificata, di stampo quasi minimalistico. Nella lunghissima lista (è un doppio cd pieno, quindi siamo di fronte a circa 150 minuti di roba) potrei citare la bellissima Rhubarb, Blur/Circles, Blue calx, Lichen, come esempi di purissima dream-ambient dalla leggiadria invidiabile. Come rovescio della medaglia includerei Tree, White blur 2/Rusty metal, Matchsticks in qualità di contraltari da quiete prima della tempesta.
Nel secondo cd si esplora a tratti il lato più sperimentale di James, con White blur/Steel plate, Spots/Leaves Shiny metal rods, che vanno a parare fra industrial nebbiosa e suoni concreti, fino alla rovinosa Tassels che è praticamente power-electronics.
Se non si fosse perso durante gli ultimi 10/12 anni, saremmo qui a parlare di Selected Ambient Works come anticamera di un genio. Invece è solo una selezione di registrazioni casalinghe, ma sempre di semi-genio si trattava.

lunedì 21 novembre 2011

And So I Watch You From Afar - Gangs (2011)

E' un disco anomalo, che disorienta per le sue molteplici sfaccettature: al primo ascolto quasi mi ha irritato, reputandolo vanesio delle qualità tecniche sfoggiate dal quartetto di Belfast. Mi sembravano una replica dei 65daysofstatic, a mio avviso una delle band più sopravvalutate degli ultimi anni, od una brutta copia degli Oxes.
Ma poi le qualità emergono una volta che le si riesce ad imprimere in mente: Gangs contiene dei passaggi di assoluto rilievo per una formazione strumentale che fa salti mortali in controtempo, sciorina chitarroni massiccissimi ma non lesina neanche paesaggi emozionali di grande respiro. Il tutto in un atmosfera di generale allegria, potrei azzardare. Sarà anche per la notevole iniezione di purissimo hard-rock che contamina le partiture.
Vette del disco: la title-track, articolatissima fra power-cicalecci chitarristici, pestate in pieno math-style e rallentamenti soft-post. 7 Billion People all Alive at Once, quasi una versione pop dei Don Caballero. Homes - Ghost Parlor KA -6 to..., che trasferisce rilassate chitarre explosionsiane su un inusitato ritmo in levare. Homes - ...Samara to Belfast, altro ottimo pezzo complicatissimo dalle mille mutazioni, una sorta di sunto globale dell'ASIWYFA sound.
Ci sono tanti riferimenti sparsi, le pesantezze metalliche, persino qualche passaggio wave, ma i nord-irlandesi dopo tutto riescono ad elaborare un disco piuttosto personale. Potrebbero crescere verso qualcosa di ancor più interessante.

domenica 20 novembre 2011

Anahita - Matricaria (2009)

Lungo mantra freak-folk da parte di un duo composto da una solista specialista del genere (la Burke, attiva da anni come Fursaxa) ed una violoncellista, la Espvall. Come ben precisato nelle note del disco, il tutto registrato in casa in un lasso di tempo di 3 anni.
Un trip misticheggiante che sa raggiungere momenti di levitazione esaltanti, come i 14 minuti dell'incanto per violoncello spiritato e vocalizzi angelici a ruota libera di Pirin Planina, di gran lunga il pezzo migliore del lotto seguito dai 9 un po' più sommessi di Velvet shoon.
Ma il duo sa essere anche inquietante e spettrale col loop di banjo e le voci angoscianti di Moi Kissen, nel breve intermezzo morboso di Myrrha, o semplicemente transfuga verso terre incognite in Chalice of cypress.L'operazione in sè è nobile, non c'è dubbio. E' musica per rituali senza neanche un punto di traguardo nè un obiettivo tangibile, che non è dissimile come concettualità dalla jam o dalla impro. E questo forse ne è il suo maggior limite.

mercoledì 16 novembre 2011

Oren Ambarchi - Grapes From The Estate (2004)

La prima volta che ascoltai Ambarchi, qualche anno fa (Insulation), lo trovai non proprio di mio gradimento. Magari non era il momento giusto, fattosta che mi sembrò un sound involuto che mi ricordava gli audio-test fatti in cuffia durante le visite mediche del lavoro, per misurare la capacità uditiva su diverse frequenze.
Questo Grapes, invece, lo apprezzo decisamente. L'australiano ha incontrato una discreta fama avanguardistica per la ricerca del suo suono, diretta ad una purezza astrattiva insistita fino al maniacale. Non potrei giurare che si tratta di un lavoro sulla scia del minimalismo storico, nè che si tratta di un semplice droning-sound. Io la definirei una musico-terapia volta all'ipnotismo più cullante, come nei 20 minuti di Stars aligned, web spuns, fatti di infiniti cerchi concentrici.
Diversamente non saprei spiegare le micro-punte a bassa frequenza nell'intelaiatura di Corkscrew e nella prima parte di Girl with the silver eyes, che da metà in poi si schiude ad una inaspettata serie di splendide pennellate chitarristiche di radice misteriosa.
Già. perchè Ambarchi si siede ed imposta la sua missione sulla 6 corde, ma nasce come nientemento che batterista jazz. E' ora quindi di rispolverare le spazzole e piatti leggerissimi per il capolavoro del disco, la suadente Remedios the beauty: seppur la ritmica si mantenga ad un soffio appena percettibile, la differenza col resto del disco è immane. Una lunga intro minimal di piano elettrico, l'imbastire di una linea pseudo-bassistica, il rintocco circolare di 3-note-3 di chitarra, gli sfrigolii subliminali, e l'effetto estatico è servito.
Ma non così immediato, eh, ci vuole qualche ascolto...e magari fra un po' di tempo riuscirò anche a rivalutare quel traumatico Insulation.

domenica 13 novembre 2011

Alessandro Alessandroni - Light and Heavy Industry (1982)

Lo abbiamo sentito centinaia e centinaia di volte, ma non sapevamo chi fosse. AA oggi ha 86 anni ed è passato alla storia come protagonista di storiche colonne sonore di Morricone come Per un pugno di dollari ed altre, in cui suonava la chitarra e dava fiato al celeberrimo fischiettìo di temi rimasti impressi nella memoria di milioni di persone. Come ho letto da qualche parte, trattasi dell'arma segreta dello spaghetti western degli anni d'oro.
Anche lui si è cimentato con la library durante gli anni '70, ma il valente Valerio Mattioli indica questa come la sua miglior sonorizzazione, quindi a decennio già bell'oltrepassato. Nonostante ciò che il titolo possa far sospettare, qua di industrial non ve n'è traccia alcuna: si tratta di una trafila di bizzarrie per stratificazioni geometriche di chitarre e mandolini, rhytmh boxes e percussioni spartane, con qualche puntatina di piano e synth. Trovatosi presumibilmente a dover musicare un documentario sull'industrializzazione, Alessandroni creò 16 brevi vignette in cui è la dissonanza a regnare incontrastata; se potessi definire un concetto campato in aria come la chitarra classica distorta, qui ci si andrebbe molto vicino. Imitando il passo della catena di montaggio, il ritmo è meccanico ed ossessivo, le 6-corde matematicamente spigolose, spesso raddoppiate da mandolini nevrotici. Titoli come Production line, Microbiology, Electronic assembly-line, Construction e Manufacture sono il top della stravaganza in questa scaletta fatta di avanguardia spiritata e atonale.

sabato 12 novembre 2011

Akron Family - Akron Family (2005)

Gli Animal Collective non mi piacciono, gli Akron Family sì. Trovo la loro proposta gioiosamente semplice e ben elaborata, in grado di reggere la relativa antichità del substrato sostanzialmente folkish, con melodie azzeccate che sembrano a tratti uscire dalla tomba di Syd Barrett. Il tutto arricchito da trovate di arrangiamento che fanno la differenza.
Basti sentire il primo pezzo, Before and again, per capire che era un debutto già maturo. Un motivo fragile con tenui glitches di sfondo, con inusitata coda math-folk. Il disco è abbastanza lungo ma non teme cali di attenzione, sorretto da almeno 4-5 grandi songs: il sogno primaverile di Suchness, l'onirismo ambientale di Part of corey, i synth orchestrali di Sorrow boy, l'incantevole e placida melodia di Shoes, il melanconico autunnale di Lumen, che sfiora territori radioheadiani nel chorus.
Semplici ma ricercati.

venerdì 11 novembre 2011

Air Conditioning - Dead Rails (2007)

Sèguito dell'impressionante Weakness, questo è a tutt'oggi l'ultimo disco degli AC. Che fine avranno fatto questi tre abominevoli pennsylvaniani? Finiti nel proprio gorgo rumoristico?
Se così fosse, un vero peccato. Perchè Dead Rails non è riuscito nell'impresa di eguagliare il precedente, ed una nuova uscita permetterebbe di tastare il polso di un simbolo del free-noise degli ultimi anni. Il trademark è sempre quello di un attacco atonale all'arma bianca, senza mediazioni, di certo privo dell'attrattiva sperimentale dei Sightings o dei Wolf Eyes, ma con una chimica esplosiva tutta sua.
Where to litter / Trash burning è il loro top fumante, nove minuti di assalti, fermate, ripartenze da incubo, le grida umanoidi del bassista Jurgensen echeggianti dal fondo della melma acida. Il proseguimento però perde di tensione: nonostante l'ottimo inizio, Conclusions/Concussions finisce per essere la loro versione dell'hardcore, non molto originale però. I run low è la pausa ambientale, una novità assoluta per loro, 3 minuti di lieve riverbero del chitarrista Franco.
La chiusura, Accept your paralyses / Cephalex, è una mezza delusione: 17 minuti dello stesso tema potente e grandguignolesco, realizzato in modalità jam, un po' stancante alla lunga. Come se fosse la normalizzazione dei loro cunicoli ossessivi.
Spero non si siano infilati in binari morti.

mercoledì 9 novembre 2011

Agitated Radio Pilot - World Winding Down (2007)

Folksinger irlandese, tal Colohan, attivo da oltre 10 anni su microetichette anche di oltreoceano, che propone tenui ed agresti ballads rigorosamente acustiche. Questo è stato l'ultimo disco rilasciato a tutt'oggi, ne lessi un gran bene su un Blow Up di allora.
Nulla di complicato nè maledetto ne tantomeno apocalittico, la musica dell'irlandese è semplicemente composta da quadretti di media durata per chitarra classica, un po' di piano, la sua voce solenne con qualche etereo intervento femminile, qualche riverbero, alcuni interventi strumentali un filino psichedelici (forse i pezzi più interessanti, peraltro). Vive di momenti abbastanza ispirati ed altri molto ordinari, ma il disco è doppio e la lunghezza non è giustificata, visto che la media generale ne risente. Colohan si ritaglia un suo posto dignitoso nel panorama dei folksinger attuali, ma non ha la stoffa dei giganti; tagliandolo a metà con i pezzi migliori World winding down sarebbe stato un ottimo disco, nonostante la proposta sia veramente antica.

martedì 8 novembre 2011

Æthenor - Deep In The Ocean Sunk The Lamp of Light (2006)

O'Malley-O'Sullivan. Che il nome del primo basti a garantire un minimo d'attenzione?
Di fatto Æthenor è uno di quei (non pochissimi, eh) progetti in cui viene da pensare che il primo non sia uno sperperatore del proprio talento, anzi. Il secondo invece è il tastierista dei Guapo, rivalutatore totale del vecchio Fender Rhodes che qui viene impiantato su un substrato che definire ambient è un po' riduttivo, tale è il fascino morboso che questi 4 movimenti sprigionano.
Completa l'organico un altro tastierista, De Roguin.
I è la loro versione della dark-ambient, con un ciclico risuonare di gemiti, rimpasti di suoni deformi, cunicoli cechi.
II è un sordo droning di astrattismo semi-industriale che fiorisce in una luminosa tavolozza di organo.
III stabilisce il vero parallelo coi Guapo in virata illbient: la litania di Fender inquietante e tintinnante, che gira su sè stessa estenuata fino all'ipnosi.
IV prende una piega psichedelico-esoterica non male, poi si espande in un pallone aerostatico krauto, e finisce con un beffardo carillon che sembra voler comunicare era tutto uno scherzo.
Tutto il disco è pervaso da field recordings di ogni tipo, di bleeps, frequenze basse, sfrigolii disturbanti. Si diceva che O'Malley suona la chitarra? E dove sta 'sta chitarra?
Deep in the ocean lascia con un senso di disorientamento, di thrilling in sospeso, di colpi non inferti. E' proprio qui sta il suo grande fascino, unitamente alle trovate sonore ricche di soluzioni sempre spiazzanti.

lunedì 7 novembre 2011

Aereogramme - A story in white (2001)

Ricordo, una decina d'anni fa, quando bazzicavo nel sito della Chemikal Underground alla ricerca di memorabilia sugli AS, l'entusiasmo quasi incontenibile che i suoi tipi esternavano nei confronti degli Aereogramme. Si diceva che fossero destinati ad esplodere, che erano l'espressione più ricercata e moderna possibile dell'alt-rock, e via dicendo.
Non è andata esattamente così, visto che nel 2007 si sciolsero nell'indifferenza generale, dopo esser tornati alla casa madre ed aver pubblicato il loro apice Sleep and release sull'illustre Matador nel 2003. Fra quest'ultimo e il debutto A story in white stava il meglio del quartetto di Glasgow, con sonorità variegate che ancora oggi fanno bella figura.
Ballads delicate (Descending), riffoni metallurgici (The question is complete), impennate progressive (Post-tour), elucubrazioni sotterranee (la suggestiva Egypt), addirittura archi bucolici (Sunday), emo-core convulso (Shouting for Joey). Nonostante la teorica disomogeneità, il gruppo riusciva molto bene ad amalgamare tutti questi umori (da cancellare soltanto lo sbiadito pop di Zionist timing, deprecabilmente vicina ai Placebo).
Fossero approdati ad una major, chissà....

domenica 6 novembre 2011

Acid Mothers Temple & the Melting Paraiso U.F.O. - La Novia (2000)

Collettivo in pista da oltre 20 anni che incarna perfettamente gli stereotipi dell'estremismo giapponese, del massimalismo, del parossismo, veicolati alla psichedelia più totalizzante e fricchettona.
Una summa di Amon Duul e Hawkwind, a parole grosse. Un tributo alle jam lisergiche dei primi '70, con un occhiolino anche agli stordimenti dei Pink Floyd circa Live at Pompei, con l'aggravante di un leader, il chitarrista Kawabata, che non è particolarmente tecnico ma eccelle nella direzione generale di un ensemble che non sembra avere alcun obiettivo se non quello di produrre sballi su sballi.
La Novia è un mega-viaggio di 40 minuti che forgia sostanzialmente un unico riff epico, di potenza mistica notevole; detto così potrebbe diventare una palla mortale, ma sono le variazioni e le pause a renderlo avvincente, in particolare all'altezza del 30esimo minuto con la sua scomposizione cosmica, nonchè il finale acustico, degnissima quiete dopo la tempesta.
Bois tu de la biere è un affascinante ballad dronica, sommessa ma vitalizzata da vocalizzi femminili di possedimento estatico. E' un breve break prima del tour de force Bon voyage au Lsd, 17 minuti soltanto di dissonanze cosmiche in crescendo (si sfiora quasi l'industriale nei momenti più convulsi), forse un po' raffazzonata ed approssimativa ma di sicura presa per chi ancora trova attrazione per questi suoni così antiquati (me compreso).