giovedì 28 giugno 2012

Come - Don't ask don't tell (1994)


A sentirli dopo una vita, non è che i Come siano così irresistibili. Per me non lo erano neanche allora, al di là di come ne parlava bene la stampa specializzata.
Di certo senza una voce graffiante e caratteristica come quella della Zedek poi, sarebbero stati un gruppo un po' anonimo. Senza particolari vette compositive, il tratto distintivo dei Come era negli impasti di chitarre brulicanti, ai limiti del blues acido, nei pezzi perennemente in mid-tempo ed un sentore di sottile perdizione nelle litanie della Zedek.
Ecco cos'è che non mi ha mai convinto più di tanto: avevo l'impressione che una gran parte della sua espressività fosse un po' sforzata, poco spontanea.

martedì 26 giugno 2012

John Coltrane - A love supreme (1965)


Era da un sacco di tempo che mi volevo cimentare nell'ascolto di quello che spesso viene definito il più grande disco della storia del jazz puro. Così eccomi qui oggi, io quasi totale profano della materia, alle prese con questa mezz'ora e rotti.
Non è che possa fornire un giudizio tanto sostanziale, dettato dall'istinto o dalla mia conoscenza musicale che non si è mai addentrata più di tanto in un filone così storicamente importante. Al di là della mostruosità degli strumentisti e l'incredibile complicanza delle strutture, il mio orecchio si è posato principalmene sul suono: stupefacente. Così fedele nonostante l'anno, così vicino e caldo, con un pizzico di riverbero appena appena percettibile.
Non è scoccata una scintilla che mi ci farà tornare sopra nè approfondire l'argomento, ma è solo questione di pelle. Magari in futuro, chi lo sa.

lunedì 25 giugno 2012

Colosseum - The Valentyne Suite (1969)


Grazie all'ambiziosa composizione che gli dà il titolo, The Valentyne Suite è, nell'anno storico 1969, uno dei più gloriosi capiscuola del progressive, potrei dire un fratello minore di In the court of the Crimson King. Gli assi della situazione erano il batteria Hiseman e il tastierista Greenslade, senza nulla togliere agli altri elementi come il sassofonista Hecksall-Smith e il bassista Reeves.
Il disco è a due compartimenti stagni corrispondenti alle facciate: il chitarrista/cantante Litherland è il protagonista della prima, come compositore di 3 pezzi su 4: The kettle è un blues acido e duro all'altezza dei Cream, Elegy swinga elegantemente con arrangiamenti ricchi di archi e coloriture. Butty's blues e The machine demands a sacrifice sono abbastanza standardizzate su quel jazz-blues anglofono dell'epoca che si fa sempre voler bene, ma non particolarmente memorabile.
Il disco va in gloria sulla facciata B: in gran parte farina del sacco di Greenslade, i 17 minuti di The Valentyne suite vibrano intensamente dal primo all'ultimo, sono saghe epiche fra il meditabondo e il guerrigliero, sono stelle inamovibili nel firmamento del nascituro progressive, valgono tanto quanto Epitaph o 21st century schizoid man.

venerdì 22 giugno 2012

William Fowler Collins - Perdition Hill Radio (2009)


Competente drone-metal-freak californiano che si propone con un lavoro fra primi Earth e le cose più estreme dei Boris. Come spesso accade, l'approccio massimalista e totalizzante può diventare un'arma a doppio taglio; la rottura è sempre dietro l'angolo, specialmente nei 20 minuti di Dark Country Road, ma Collins bene o male riesce sempre ad acciuffare per i capelli la situazione e non farne esclusivamente una questione di suono, molto profondo e curato a dire la verità.
Ci riesce con l'ausilio di qualche esplosione inattesa, di alcuni squarci non atonali (The ghost of eden trail), di qualche trovata di field-recording che tutto sommato non guasta.
Certo che i capiscuola però hanno tutto un altro fascino (almeno su di me).

mercoledì 20 giugno 2012

Cocteau Twins - Treasure (1984)


Diciamo che non sottovaluto la portata artistico/storica dei CT, certo. Gli inventori, i capiscuola del dream-pop e tutto quello che ci è andato dietro. Ma se devo essere sincero, non sono mai riuscito a farmeli piacere più di tanto.
E a dirla tutta, senza la voce così peculiare della Fraser, sarebbero stati ben poca cosa. Musicalmente Treasure è un prodotto che porta male i suoi 30 anni, con una delle peggiori batterie elettroniche che abbia mai sentito e le melodie non proprio memorabili di Guthrie. A parte le belle Donimo e Pandora, a livello compositivo non salvo quasi nulla.
Se fosse stato un disco solista della cantante, le avrei suggerito di cambiare i collaboratori.

martedì 19 giugno 2012

Clogs - Lantern (2006)

Si sa bene, che il vero motore trainante dei National è formato dai gemelli Dessner e che il loro punto di forza è sempre stata la composizione, della ricerca continua dell'armonia perfetta ed irregolare.
Nei Clogs, progetto duraturo almeno quanto il gruppo famoso, il chitarrista Bryce è affiancato da una personalità importante quanto lui stesso, la poli-archista/pianista/cantante-all'occorrenza Newsome. Tocca a lei arricchire le sfumature autunnali con i colori pastellati che richiamano l'evocativo sound dei Clogs, all'insegna di un neo-camerismo disincantato. Completano l'organico un'atipico contrabbassista ed un percussionista.
A chi, come me, sembrava che i Rachel's esagerassero un po' troppo con il formalismo, Lantern è piaciuto parecchio. Certe composizioni come 2:3:5, Lantern e 5/4 godono d'ispirazione da soundtrack d'altri tempi, pur restando molto terrene ed accessibili anche a chi non mastica abitualmente neo-classicismi nè tendenze similari.
Auspicherei un gemellaggio coi Gregor Samsa.

sabato 16 giugno 2012

Clock DVA - Digital Soundtracks (1992)


Un'altro residuato nostalgico delle mie
Mental Hours. Il pezzo meccanico e minaccioso di apertura di questo disco, The sensual engine, compariva nientemeno che nella facciata A del vol. 1, datata febbraio 1993. Logico pertanto che il suo riascolto m'inneschi un moto di sorriso.
Detto che sicuramente il gruppo di Sheffield aveva già dato il meglio di sè un decennio prima, in quegli anni si era dato ad una electro-trance gelida abbastanza in auge. Non certo roba da discoteca, con pochi squarci di emotività (Stations of the mind, il momento migliore), e riassumibile in un sound post-kraftwerkiano per ex-industrialisti.
Digital Soundtracks non è proprio esaltante, anche perchè col passare degli anni l'invecchiatura del suono risalta se non era supportata da apposita illuminazione ispirativa. Il suo predecessore, Man-amplified, fu uno dei primissimi cd che acquistai, e lo vendetti una decina d'anni dopo su Ebay.
Resta l'affetto, quello sicuro.

giovedì 14 giugno 2012

Clientele - 4 EPs 2000-2008

Il poker di formato minore rilasciato dagli inglesi nel corso di tutto il decennio.
A fading summer (2000): pura magia, la freschezza avvolgente del sound lo-fi e ultra-genuino, la voce di Maclean fatta passare in un ampli da chitarra, songwriting disarmante, quasi commovente. Saturday, Bicicles, Driving south, An hour before the light, una più bella dell'altra. Nient'altro da dire.
Lost weekend (2003): Sulla scia del piccolo capolavoro The violet hour, lievemente più frizzanti, quasi accattivanti in Emptily Through Holloway e Kelvin Parade. Nella sublime North School Drive compare un piano, e di solo piano è composta la compassata Last orders.
Ariadne (2004): pubblicazione del tutto evitabile, con Ariadne sleeping ancora di solo piano e le due tradizionali Summer Crowds in Europe e Impossible sotto tono. Il nodo centrale è il drone di organo minimale di The sea inside the shell, otto minuti inutili. Passare oltre.
That Night, a Forest Grew (2008): è quasi rock'n'roll, col gruppo talmente esuberante da non sembrare quello di qualche anno prima. Il puro '60's sound di Retiro Park e George says... ci sta ancora, anche se l'ispirazione di un tempo è tramontata e l'assolo di chitarra era veramente evitabile. Ma il funky di Share the night e il surf compresso della title-track suonano quasi innaturali, rispetto alle pubblicazioni principali che non sono mai scese sotto la sufficienza.
Nel complesso, bellissimi i primi due e ben bruttarelli gli altri.

mercoledì 13 giugno 2012

Circle X - The ivory tower (1992)

A poco a poco sto diffondendo tutta la discografia dei Circle X, a questo punto mi manca soltanto un titolo e la mia piccola giustizia personale è fatta. La torre d'avorio altro non era che la raccolta di 4 sette pollici che gli appena riformati avevano rilasciato nel corso del 1992. Si parlava anche di un artwork super-esclusivo e super-limitato, a rilanciare l'idea di band multimediale.
Parlando dei contenuti, si tratta di materiale estremamente infiammabile: Pinotti è il solito invasato, Witsiepe lancia granate a tutto sparo. Ad eccezione del dadaismo pianistico di Crooky Crain, pestavano duro, ai limiti di un noise-rock isterico, ottundente, come in Shiny Blue Orb, Fail Better e Compression of the species. Molto peso per il neo-entrato batterista Kob, andando quindi a rinnegare i percussionismi di Prehistory.
In Champs pourry sembra quasi di sentire una versione post-punk di Captain Beefheart, Some thinhs don't grow back riprende la mesta dark-wave, The pleasure gallows lavora di drone scurissimo e feedbacks, ed allora bisognerebbe chiedere ai Sightings quanto i Circle X fossero avanti. Credo che risponderebbero alla grande.

martedì 12 giugno 2012

Cindytalk - In this world (1988)

Fatica doppia che costò ben tre anni di lavorazione, il secondo atto di Gordon Sharp e compagnia cangiante. Infatti Clancy, il principale artefice della strumentazione nel fulminante Camouflage Heart, se ne era andato e stato sostituito. Apparve chiaro quindi che il vocalist non era solo l'istrione front-(wo)man, ma reale boss della situazione.
E' un doppio, come detto, diviso fra la prima parte (nera pece) e la seconda (estatica). Continuando a sondare gli anfratti e i cunicoli del thrilling industriale, lacerazioni come Circle of shit, Janey's love, The beginning of shadow perseguono chissà quali perdizioni. E' il goticismo fatto ferro, liquefatto in nebbie di zolfo. Di poco sotto al debutto.
Al confronto il secondo disco è un improvvisa ed inattesa redenzione, un lavaggio all'acqua santa, una passeggiata nella superficie dopo esser giunti dagli inferi. Sharp si mette al piano e distilla note contemplative, modeste (immagino non fosse propriamente pianista di formazione), circospette, di tanto in tanto disturbate da un bordone di synth o da un'arrendevole sviolinata.
Nel complesso, quest'ultimo è dispensabile, mentre il primo proseguiva magistralmente rispetto al comunque insuperabile debutto.

lunedì 11 giugno 2012

Piero Ciampi - Live Al Tenco '76, Inediti E Provini (1995)

A metà anni '90, quando la major titolare dei diritti cercò di rinverdire al pubblico le gesta di questo grandissimo artista, oltre alle ristampe in cd dei pochi album pubblicati in vita apparve anche questa raccolta di rarità.
L'attrattiva più succulenta è rappresentata senza dubbio dalla mezz'ora scarsa di una performance dal vivo del 1976: con l'ausilio delle basi preregistrate, un Ciampi in evidente stato di ebbrezza alcoolica si rendeva protagonista di una jam poetico-verbosa a dir poco irresistibile: per gli amanti è parecchio interessante sentire le variazioni su Te lo faccio vedere io, Adius, Il Giocatore. Avvincenti anche i siparietti fra un pezzo e l'altro, e la polemica aperta con uno spettatore reo di averlo interrotto. Un vero peccato che la qualità audio sia infame; complice la voce impastata del poeta, certi passaggi sono quasi incomprensibili.
Le altre 11 tracce invece sono provini grezzi ma ben registrati. Musicalmente, ad orecchio direi che sono registrazioni della seconda metà degli anni '60, precedenti al sodalizio con Marchetti: a parte le conosciute Tu no, Confiteor e Viso di Primavera, sono troppo pigro per indagare se siano effettivamente tutti inediti. E non m'interessa più di tanto: cose come Più di così no, L'ultima volta che la vidi, Albergo, Miserere bastano a captare l'attenzione per la semplice meraviglia delle parole.

domenica 10 giugno 2012

Ci S'Ha - La tarantola (1997)

Curioso esperimento che uscì per la collana I Taccuini del Consorzio Produttori Indipendenti, un meltin' pot fatto di rusticità, freakerie e visionaria toscanità, a partire dal nome del gruppo stesso.
Dall'intro parlata di Guida all'ascolto, in cui si parte dal concetto che prende il titolo del disco e si arriva alle condizioni in cui lo stesso è stato registrato (a base di soffioni e liqueur, carburante cecoslovacco), si entra nel microcosmo tutto alienato dei Ci S'Ha.
Una decisa componente folk sta alla base di tutto, complice anche la scarna line-up (due chitarre e percussioni): le cantilene stonate e volutamente dissonanti hanno la maggiore, anche in versione elettrica come in Libero o amato, con intermezzi sbilenchi fuori fase (da qui il concetto di psichedelia, non tanto animoso ma presente in piccole dosi). Sembra che i Ci S'Ha volessero giocare, ma il feeling choccante e di abbandono a sè stessi prende quasi sempre il sopravvento.
Stile personale senza alcun dubbio, resta la simpatia ma verso la fine c'è un po' di stanchezza.

venerdì 8 giugno 2012

Church - Somewhere Else (1994)

Disco bonus allegato nella versione limitata di Sometime anywhere. Diretti a grandi passi verso il loro capolavoro Magician among the spirits, gli australiani continuavano a fregarsene delle potenzialità commerciali affinando sempre di più le loro tendenze psichedeliche.
Per essere un fratello minore, Somewhere else finisce per affascinare di più rispetto al principale. Innanzitutto per la presenza di uno dei loro highlights assoluti di tutta una carriera, l'immagignifica The time being. Sono sette pezzi fatti di ampi respiri (Macabre Tavern), di sensualità legata all'espansione dell'anima (Leave your clothes on), di acidità tempestose (Cut in two,The myths you made), di sincopi e singulti (Freeze to burn, con inattesa coda space-rock).
Il tutto, sottolineo, sempre con la grande stoffa compositiva di Kilbey e Wilson-Piper al meglio della forma.

mercoledì 6 giugno 2012

Chrome - Chrome Flashback Live (1999)

Un capitolo sospirato e necessario a completare la storia dei Chrome, questo doppio Flashback: tralasciando il cd1, un'antologia di pezzi ben già editi e priva di qualsiasi attrattiva per noi aficionados, si tratta di un live del 1998 in cui Helios Creed omaggiava il periodo storico 1978-1982. Questo ricordando che a causa di Damon Edge in quel lasso i Chrome fecero soltanto due-concerti-due, di cui il leggendario live su richiesta a Bologna nell'81.
Il trio di supporto suona secco e roccioso ed è stata un'emozione sentire per la prima volta versioni differenti di Chromosome Damage, March of the Chrome Police, Abstract Nympho, Meet you in the subway, Zombie Warfare, Firebomb ed altri. La dimensione palco ovviamente toglieva la possibilità di ricreare quei magici trucchi di studio, dando un sentore space-rock tutto pathos e metallo profumato, tanto per citare.
E quella chitarra puntata come un bazooka, beh...Fa ancora il suo effetto.

martedì 5 giugno 2012

Christian Death - Iconologia (1993)

A distanza di 10 anni dal grande debutto Only theatre of pain, il miglior disco americano in assoluto del dark-punk, l'instabile Williams era in piena attività con gli Shadow Project e in piena battaglia legale nei confronti del nucleo Christian Death di Valor, ormai trapiantato in Europa da diversi anni. Iconologia vede l'estemporanea reunion proprio di quella band che annoverava il chitarrista Agnew, ed ovviamente era una riproposizione live di tal disco in misura integrale.
La prima sorpresa è il roboante impatto di pubblico delirante che si sente fra un pezzo e l'altro, ma si sa, i dark sono sempre stati un popolo molto estremo. La resa in ogni caso è molto cruda, essenziale e quasi frettolosa. Williams è rabbioso oltre misura ed evita pressochè qualsiasi sfumatura che caricava di fascino le sue intrerpretazioni. Il trio appare un po' arrugginito ma tira fuori le unghie, e classici indimenticabili come Mysterium Iniquitatis, Stairs (Uncertain Journey), Figurative Theatre e Cavity 1St Communion si fanno sempre ascoltare con piacere.
Live abbastanza grezzo quindi, che non si fa certo preferire all'originale: un documento curioso solo per gli estimatori.

lunedì 4 giugno 2012

Cherubs – Short Of Popular (1996)

Power-trio di Austin creato dal batterista degli Ed Hall, quindi texani, quindi sotto la valorosa egida della Trance Syndicate.
Sebbene li abbia ascoltati per la prima volta nel 1995, fino ad oggi non mi ero mai documentato su di loro e mi è caduta una barriera: ero convintissimo che alla voce ci fosse una ragazza. Isterica, urlata, di corde vocali spinate ma mi sembrava veramente femminile ed invece oggi scopro che si trattava di Whitley degli Ed Hall reinventatosi chitarrista e cantante. Bah.
Short of popular, raccolta di singoli, featuring e rarità varie, uscì postumo perchè il trio si era sciolto dopo il secondo album del 1994, e faceva un noise-rock ferale e slabbrato. Quando ci davano dentro in velocità il muro era bello frontale (Carjack Fairy, Quitter, Chanukka), quando rallentavano entravano in un pantano bello malsano (Little candy hearts, Oh), per non riferire di caos putridi come Sinatras. La raccolta soffre inevitabilmente di mancanza di omogeneità e i Cherubs non verranno mai annoverati fra i nomi maggiori del genere, ma i due dischi pubblicati in vita furono più che buoni.

venerdì 1 giugno 2012

Codeine - Live in Locomotiv 31-05-2012

Alcune volte la numerologia fa riflettere. 18 anni fa avevo 18 anni ed usciva l'ultimo atto dei Codeine, un disco che mi sconvolse e che amai come pochissimi altri. E poi a chiedermi perchè Immerwahr ed Engle si fossero dissolti così nel nulla, senza lasciare una traccia. Poi qualche anno fa all'improvviso l'intervista esclusiva su Blow Up in occasione di un memoriale, in cui si parlava soltanto di un uscita che raccogliesse le rarità e gli inediti, che poi provvidi ad autocostruirmi da solo. In quella sede dichiaravano che sarebbe uscita presto: sono passati 6 anni e con la loro proverbiale lentezza ci sono arrivati. Si chiama When I see the sun.
Un paio di mesi fa, la notizia di una reunion dal vivo mi ha fatto trasalire. Ieri sera c'è stata l'unica data italiana al Locomotiv e non nascondo che è stata una grande emozione per me riuscire a vederli, non tanto per l'indiscutibile importanza storica che hanno avuto quanto per il legame affettivo che ho con i newyorkesi.
Avevo pensato fra me e me che la location non fosse quella ideale: un evento del genere forse sarebbe stato più consono all'Estragon. Alla fine invece il locale mi è sembrato pieno il giusto, senza il classico effetto sardina. Durante i due supporti (bravi i secondi, un trio epic-instru che evità quasi qualsiasi banalità) vedo e riconosco Engle, occhialuto e col capello completamente imbiancato. Il batterista è Brokaw; speravo ci fosse Scharin, ma va bene lo stesso.
Il pubblico mi sorprende: mi attendevo una selva di quarantenni e dintorni ed invece l'età media mi sembra abbastanza bassa. E' comunque disciplinatissimo ed ascolta in religioso silenzio fin da quando, alle 23.20, la codeina ci viene iniettata in corpo.
Immerwahr annuncia laconicamente Good evening, we're Codeine from NYC. E parte subito D.
Sono timidi e composti, sono lo specchio della loro musica. La voce è rimasta lo stesso sibilo fragile. Engle è fermo come un palo della luce, viso perennemente rivolto verso la tastiera della Telecaster. Brokaw sferraglia marmoreo come da copione, e la sua presenza non esclude gli estratti da White Birch: versioni leggermente ridotte di Tom e Sea, poi Loss Leader e Vacancy.














Lo scienziato-nella-vita snocciola qualche battuta, oltre a ribadire quanto sia bello ed emozionante per loro essere qui. La presa in giro ad Engle in difficoltà nell'accordarsi (questi sono i contro di avere un chitarrista nella band), la l'ultima volta in cui sono stato a Bologna penso voi aveste 10 anni, nel frattempo siete cresciuti bene, la dopo 18 anni è veramente dura suonare. Da Barely real compaiono la title-track, la potentissima Jr. e la meraviglia Realize. C'è spazio persino per la rara Median, che eseguirono soltanto in una Peel Session del 1992.
Da Frigid stars la già citata D, Cigarette machine, Cave-in, Pickup song, la chiosa acustica di Pea, corollario finale insieme a quella Broken hearted-wine che Immerwahr annuncia con un tono di malinconia (vi salutiamo con un pezzo che non è triste, bensì è non felice, o qualcosa del genere).
Prendo coscienza del fatto che quindi è vero, è un tour d'addio vero e proprio, quello che magari non riuscirono a fare in vita, consapevolmente.