Grazie all'ambiziosa composizione che gli dà il titolo, The Valentyne Suite è, nell'anno storico 1969, uno dei più gloriosi capiscuola del progressive, potrei dire un fratello minore di In the court of the Crimson King. Gli assi della situazione erano il batteria Hiseman e il tastierista Greenslade, senza nulla togliere agli altri elementi come il sassofonista Hecksall-Smith e il bassista Reeves.
Il disco è a due compartimenti stagni corrispondenti alle facciate: il chitarrista/cantante Litherland è il protagonista della prima, come compositore di 3 pezzi su 4: The kettle è un blues acido e duro all'altezza dei Cream, Elegy swinga elegantemente con arrangiamenti ricchi di archi e coloriture. Butty's blues e The machine demands a sacrifice sono abbastanza standardizzate su quel jazz-blues anglofono dell'epoca che si fa sempre voler bene, ma non particolarmente memorabile.
Il disco va in gloria sulla facciata B: in gran parte farina del sacco di Greenslade, i 17 minuti di The Valentyne suite vibrano intensamente dal primo all'ultimo, sono saghe epiche fra il meditabondo e il guerrigliero, sono stelle inamovibili nel firmamento del nascituro progressive, valgono tanto quanto Epitaph o 21st century schizoid man.
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