martedì 29 settembre 2015

Bobby Beausoleil - Lucifer rising (1980)

Il dettaglio sul film, sui suoi risultati artistici e sulla sua travagliata cronistoria lo ha già esaurientemente sviscerato Vlad. Io preferisco concentrarmi sulla meravigliosa soundtrack e sulla figura di Beausoleil, un talento dalle grandi possibilità strappato al mondo dal crimine sanguinoso di cui si macchiò nel 1969 e che lo fece condannare all'ergastolo.
I presupposti per una brillante carriera c'erano tutti, e guardacaso agli inizi si era trovato a condividere il palco col giovanissimo Arthur Lee nella precedente incarnazione dei Love. Ciònonostante nel 1969 non era ancora riuscito a realizzare nulla di concreto e l'affiliazione criminale fece il resto.
Qualche anno dopo, grazie al permesso di un illuminatissimo direttore carcerario, Beausoleil ottenne la possibilità di redigere la colonna sonora del film di Anger, e realizzò questo capolavoro con un manipolo di altri carcerati denominato The Freedom Orchestra.
Dimentico del tutto della summer of love, del sole della California e delle droghe psichedeliche, Beausoleil assemblò una soundtrack imponente e melanconica, in cui la sua chitarra dalle forme allungate ed essenziali è parimenti importante alle tastiere elettroniche, responsabili di un generale afflato spacey dalle ombre sinistre. Ne uscì un oggetto difficilmente classificabile, qualcosa fra il gotico ed il cosmico, che ha un potere ipnotico raro per quegli anni.
Magie da dietro le sbarre.

domenica 27 settembre 2015

Goat - World music (2012)

L'unico modo per salvarsi dall'auto-parodia da pub o dall'insopportabilità, per chi oggi fa musica palesemente ispirata ad ere fa, è trovare una via personale al tributo. Gli svedesi Goat partono già avvantaggiati perchè m'ispirano prima di tutto simpatia: l'anonimato, le maschere e l'immaginario africano sono stratagemmi vecchi come il cucco ma il fatto che lo propongano degli scandinavi già crea uno stridore. Quando ascolto World music, la simpatia cresce perchè è un mix fantasioso di luoghi comuni psichedelici fine anni '60 irrobustiti da un basso molto possente e da un arsenale di percussioni tribali. E, al contrario di ciò che ci si potrebbe aspettare al microfono, cioè un cantante macho, un po' maudit o pseudo-poeta, c'è la voce all'unisono di due ragazzotte non molto dotate che si sgolano per farsi sentire. Il contesto funziona meglio nei pezzi brevi, e perlopiù abbastanza accattivanti; forse lo strumentale finale vorrebbe evocare gli Amon Duul II, ma non montiamoci la testa.

venerdì 25 settembre 2015

Roberto Cacciapaglia ‎– Sonanze (1975)

Pianista e compositore milanese con studi classici che iniziò ambiziosamente negli anni '70 per poi trasformarsi in produttore mainstream negli anni '80 ed in seguito autore di jingle pubblicitari: le sue pubblicazioni in proprio, abbastanza sporadiche negli anni, si sono mantenute comunque in aree serie ed è sorprendente come tutt'oggi vengano ancora pubblicate o distribuite su scala major.
Neanche ventenne, nel 1972, suonò il synth su Pollution di Battiato. Sonanze fu il suo debutto solista ed è un bell'esempio di contaminazione stilistica: era evidente quanto Cacciapaglia fosse influenzato dai corrieri cosmici tedeschi dell'epoca, ma il retroterra classico e l'italianità si diffondevano a macchia d'olio in un contesto, ovvero la suite in 10 movimenti, vario e raffinato. Quindi, in mezzo alle glaciali e ferree esplorazioni interstellari, possiamo udire sezioni fiati orchestrali e timpani grevi, affascinati scale pianistiche ipnotiche (il 3° movimento), quadretti pastorali alla Popol Vuh (il 9° è quasi un'outtake da Hosianna Mantra), estatici contemplazioni per moog e synth (il 5°). Un lavoro abbastanza citazionista ma fatto di ottime composizioni, per un autore che sarebbe giusto esplorare almeno un po'.

mercoledì 23 settembre 2015

Polygon Window - Surfing on Sine Waves (1993)

Inserito nella serie Artificial Intelligence della Warp Recors, restò di fatto l'unico album di questo alter-ego alias di Richard James, che appena ventenne aveva già una grossa visibilità internazionale.
Lo stile era fortemente ritmato, si è scritto debitore della house statunitense. Forse rimase il suo prodotto più da discoteca che da ambient works, e si comprende meglio il motivo del nickname diverso; era un prodotto differente dalle raccolte 85-92 ma il dna di provenienza era lampante. Inoltre Surfing contiene almeno un paio di capolavori di James, come Polygon Window e Audax powder che strategicamente sono posti ad inizio scaletta, per non dire della pianistica If it really is me, splendida pausa di relax.
Stia alla larga chi è diventato allergico a queste sonorità che oggi sembrano preistoria della musica elettronica più dei tedeschi di 40 anni fa. Chi invece le ama ancora si goda questo ripescaggio e il mistero che contiene questi solchi: l'ascolto non può essere interrotto e si arriva freschi al termine.
Mental hour forever.

lunedì 21 settembre 2015

Sky Needle ‎– Rave Cave (2012)

Anomalia assoluta, questi australiani di Brisbane che potrebbero rappresentare la trasposizione ai giorni nostri dei Godz o dei Cromagnon, oppure dei Residents senza senso dell'umorismo nè velleità teatrali. La particolarità principale è che non nascono come musicisti veri e propri, anzi, gli strumenti se li sono costruiti da soli, auto-garantendosi così l'originalità del suono. C'è una chitarra/basso a body quadro con lenze da pesca al posto delle corde, ci sono le percussioni casalinghe, e c'è soprattutto questo fiato geniale che è costituito da due pompe a soffietto di quelle che servono per gonfiare i canotti o i materassini, collegate ciascuna a due tubi che in cima hanno un ancia; il performer gioca di piedi e di mani e tira fuori questo suono che sembra una via di mezzo fra un boozouki ed un clarinetto (ma a tratti sembra addirittura un violino scordato!).
A corollario di questo sgangheratissimo impianto c'è una vocalist molto brava che rappresenta l'elemento musicale e aiuta a rendere più digeribile la proposta. Il tutto è rigorosamente improvvisato, al punto che ogni loro concerto è sempre diverso. In un intervista dichiarano che sarebbe impossibile per loro replicare qualsiasi cosa, persino i pezzi degli album, e sorprendentemente la cantante stessa sarebbe la più convinta sostenitrice della teoria.
Rave cave è composto da 9 pezzi di durata abbastanza breve ed è irresistibile. Impossibile definire questa musica: potrebbe essere un folk dell'altro mondo (per l'appunto, quello in cui gli strumenti classici sono stati aboliti) ma non renderei loro giustizia. Gli Sky Needle vanno classificati come custodi di un'originalità che, pur brada che sia, va tenuta stretta vista la rarità di sorprese in questi anni.

sabato 19 settembre 2015

Ubzub - Alien Manna For Sleeping Monkeys (1996)

Non mi sbagliavo di molto, quando scrivevo che Rob Williams non è tanto a posto con la testa. Ai tempi in cui era il frontman degli Ubzub, SIB di Blow Up ne decantava le gesta con ardore ma io non ero ancora pronto per materiale così infiammabile ed avevo altre priorità per i miei acquisti. L'importante è che finalmente ci sia giustizia anche per quest'altro manipolo di freaks, non importa dopo quanto tempo. Oggi iscrivo questo nome così freak al club più nobile dei freaks di tutti i tempi, in quanto autore di un tracciato che inizia dai Residents (i costumi sul palco, le gag e le scenette teatrali), passa dai Throbbing Gristle (le barriere di rumore bianco, le ritmiche meccaniche) e dai Chrome (le saette impazzite di una chitarra acida e sulfurea), per terminare in un buco nero in cui possiamo verificare come avrebbero suonato Butthole Surfers e Dead Kennedys se si fossero persi il punk a pie' pari.
Alien manna è un'ora abbondante di delirio vulcanico in cui ogni eccesso è speso bene. Difficile descriverlo, oltre a quanto scritto prima. Come rivelato dallo stesso Williams intervistato da SIB, questo il manifesto programmatico: Volevamo veramente assalire chiunque con la nostra musica. La nostra musica era un vaffanculo al mondo. Se piaceva, bene. Se non piaceva, anche meglio: significava che avevamo raggiunto lo scopo.

giovedì 17 settembre 2015

Ingenting Kollektiva ‎– Fragments Of Night (2012)

Eccellente flusso ambient da parte di una oscura formazione di San Francisco, dichiaratamente ispirata ai film di Ingmar Bergman fin dal nome del progetto stesso mentre Fragments of night trae linfa dai suoni (non meglio precisati) del 1969. D'accordo, è una gran bell'annata da cui trarre spunto, però gli IK riescono ad essere ottimi esponenti dell'ambient organica dei giorni nostri, un po' ossianica e ronzante, ma mai troppo legata ad un singolo filone. 
Infatti i vari temi che si sviluppano in questa suite di 42 minuti sono di un magnetismo che ha del magico. Il suono è sporcato da intromissioni concrete ai limiti dell'industriale, fatto frullare da drones insistenti, cullato su bordoni basinskiani, solcato da sax ipnotici, ma nulla di tutto questo prevale sull'altro. Consigliatissimo agli estimatori che sono forse un po' stanchi dell'inflazione.

martedì 15 settembre 2015

Jade Warrior - Waves (1975)

La miniera dorata dei '70 continua a regalare, indomita. Lo ammetto candidamente, non conoscevo i Jade Warrior, nonostante la fitta produzione nell'arco di tutto il decennio fra Vertigo e Island. Non basterà la vita intera per ascoltare tutta la musica degna ma certi recuperi fanno gioire e 40 anni precisi fa usciva Waves, splendido esemplare di alchimia misteriosa.
Si tratta di un pezzo unico, ovviamente diviso in due parti per il vinile. Per sintetizzare quanto realizzavano i due polistrumentisti Duhig & Field potrei inquadrare 3 diverse situazioni:
-le pause sognanti e pastorali del prog-rock che servivano per stemperare la tensione, tipo quelle con chitarra acustica, flauti, tastiere (senza ritmica) e un sentore generico di abbandono all'estasi.
-le jams sornione di jazz-rock rilassato e solo in superficie autoindulgenti (quasi in stile Traffic, non a caso qui è ospite Steve Winwood).
-flussi in libertà di stampo etnico, con le percussioni, i campanellini, i suoni concreti; quasi un anticipo della new-age, ma con uno spirito pionieristico davvero rilevante.
Una sintesi inedita che è mixata alla perfezione in 35 minuti da godere fino in fondo. La storia dei Jade Warrior, manco a dirlo inglesi, va approfondita senza meno. 

domenica 13 settembre 2015

You Fantastic! - Riddler + Pals EPs (1996/97)

Estemporaneo art-trio, uno dei figli della fase promiscua che il giovane Jim O'Rourke agitò a metà anni '90 col patrocinio della Skin Graft, con progetti come Brise Glace e Yona Kit. Due dei partecipanti a quelle folli confraternite, Jones (Mr. Cheer-Accident) e Gray, fondarono You Fantastic! insieme al chitarrista Garrigan.
Il progetto era drammaticamente radicale, proponendo una mistura di avant-rock sconclusionato e deforme. Il primo EP, Riddler, conteneva 10 brevi tracce per pattern di batteria chiassosi ed irregolari, grovigli atonali di basso e chitarra che franavano uno sull'altro, sciami di trombe in rotta di collisione, accenni di funk anemico ricoperti da selve di suoni sovrapposti. Un caos bestiale, ma notevole.
Pals invece, uscito l'anno successivo, era composto di un unico pezzo di 17 minuti che inizia placidamente; i timbri delle corde sembrano quelli di Spiderland, se non fosse che ogni ombra di melodia è stata abolita. Pian piano i contorni svaniscono, la batteria inizia a farsi progressivamente più pesante e in un crescendo inarrestabile sovrasta e spacca tutto.
Rimase la loro cosa migliore. Nel 1998 uscì l'unico album, Homesickness, in cui dilapidarono ogni ambizione (se per caso l'avevano) e qualsiasi senso della misura. Nel tentativo di alternare normalizzazione a follia pura, ne uscì un mattone difficile da digerire. Riuscivano decisamente meglio nei formati corti.

sabato 12 settembre 2015

The Wild Bunch II - William Basinski, Fabrizio M. Palumbo, Paul Beauchamp Live Neon Cafe Rimini 11-09-2015

Grazie allo splendido operato di Matteo Botteghi del Neon Cafè di Rimini, ieri sera abbiamo avuto il piacere di assistere ad un piccolo grande evento (per pochi intimi, ovviamente) che ha raccolto 3 artisti profondamente diversi fra di loro.
Per me l'entusiasmo era dovuto ovviamente alla presenza di Basinski, di cui sono grande fan; senza nulla togliere agli altri due che lo hanno preceduto, e che peraltro ho apprezzato parecchio. Palumbo non è certo l'ultimo arrivato, ma le sue pagine fuori dai Larsen non mi hanno mai entusiasmato molto e quindi partivo un po' prevenuto; invece la sua performance è stata davvero notevole.
Arriviamo al Neon Cafè e Matteo, dopo averci annunciato con rammarico che non potrà più organizzare eventi allo splendido Melting Box di Viserba, ci indica, sul palazzo situato all'altro lato della strada, una grande vetrata al primo piano: si tratta di uno stanzone normalmente adibito a galleria d'arte.

Si inizia con l'americano Paul Beauchamp, compagno di Palumbo nel progetto Blind Cave Salamander e nella vita. Due pezzi per lui, il primo un fosco ambientale per drones, sdentellamenti e archetto su sega. Dopo essersi presentato con un italiano pressochè perfetto, va col secondo che parte con agresti loops di dulcimer e decolla con l'elettronica sporca, in un crescendo che sfocia in un finale davvero tempestoso. Molto bravo.
Palumbo si siede con una Stratocaster grigia: buona parte del suo set è imperniato su un croonering apocalittico per pennate energiche e grande enfasi vocale. Il meglio di sè però lo dà quando decide di deragliare, ovvero quando imbraccia e maltratta la viola elettrica, quando manda in corto circuito i feedbacks e soprattutto nella fase in cui si alza e fa il giro della stanza con un tamburello e due trombette di carnevale, mentre in sottofondo rimbomba una selva inestricabile di risonanze. Memorabile.

Arriva il momento del grande Billy, in possesso di una forma fisica davvero notevole per i suoi 57 anni, e che ostenta fin da subito simpatia e genuinità contagiose. Spiega che non esegue il suo ultimo disco, Cascade, perchè l'ha già suonato un anno fa sempre a Rimini, così annuncia una graditissima Vivian & Ondine (2009) e si mette all'opera aprendo una scatola di very bad dolcetti americani che contengono i suoi famosi nastri magnetici.
Così possiamo scoprire, almeno all'apparenza, il suo metodo di lavoro nel creare meravigliose sculture di suono: una volta inserito il loop principale in uno dei due lettori, sorteggia un nastro dalla scatola dei dolci, lo esamina alla luce di una lampadina e lo inserisce nell'altro lettore. A questo punto si mette a lavorare fra mixer e laptop, dopodichè estrae il nastro, lo inserisce nel contenitore degli usati e ne estrae uno nuovo. E così via, con l'arte sublima delle sue suites che ci proietta rapidamente nella basinsk-sfera.
Al termine della performance, alcuni curiosi (fra cui noi) si avvicinano al banco e il buon Billy, sempre sorridente, mostra l'armamentario tecnico e scherza facendo volteggiare i nastri in mano, chiamandoli spaghetti! Decisamente non ci aspettavamo un personaggio così.
Giù il cappello.

venerdì 11 settembre 2015

Stray Ghost ‎– Nothing, But Death (2010) + Mały Wilk (2013)

Fin dalla prima volta in cui ho ascoltato la sua musica, avevo capito subito che Anthony Saggers è un personaggio speciale ed andava approfondito. Originario di Oxford ed attivo dal 2008, il giovane ha un enorme talento. Il problema è che la sua area (ambient, neoclassica, come la si vuole chiamare) è piuttosto inflazionata e peraltro già di elementi di spicco, quindi può faticare non poco ad emergere, nonostante il girovagare per etichette di settore sparse nel mondo.
All'ascolto di questi due che sono evidentemente prodotti maggiori del suo catalogo, vengo rapito in men che non si dica. La sua musica viaggia attorno a coordinate abbastanza riconosciute; la cameristica spartana di Skelton, il pianismo dimesso di Library Tapes, l'imponenza minimalista di Basinski, le partiture luminose di Helios/Goldmund.
Il colossale e lunghissimo Nothing but death predilige sculture di suoni stratificati, virando più su lidi basinskiani ma con più calore e coinvolgimento, sviando dall'effetto ipnosi e regalando vibranti emozioni.
Maly Wilk è stato autorilasciato solo su file, niente supporto fisico. Più dimesso ed umile, mette a nudo l'umanità disarmante di Saggers: qui, anzichè sculture, il pianista elabora quadretti autunnali ed impressionisti.
Mi rendo conto che in questo genere ormai non si può più inventare nulla, eppure qui ci sono ancora meraviglie.

mercoledì 9 settembre 2015

Screams From The List 10 - Hampton Grease Band ‎– Music To Eat (1971)

Folle meteora sfortunatamente non-rimasta alla storia, la HGB era un quintetto di pazzoidi (come peraltro intuibile dalla foto) che realizzò soltanto questo capolavoro di freakitudine controllata da una padronanza tecnica ragguardevole.
Il cantante Hampton, piuttosto influenzato da Captain Beefheart, ruggiva sanguigno e schizofrenico per la maggior parte del tempo, salvo poi ad un tratto inventare di fatto il lamento informe che David Thomas svelò al mondo pochi anni dopo coi Pere Ubu. Il chitarrista Kelling era un esagitato; i suoi assoli erano dadaisti e imprevedibili, un performer di prim'ordine in grado di slegarsi e slegare il gruppo dalle ovvie origini blues per creare lunghi labirinti di autentico spasso.
Perchè la musica da mangiare non soddisfa solo il palato, è un piacere anche a stomaco pieno. Tant'è che il minutaggio non appesantisce proprio niente e il divertimento è assicurato.
La fantasia al potere. Essenziali.

lunedì 7 settembre 2015

Mirza ‎– Anadromous (The Bliss Out Vol. 7) (1997)

Sospesi fra dilatazioni space e indulgenze post-rock, i californiani Mirza avevano la piena potenzialità per ambire ad un posto su Kranky, o per diventare esponenti mondiali dell'impro-psych del 2000. Invece esaurirono le loro cartucce per minuscole etichette in poco più di 2 anni e poi si separarono in parecchi progetti a me, ahimè, completamente sconosciuti.
In poco più di mezz'ora, Anadromous vedeva un quartetto molto coeso e compatto a dispetto delle inevitabili dispersioni. Un flusso sonoro che non si cura minimamente dell'aspetto compositivo ma punta tutto sulle tessiture chitarristiche e su una ritmica sciolta. Le altalene quiet/loud anticipavano certe tendenze dell'epic-instru di lì a poco a venire. Non dei fenomeni, ma interessanti. Forse andando avanti avrebbero potuto fare cose migliori.

sabato 5 settembre 2015

Locrian - Return to annihilation (2013)

All'insegna di una progressione forse destinata verso territori meno spaventosi, col loro ultimo i Locrian si sono riconfermati come autorità mondiale del drone-metal. Un disco che spacca a metà le opinioni; ma cosa dovrebbe fare un gruppo, dopo aver realizzato un capolavoro del genere, cristallizzarsi in una formula? Sempre peraltro che sia possibile.... Invece i chicagoani hanno deciso di aprire qualche squarcio di luce nelle loro melme nerastre, e si capisce fin dall'incipit di Eternal return: tempo medio ed un inusitato tappeto di synth melodico che si impone sul resto, brutale ma estremamente più musicale del solito. Nell'arco di tutto il disco gli spunti umani si susseguono, come puntate epic-instru, chinamenti di capo slow-core, inserzioni di elettronica, strumming di chitarra acustica, folate di mellotron. Col risultato che le esplosioni improvvise fanno ancora più rumore. E alla fine c'è anche il pezzo progressive, il quarto d'ora epico di Obsolete elegies.
Conferma stra-piena, il presente è qui per restare.

giovedì 3 settembre 2015

Animal Hospital ‎– Memory (2009)

Un oggetto strano e difficile, Memory, tanto da non essere più stato replicato. Però erano passati 5 anni dal primo a questo, quindi non escludo che Kevin Micka, solista di Boston, possa ricomparire.
Memory è un contenitore di tante idee, forse troppe. Diciamo che la sua dispersività è il suo maggior limite. Però sa regalare momenti interessantissimi, nei 3 lunghi brani che di fatto rappresentano le colonne portanti del lavoro: i 17,5 minuti di His belly burst, che inizia come una litania di Skelton e finisce come uno space-doom celestiale. I 13 di ...And ever sono una tumultuosa mutuazione dei Battles che annega in un eco-loop fagocitante (certo che se ha suonato tutto lui, bravo!). I 17 della title-track iniziano con una nenia folk storta scadita da colpi secchi, fino all'apparire dei synth celestiali e del cello che mandano tutti a farsi un bel viaggio.
Nei corti restanti, predominano i toni confidenziali, con strizzatine d'occhio a Pan American e Tortoise, ma l'impatto è conseguentemente minore. In sostanza, Micka sembra disporre di buone potenzialità, forse quest'eclettismo gli è congeniale e la cosa gli piace. Così facendo, però, difficilmente riuscirà a confezionare un capolavoro.

martedì 1 settembre 2015

Maxophone - Maxophone (1975)

Fra i più sfortunati della golden age del prog italiano vanno sicuramente annoverati i milanesi Maxophone, che realizzarono questo gioiello nel '72/73 ma per motivi manageriali lo videro pubblicato soltanto nel '75, quando ormai l'interesse generale stava scemando. Destino crudele affine a quello della Locanda Delle Fate, ma che decenni dopo trova la giusta rivalutazione, tant'è che entrambe le formazioni sono tornate in attività in anni recenti.
La caratteristica peculiare del paurosamente preparato sestetto era quella profonda italianità che è percepibile proprio perchè i modelli di riferimento anglosassoni (qui più che altro sprazzi di Canterbury e folate genesisiane) che affioravano spesso durante i solchi venivano spazzati via un attimo dopo da spunti di mediterraneità e melodismo tipici dello stivale; forse si possono percepire meglio da un punto di vista estero, ma ne sono profondamente convinto.
C'è poco da dire, il disco è uno spettacolo, magnificamente orchestrato, non emerge un elemento sopra le righe fra i 6. La ristampa include un singolo pubblicato nel '77, imperniato su sonorità decisamente più acustiche, in ogni caso inferiore all'album che è da annoverare fra i grandi classici della stagione.