L'unico modo per salvarsi dall'auto-parodia da pub o dall'insopportabilità, per chi oggi fa musica palesemente ispirata ad ere fa, è trovare una via personale al tributo. Gli svedesi Goat partono già avvantaggiati perchè m'ispirano prima di tutto simpatia: l'anonimato, le maschere e l'immaginario africano sono stratagemmi vecchi come il cucco ma il fatto che lo propongano degli scandinavi già crea uno stridore. Quando ascolto World music, la simpatia cresce perchè è un mix fantasioso di luoghi comuni psichedelici fine anni '60 irrobustiti da un basso molto possente e da un arsenale di percussioni tribali. E, al contrario di ciò che ci si potrebbe aspettare al microfono, cioè un cantante macho, un po' maudit o pseudo-poeta, c'è la voce all'unisono di due ragazzotte non molto dotate che si sgolano per farsi sentire. Il contesto funziona meglio nei pezzi brevi, e perlopiù abbastanza accattivanti; forse lo strumentale finale vorrebbe evocare gli Amon Duul II, ma non montiamoci la testa.
domenica 27 settembre 2015
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento