Fra i più sfortunati della golden age del prog italiano vanno sicuramente annoverati i milanesi Maxophone, che realizzarono questo gioiello nel '72/73 ma per motivi manageriali lo videro pubblicato soltanto nel '75, quando ormai l'interesse generale stava scemando. Destino crudele affine a quello della Locanda Delle Fate, ma che decenni dopo trova la giusta rivalutazione, tant'è che entrambe le formazioni sono tornate in attività in anni recenti.
La caratteristica peculiare del paurosamente preparato sestetto era quella profonda italianità che è percepibile proprio perchè i modelli di riferimento anglosassoni (qui più che altro sprazzi di Canterbury e folate genesisiane) che affioravano spesso durante i solchi venivano spazzati via un attimo dopo da spunti di mediterraneità e melodismo tipici dello stivale; forse si possono percepire meglio da un punto di vista estero, ma ne sono profondamente convinto.
C'è poco da dire, il disco è uno spettacolo, magnificamente orchestrato, non emerge un elemento sopra le righe fra i 6. La ristampa include un singolo pubblicato nel '77, imperniato su sonorità decisamente più acustiche, in ogni caso inferiore all'album che è da annoverare fra i grandi classici della stagione.
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