martedì 31 maggio 2016

Master Musicians Of Bukkake ‎– Far West (2013)

Se si vuole parlare di occult-psychedelia oggigiorno, non si può prescindere dai MMOB, band di Seattle che da oltre un decennio ne propone una brillante formula, ricca di variabili e con una visione tutta sua. Far west è il compendio ideale e curatissimo di tutte le correnti in seno al gruppo: marzialità di origine teutonica, folk screziato di aromi etnici, raga indiani tramutati geneticamente, mantra lisergici avviluppati in orchestrazioni solenni, deliqui dronici imponenti. 
Tutto questo realizzato, scrivevo, in maniera curatissima: senza mai perdere di vista gli schemi compositivi, con pochissime sbavature, pezzi lunghi ma sviluppati quanto basta e senza crogiuoli inutili. Un'esperienza emozionante, che come riferimenti immediati potrebbe ipotizzare Six Organs of Admittance e Grails, ma con arrangiamenti corposissimi. Splendido.

domenica 29 maggio 2016

Morly Grey ‎– The Only Truth (1972)

Reperto americano di hard-psych, uno di quelli che l'italiana Akarma ristampò a cavallo del nuovo millennio. La formazione in power-trio e le fasi più concitate richiamano a gran forza i Blue Cheer di qualche anno prima: bassista/lead vocalist e principale compositore, blues-guitar-hero alla Randy Holden e batteristi (uno per side) veloci e sincopati.
Le qualità maggiori però affioravano quando i ritmi si rallentavano e i MG sfoderavano armonie in stile west-coast, un po' autunnali o composite reminescenti persino gli Andromeda di John DuCann. Qualità che esplodevano nella title-track, della durata di 17 minuti, un gioiello psichedelico in cui il chitarrista Tim Roller si esaltava in una fucina di riffs per nulla scontati.

venerdì 27 maggio 2016

Galaxie 500 ‎– On Fire (1989)

Più che anticipatore dello slow-core, una raccolta sublime di ballad elettrificate mutuate direttamente dalla gloriosa tradizione dei Velvet Underground e di Neil Young. On fire, il migliore del veloce trittico che i G500 realizzarono in un'epoca poco ricettiva per il grande pubblico, finì per influenzare molto più certo indie-rock che nei primi '90 e anche successivamente godette di un esposizione maggiore.
Come sempre è accaduto con queste musiche, il segreto era la semplicità di chi suonava da pochissimo tempo e con altrettanto candore scriveva pezzi elementari con un mix ispirato di malinconia, disillusione ed inquietudine. Certo, senza un'ottima registrazione non sarebbero andati da nessuna parte, quindi parimenti merito va al master della situazione, il buon Kramer che tanto bene fece per l'indie americano. E' anche grazie a lui che dischi speciali come questo suonano freschi e diretti dopo un quarto di secolo.

mercoledì 25 maggio 2016

Mi Ami ‎– Steal Your Face (2010)

A dimostrazione che il post-funk è stata l'unica branca uscita realmente rinvigorita dalla new-wave della new-wave della new-wave degli anni zero, ci sono stati i primi due album dei Mi Ami, esempi brillantissimi di come si potesse suonare ancora queste filiazioni con credibilità.
Su Steal your face ci sono ben poche differenze rispetto all'esordio: il trio suona sempre con vigore ed impeto trascinanti per tutta la scaletta (unica pausa, l'acido panoramico di Dreamers), con i soliti e semplici ingredienti, salvo forse una maggior esposizione della chitarra grattugiata e sbilenca di McCormick, sempre più isterico nel suo salmodiare in falsetto. E' stato il loro testamento post-funk, vista l'immediatamente successiva svolta elettronica (discutibile nei risultati, quasi scontata nelle intenzioni).

lunedì 23 maggio 2016

Oneohtrix Point Never ‎– R Plus Seven (2013)

Ascoltando Lopatin la considerazione che mi coglie è: oggi, metà anni '10, è acclamato dalla critica, lo considero un discreto genio tecnicistico, i suoi dischi mi piacciono più o meno tutti, il sistema è originale anche se platealmente inserito nel contesto hypnagogico. Ma fra una ventina d'anni, come rivedremo in prospettiva questa roba? A volte ho il sospetto che sia tutta una grande truffa, questo rimasticare synthetico assemblato con poco cuore come un puzzle ritrovato in soffitta, messo in un angolo buio fin dagli anni '80. Il mio sospetto aumenta pensando ad Aphex Twin; se le sue cose di 20 e passa anni fa erano potenti allora e (a mio avviso) lo restano oggi, come farà Lopatin a passare l'esame del tempo senza uscirne screditato?
Nel frattempo, tanto vale affidarsi all'istinto e godersi R plus seven: meno videogioco dei precedenti, più documentario da macchina del tempo, a tratti persino disco in termini di simbiosi musicali che affiorano in qua e in là. Sempre levigata e refrattaria al mondo attuale, l'elettronica illusionistica di Lopatin sa creare brecce inspiegabili come frecce acuminate. Si provi anche il Garden Of Delete dell'anno scorso.

sabato 21 maggio 2016

Cardiacs ‎– A Little Man And A House And The Whole World Window (1988)

Furono per il RIO l'equivalente dei Marillion per il progressive classico; un aggiornamento cresciuto nella decade del cattivo gusto, tendente al pop in un'accezione sana, di buon talento ma inevitabilmente penalizzato dalle produzioni piatte e fustinate.
Il gruppo di Fish, fan dichiarato, se li portò in tour nel momento di massima fama ma il pubblico neo-prog non se li filò un granchè. A little man, generalmente indicato come il loro migliore, è un disco molto divertente e orchestrato con esuberanza, che salta di palo in frasca fra piroette epiche, vignette quasi cabarettistiche e agganci pop molto ben riusciti. Se si riesce a digerire la produzione, è notevolissimo e degno di essere definito prosecutore pop della saga RIO. Ma quello scoglio, diamine, è così difficile da superare.....

giovedì 19 maggio 2016

John Carpenter ‎– Lost Themes (2015)

Una delle grandi sorprese dell'anno scorso è stato il debutto (!) su disco non destinato a sonorizzare nulla. Per sorpresa intendo in termini di qualità, perchè è alquanto scontato che a 67 anni il regista non cerchi rivoluzioni copernicane ma si limiti a fare ciò che gli riesce meglio; creare strumentali di grande effetto e tensione.
Lost themes credo che ispiri odio o amore, senza tante medietà di sentimenti: le sonorità sono vintage in tutto e per tutto, per non dire hauntologiche ma suonerebbe come un mezzo insulto. Fondamentali gli apporti del figlio Cody e del chitarrista Davies, accreditati come co-autori dell'intero lotto; forse è proprio questo il segreto della bellezza dell'insieme, cioè che scaturisce da un lavoro di gruppo. Si sente il dna carpenteriano, a tratti si penserebbe beh questa esce da Halloween, questa esce da The Fog, e invece no; sono tutti pezzi nuovi e come JC stesso ha dichiarato, ci si è divertiti un sacco perchè c'era totale libertà. Vecchio, grande marpione.

martedì 17 maggio 2016

Noa - Noa (1980)

Come nel caso dei grandi Archaia, anche i transalpini Noa stamparono un vinile autoprodotto e poi scomparvero. Ci ha pensato la Soleil Zeuhl (paragonabile all'italiana Mellow in tema di recuperi nazionali) una trentina d'anni dopo a disotterrare un gioiellino che in caso contrario sarebbe rimasto ingiustamente nell'oblio dei tempi andati.
Il quintetto, che annoverava ben due fiatisti a tempo pieno, realizzava un'ambizioso incrocio fra Zeuhl, Rio, jazz-rock e progressive con fantasia e grande competenza tecnica. Il tempo era ormai scaduto ma come la storia ci ha insegnato anche i ritardatari potevano essere in grado di sbaragliare il campo; ciò grazie all'espressività della voce femminile, vero valore aggiunto del suono, ricca di personalità e teatrale al punto giusto, grazie alle composizioni articolate e passionali, capaci di fondere atmosfere drammatiche ed enfatiche con un equilibrio perfetto.

domenica 15 maggio 2016

Beach House - Teen Dream (2010)

I titoli dei dischi dei BH hanno quasi sempre avuto un significato riflettente i contenuti, perlomeno musicali. Il loro capolavoro esprimeva un senso di devozione compassata, di malinconia estatica. Il quarto del '12, Bloom, è stata un'esplosione di buonumore e colori primaverili. Fra di essi, il sogno adolescenziale diviso fra sottili inquietudini, speranze e disincanti tipici di quell'età.
Lo contrassegnava una produzione più piena, per non dire professionale; lasciate alle spalle le fragili e più che essenziali architetture, la Legrand e Scally continuavano a diffondere le loro eterne melodie tramite un suono più adulto, ma non finalizzato alla ricerca di un successo che inevitabile giungeva loro. Nulla da dire in merito al songwriting, già marchio indelebile che non ha deluso, ma soltanto visto una leggera flessione con Bloom.
Il mondo visto attraverso il sogno adolescenziale, secondo la mia fantasia, è quello che i BH sono riusciti a mettere sui solchi, in cui i singoli non sono i pezzi più accattivanti, bensì fra i più belli. Un mondo in cui la loro semplicità disarmante richiama l'ingenuità tipica di quell'età, da cui più ci si allontana più se ne ha nostalgia. E come per magia, questa musica senza tempo mi riporta ad allora...Divini.

venerdì 13 maggio 2016

Fushitsusha - Allegorical Misunderstanding (1993) + Gold Blood (1998)

Quando il mondo cosiddetto alternativo scoprì Keiji Haino, le convocazioni in trasferta divennero inevitabili ed il primo a muoversi concretamente fu John Zorn, che chiamò Fushitsusha per registrare Allegorical Misunderstanding a Brooklin. Era di fatto il primo album in studio per il super-trio allora completato dai grandi Ozawa e Kosugi, reduce dai fasti sanguinolenti dei due leggendari live.
Dieci tracce, ciascuna intitolata Magic seguita dal numero progressivo. Forse KH fu influenzato dall'atmosfera dello studio ma non è detto, è possibile anche che l'indirizzo fosse proprio quello di realizzare qualcosa di meno fisico ma soprattutto meno rumorista; più controllato nei suoni. Non si assiste a nessuna delle sue classiche esplosioni granitiche al feedback. Ne conseguiva un disco a suo modo cubista, patafisico, imprendibile, impossibile da definire; brandelli di melodia abortiti, sguscianti fughe pseudo-jazz, raffigurazioni grottesche e singhiozzanti. Un oggetto deforme che lascia a bocca aperta.
Nel novembre del 1996 la stessa formazione tenne un concerto a San Francisco, pubblicato un paio d'anni dopo dalla gloriosa Charnel Music come Gold Blood. E sul palco, si sa, le tempeste maghetiche sono sempre state all'ordine del giorno. Soltanto che nel frattempo KH stava divagando nei suoi dischi solisti verso altre forme espressive, per cui si assiste ad alcune variazioni piuttosto interessanti, come lo psycho-incubo di Hazama e le liquide sospensioni di If I had been showered. E anche le rovinose devastazioni assumono dei timbri inediti, a testimonianza di una creatività esecutiva che era ben lungi dall'esaurirsi; un gruppo unico al mondo, nel vero senso della parola, che poteva fare quello che gli pareva.

mercoledì 11 maggio 2016

MX-80 Sound ‎– Das Love Boat (1990) + MX-80 Sound ‎– Live At The Library (1977/78) + Bruce Anderson ‎– Brutality (1995)

Il mio periodico tributo ad una delle più grandi band ignorate della storia questa volta verte su un trittico di uscite estremamente diverse fra di loro. Ovvio che si  tratti anche dell'ennesimo attestato di stima a Bruce Anderson che, lo ripeterò sempre come un mantra, è a mio avviso uno dei più grandi chitarristi di tutti i tempi.
Live at The Library è un prezioso ripescaggio effettuato nel 2002 dalla indie-veterana Gulcher Records ed inquadra gli MX nella sua prima incarnazione, ovvero con la residenza ancora nello stato natale dell'Indiana, col quintetto a 2 batterie e col suono esuberante di Big hits e Hard attack. Un insieme già spigoloso ed ispido, una specie di jazz-punk fragoroso ma a tratti persino accattivante. Un po' acerbo ma degna anticamera delle imprese future.
Das Love Boat è una strana raccolta di strumentali registrati fra il 1975 ed il 1990, forse assemblata con la scusa di disotterrare degli inediti che costituiscono quasi una metà dell'elenco. La disomogeneità sarebbe un proverbiale punto debole, considerando anche il fatto che gli MX nei primi 15 anni di vita non hanno beneficiato di produzioni propriamente pulite. Una volta fatto l'orecchio o ignorato il fattore lo-fi, resta soltanto da godere di una ventina di tracce assortite degne rappresentanti dell'art-metal dei nostri nelle due fasi temporali principali, da quelle più movimentate a San Francisco di fine anni '70 a quelle più meditate degli anni '80, con un occhio di riguardo per le 5-6 covers di temi da soundtrack, vecchio amore mai sopito dei nostri. Impossibile non citare la stratosferica versione dinamitarda di Halloween di John Carpenter.
Nel 1987 Anderson, durante una delle pause discografiche più lunghe degli MX, realizzò in proprio due cassette, Brutality I e II, che furono ristampate in cd dalla Atavistic soltanto nel 1995. Si tratta di materiale da maneggiare con estrema cautela, 11 lunghi soliloqui chitarristici in cui il grande axeman dava pieno sfogo alle sue digressioni sulfuree, dissonanti ed astratte. Potrebbe essere indirizzato soltanto agli estimatori più stretti, come generalmente lo sono i dischi per un solo strumento, poi si potrebbe anche sostenere che Anderson è un narciso, un terrorista, uno che non ha il senso del limite, etc... Io mi sento solo di affermare che queste sculture impressionistiche non esprimono violenza e brutalità gratuite: sono dimostrazione di una classe impareggiabile ed aliena.

lunedì 9 maggio 2016

Julia Holter ‎– Tragedy (2011)

Cantautrice californiana sui generis dalla formazione classica e poi convertita all'avanguardia, debuttò in sordina con questo per poi essere ristampata dalla Domino un paio d'anni dopo, grazie anche all'esposizione mediatica e cori generici di approvazione da parte della critica (copertina su Wire).
Tragedy può piacere e non piacere, perchè è un po' dispersivo, ma risulta difficile discutere la capacità della Holter di aver saputo creare qualcosa di originale: ballad esoteriche alla Jarboe, ambient metafisico da camera, synth-pop sofisticato, liturgie vocali estatiche come una Grouper ecclesiastica, dream-pop, avanguardia, concretismi. Tutto in sequenze altalenanti, come se nulla fosse. Straniante, ma di un fascino indiscutibile.

sabato 7 maggio 2016

Screams From The List 46 - Günter Schickert ‎– Samtvogel (1974)

Chiudo il festival con un'altra meraviglia germanica sotterrata e scoperta con grave ritardo. Peraltro il personaggio in questione, in un'intervista rilasciata qualche anno fa, si rivelò essere un'uomo estremamente sensibile, molto poco portato per il music-business e quindi la stima è superiore.
Schickert, chitarrista berlinese, stampò Samtvogel privatamente in 500 copie nel 1974. L'anno successivo, la premiata Brain (Neu! su tutti) rilevò l'opera e la diffuse al pubblico.
Se, quando si parla di musica cosmica tedesca, ci si riferisce generalmente a suoni prodotti dai synth, il nostro fu con ogni probabilità il primo corriere a 6 corde. L'unica influenza rilevabile può essere quella dell'epocale Achim Reichel di Echo, ma soltanto come base di partenza visionaria: la sua chitarra ultra-effettata e stratificata si libra in voli pindarici verso altre dimensioni. L'effetto ipnotico finale è spesso simile a quello dei più alti Tangerine Dream, a ribadire per la millesima volta lo spirito non affrancabile del dna teutonico. Ma il cuore di Schickert è grande così, e la sua sensibilità lo eleva ad un livello stratosferico. Non è mai troppo tardi per un lungo applauso.
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Termino questa mega-carrellata con un senso d'incompiuta che mi inquieta leggermente: non ho ascoltato tutti i titoli e chissà quando potrò affermare con orgoglio di aver compiuto la missione. Nel frattempo, SFTL proseguirà a cadenza mensile come al solito.

venerdì 6 maggio 2016

Screams From The List 45 - AMM - AMMMusic (1966)

Lo storico debutto dei mastri improvvisatori come fu pubblicato sul vinile originale, ovvero senza le aggiunte della ristampa in digitale di un ventennio dopo: Later During A Flaming Riviera Sunset e After Rapidly Circling The Plaza, 21 minuti cadauna.
Ben poco da riferire; un flusso incessante di suoni magmatici e atonali, nessuno schema, nessun accordo. Il dominio è in mano agli strumenti ad arco, che formano i bordoni principali destinati a diventare la colonna vertebrale del suono. Sopra di esso, note casuali di piano, sferragliare di piatti e ticchettii sui bordi, la chitarra elettrica che inizialmente è difficile da udire ma se si fa attenzione si scopre passo dopo passo, lo starnazzare del sax. Un delirio incontrollabile che ipnotizza e strega. Storico è dire poco.

giovedì 5 maggio 2016

Screams From The List 44 - Jan Dukes De Grey ‎– Mice And Rats In The Loft (1971)

Splendido esempio di commistione fra folk, progressive ed acid-rock ad opera di questo oscuro trio inglese. Deus-ex machina della situazione era il chitarrista/compositore Derek Noy, in possesso anche di una voce potente ed espressiva. Assieme a lui il fiatista Bairstow, con cui aveva realizzato il debutto Sorcerers nel 1969. Con l'acquisto del batterista Conlan, i JDDG fecero il salto di qualità e diedero alle stampe questo clamoroso secondo e purtroppo ultimo.
L'idea di fondo era tutto sommato simile a quella dei Comus, anche se concretizzata con risultati piuttosto diversi; quella di sviluppare le basi folk tipicamente britanniche, pregne di sensazioni celtiche, e portarle su dimensioni epiche/progressive, ma con una grinta ed una veemenza nuova. Operazione perfettamente riuscita nei 19 minuti di Sun Symphonica, cavalcata complesssa di una bellezza impareggiabile. Sul lato B il matrimonio proseguiva felicemente con la pastorale Call of the wild e con la sfuriata acida della title-track. Imperdibile.

mercoledì 4 maggio 2016

Screams From The List 43 - Albert Marcœur ‎– Albert Marcœur (1974)

Bizzarro, storto e geniale esordio di Marcœur, batterista/clarinettista dalla vena cabarettistica e surreale proveniente da Digione. La scuola è senza dubbio quella dei grandi maghi irregolari, Zappa e Beefheart, ma come giustamente faceva notare Vlad, il prodotto finale era europeista in tutto e per tutto.
Marcœur registrò il disco insieme al chitarrista/bassista Patrice Tison, con le composizioni guidate dagli strumenti di riferimento: ritmiche e percussioni in grande evidenza, fiati che si sbizzarriscono, vocalizzi beffardi e humour profusi a volontà. Fu un notevolissimo anticipo delle tendenze RIO che si svilupparono nel vecchio continente un paio d'anni più tardi. Geniaccio da annoverare nella schiera dei maestri.

martedì 3 maggio 2016

Screams From The List 42 - Island – Pictures (1977)

Mancava la Svizzera all'appello, di sicuro fra le nazioni di provenienza meno consuete per quanto riguarda rock e derivati. E come accadde a tanti altri gruppi prog, soprattutto quelli che arrivarono un po' tardi, ci fu un unica possibilità discografica per gli Island, quartetto che andò a registrare Pictures alla Ricordi di Milano, per poi scomparire nell'oblio.
Ma d'altra parte il disco ha una prerogativa tutta speciale: non poteva essere replicato, perchè si trattava di un lavoro impressionante, tremendamente complesso per non dire cervellotico. Non aveva nessuna speranza di successo, prima di tutto perchè era il 1977 e poi perchè conteneva un prog apocalittico, che portava al parossismo il sentore di dramma senza sosta, di tragedia imminente. Ovvero come incrociare la teatralità degli Henry Cow con la possenza minacciosa dei Magma, con le dovute differenze (la line-up tastiere/batteria/sax, molto simile all'assetto classico dei VDGG). Dopo svariati ascolti, resta una matassa piuttosto difficile da sbrogliare. La ristampa del 1996 incluse una suite aggiuntiva di 23 minuti, presumibilmente dello stesso periodo, ma tutto sommato inferiore a questo misconosciuto capolavoro.

lunedì 2 maggio 2016

Screams From The List 41 - Art Zoyd – Symphonie Pour Le Jour Où Brûleront Les Cités (1976)

Non poteva mancare, nella list, qualcosa che si avvicinasse (almeno tecnicamente) alla musica da camera. Se penso a certi tratteggi che di tanto in tanto affiorano nei primi NWW, sempre sardonici e beffardi, non potevano che essere ispirati anche dagli Art Zoyd, francesi che con questo debutto spettacolare elevavano il RIO ad arte neo-classica. 
Trattavasi di due lunghi brani, di cui il primo programmaticamente intitolato Sinfonia, per basso, chitarra, violino e tromba, con qualche percussione e voci sparse; partiture imprendibili, sguscianti, in grado di passare dal serioso all'ilare, dal drammatico all'ironico in un secondo.
Per dimenticare il rock.

domenica 1 maggio 2016

Screams From The List 40 - Moolah ‎– Woe Ye Demons Possessed (1974)

Altro oggetto misterioso dagli Stati Uniti, ma non dalla provincia sperduta come in casi analoghi, bensì da New York, dove tali Maurice Roberson e Walter Burns registrarono questo disco fantasmatico, lo stamparono privatamante e poi scomparvero nel nulla. Presentato con toni enfatici ed altisonanti nella dettagliatissima cover interna, il suono di Woe non ha niente a che vedere con la Grande Mela, nè con l'America e le sue tradizioni. E' un trip alieno che trae certamente ispirazione dalla Germania cosmica, ma contiene elementi visionari che lo rendono un mistero. La registrazione lo-fi getta ulteriore straniamento sull'alone mistico-rituale: avrà un'influenza enorme su tutto il movimento weird-folk-psych degli anni zero, non si sa quanto esposta ma sicura. Davvero indefinibile.