Vig è un polistrumentista ungherese la cui fama difficilmente avrebbe travalicato i confini magiari se la sua produzione non si fosse sposata in maniera indissolubile alle opere di Bela Tarr da Almanacco D'Autunno in poi. Non per mettere in discussione le sue capacità, sia chiaro; occorre tirare fuori la classica frase trita e ritrita, lo so, ma è necessario: per sonorizzare l'universo di Tarr, che non è cinematografico in senso classico bensì una forma d'arte superiore e a sè stante, non sarebbe servito materiale d'avanguardia o carismatico. Servivano le partiture circolari, semplici e compassate di Vig, perfettamente adatte ad accompagnare le saghe umane dei derelitti e negletti protagonisti diretti dal Maestro.
In questa raccolta, per ovvi motivi temporali, mancano gli estratti di L'uomo di Londra e Il Cavallo di Torino, recuperabili in rete soltanto per vie traverse. Per cui sono 4 le opere prese in considerazione.
Per Almanacco D'Autunno, Vig realizzò un pugno di ballad trasognate per piano e synth (Lukin la migliore). Per Perdizione recuperò le sue radici est-europee e gitane con un deciso innesto di fisarmoniche e fiati (memorabile il tema di Slow Dance). Per l'opus magnum Satantango, di cui fu anche protagonista nei panni di Irimias, continuò su questa strada ma iniettando una massiccia dosa di malinconia (Rain II il vertice).
Infine, per Le armonie di Werckmeister arrivò il suo capolavoro, con un paio di partiture di bellezza struggente: Valuska e Old, per piano tintinnante e archi, si calano magnificamente nello psicodramma di oppressione e persecuzione collettiva che fu la mirabolante pellicola.
Musica elementare, ma che diventa epica tanta è l'associazione che si innesca in automatico con le immagini, quelle immagini, quelle scene, quegli ambienti fuori dal tempo che Tarr ha prodigiosamente regalato al mondo.
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