sabato 25 gennaio 2020

Roger Eno ‎– Lost In Translation (1994)

Stento ad immaginare che, una volta che avrò scandagliato l'intera discografia di Roger Eno, troverò qualche delusione. Il pianista inglese, che al fratello deve soltanto il dono di un Revox e la partecipazione ad Apollo nel 1983, a partire dall'incantevole debutto Voices ha dedicato sè stesso alla grazia e alla compostezza, diventando l'Harold Budd di oltremanica, ma senza il giusto riconoscimento a livello generale.
Lost in Translation, ispirato da una heretical medieval prose, lo vede in molteplici vesti: la melanconica sonata Satiana (forse la sua principale ispirazione), le trasognate mini-partiture da camera, sia strumentali che corredate di cori, le celestiali ambientazioni quasi cosmiche alla Budd, le vignette cinematiche arrangiate in maniera bizzarra, le commistioni world disseminate in qua e in là, per una manna di 18 tracce accomunate da un gusto superiore per la visualizzazione ad occhi chiusi. Spettacolari sopra tutte Occam close shave e Ne Cede Melia, non a caso poste ad inizio disco. Un filo di dispersione è inevitabile, ma è un album impossibile da fermare o skippare. Abbandonarsi e nient'altro.

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