A sorpresa, a neanche un anno dal disarmante Grid Of Points, la divina Liz Harris è tornata con un nuovo monicker, forse per motivi contrattuali, forse no, perchè questo lavoro è collegato ad un installazione audiovisiva in società con un artista specializzato nella materia, quindi probabilmente slegato dal percorso che negli ultimi anni l'ha elevata a diversi metri da terra.
Comunque non ha molta importanza, perchè tanto Liz è in uno stato di grazia artistica tale da potersi permettere anche questa (presunta) divagazione. Non è tanto un ritorno alle vaporose stratificazioni dei primi anni, nè una raccolta di brevi composizioni soffiate in punta di piano e voce; si tratta di un'ora divisa in 4 lunghe parti, in cui il suo tocco magico si diffonde concentrico e dilatato nella creazione di diversi paesaggi sonori, apparentemente con un filo conduttore, in un ipotetico viaggio nelle località di riferimento dell'installazione sopracitata.
La prima sezione, After Its Own Death, è una superba quarantina di minuti che inizia con una corale mozzafiato, prosegue con un drone intermittente che subordina minaccioso, fiorisce e svanisce in un cicaleccio labirintico di vibes. Il tempo di girare il piatto e Liz rispolvera la chitarra elettrica, per un lungo soliloquio dal sapore desertico. Altro intermezzo assordante di drone, e poi lunga fase di organo.
La seconda sezione, Walking in a spiral, dura venti minuti e verte essenzialmente su quest'organo (mi si perdoni la non conoscenza del termine preciso oppure l'incomprensione) che suona come le vibes, per una suite compatta che gira attorno ad un tema desolante e contemplativo.
Liz ha fatto di nuovo centro, e con questo lavoro ha mietuto consensi anche fra la stampa specializzata, dopo le forti critiche ricevute per Ruins e Grid Of Points. E' il risultato superbo di un perfetto incrocio fra la sua anima ambientale e quella emotiva, la cui salomonica copertina in b/n, chissà perchè, mi ha ricordato la scena finale di Perdizione di Bela Tarr.
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