In un interessante intervista uno dei due HANL, Barrett, ha dichiarato che è già abbastanza percepibile la pressione dovuta al successo sotterraneo di Deathconsciousness, mentre sono al lavoro per fare un disco nuovo. Non male per due ragazzi che studiano e lavorano al tempo stesso (la vecchia teoria albiniana che ritorna e che condivido alla grande, ma è un altro discorso), e che stando alle parole di Barrett tenteranno di prendere altre strade soniche. La superflua raccomandazione è: prendetevela con calma, basta che ci diate un altra perla di post-dark vibrante ed efferato.
Intanto, sul finire dell'anno scorso è uscito quest'antipastino (seguito poi da uno nuovo di zecca, l'EP Time of land) che è poi una miniatura del disco madre, in quanto è diviso in due EP distinti con sottotitoli. Voids è di fatto un prodotto di scarti di lavorazione: il primo è composto da 5 demos ancora più grezzi degli originali che poi sono andati a confluire su Deathconsciousness. E la cosa più impressionante che mi sovviene è che gli HANL in un batter d'occhio sono già diventati un tale culto che persino i demos primitivi sono un ascolto obbligato, per udire la differenza con pezzi consumati fino all'ossessione. Poco da dire in merito.
Logico comunque che la maggiore attenzione sia riservata alla seconda cinquina, che sfodera delle outtakes vere e proprie. L'obiettivo sembra essere puntato su una maggior grinta e compattezza, con pezzi più aggressivi e lontani dall'arrendevole perdizione su cui era focalizzato il disco. Lo strumentale Human Error appare abbastanza debitore a certe atmosfere primi '80, seppur realizzato dannatamente bene, ma lo possiamo considerare l'unico neo (non certo esteticamente parlando). Trespasser W infatti sbuca dietro l'angolo con un humus joydivisioniano irresistibile, con un escalation da brividi nella seconda parte. Defenstration Song continua imperterrito nel recupero storico, ma c'è da dire che quando l'ispirazione è a livelli così alti non c'è neanche il pericolo di parlare di plagio.
Con Sisyphus si torna agli umidi sottoboschi di albe torbide, con una ballad tenue sporcata in escalation fino al wall of sound che garantisce un impetuoso effetto shoe-gothic-gaze. Infine i 13 minuti di Destinos, autentico viaggio psicologico nei meandri di un'introspezione devastata.
Già indispensabili.
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