venerdì 1 ottobre 2010

Godz - Contact high with the (1966)

Quest'estate ho letto il libro Guida ragionevole al frastuono più atroce di Lester Bangs, e inevitabilmente è scattata la molla della curiosità al riguardo delle bands che esaltava. Ora, l'idea che mi sono fatto di LB è che fosse quasi più scrittore/dissacratore che critico vero e proprio, ma questo è un altro discorso.
Ora, a ben 44 anni di distanza, occorre ammettere che i Godz sono stati senza dubbio degli apripista (basti solo pensare alle primissime produzioni di Will Oldham, nonchè un po' tutta la scena neo-folk-lo-fi che venne fuori negli anni '90), degli innovatori poveri ma ammirevoli, e che la Esp era una mecenate coraggiosissima, come scrissi già in occasione dei Cromagnon, che tre anni dopo fecero la versione tribal-rumoristica dei Godz.
In pratica, ciò che i venti minuti di Contact high offrivano non era molto diverso da ciò che poteva garantire uno scalcinato quartetto di buskers in un qualsiasi angolo di strada. Chitarre scordate, percussioni trovate, litanie debilitate, abbozzi folk-blues educati ma irrimediabilmente sfigurati dagli arrangiamenti bizzarri (a tratti esilaranti, visti i risultati canonicamente fallimentari degli strumenti auto-costruiti), il che fa pensare o a degli ubriaconi o per l'appunto, a degli stralunati buskers prelevati dalla strada e messi in uno studio.
Ma questo ad un'esame superficiale: a me sembra chiara l'operazione concettuale, al di là della tecnica pressochè inesistente o delle demenzialità diffuse (la lite fra felini in Turn on, i coretti stonati, i violini maltrattati e tante altre cosette). Basti ascoltare gli psycho-delirii inquietanti di Eleven e Squeak, o la cantilena arabeggiante di Na naaa per capire che i Godz avevano idee interessanti senza saper suonare. Per questo si sono comunque guadagnati un posto di nicchia come pionieri.

2 commenti: