domenica 30 settembre 2012

For Carnation - For Carnation (2000)

Al termine del decennio che aveva sconvolto nel 1991, in cui tante cose gli avevano girato intorno, uscire nell'anno 2000 con un disco così fu un gesto forte da parte di McMahan.
Lui che era stato 1/4, con FC era un po' di più. Le premesse dei due EP avevano generato molte aspettative: era tornato per restare?
No, direi: FC è acqua passata e forse è stato meglio così, perchè MacMahan è un tipo che si è sempre concesso con parsimonia assoluta: uno che ha parlato quando aveva veramente qualcosa da dire, da solo o in gruppo. Senza mai dimenticare gli Squirrel Bait, eh.
FC (il disco) assomiglia tanto ad un addio; anche se magari non era programmato, è piegato in se stesso fino all'involuzione. E' un inno alla timidezza, ma soprattutto il riappropriarsi del proprio marchio di fabbrica.
Parlare sottovoce per fare rumore.

sabato 29 settembre 2012

Flying Lotus - Cosmogramma (2010)

Un bell'assortimento di elettronica mutante che si sparge in mille rivoli, in sintesi estrema. Il losangeleno Ellison è Flying Lotus, che qui rimastica, digerisce e sputa fuori un interessante crossover totale, che per dire passa dall'hip-hop meccanizzato alle arpe (la bellissima Drips / Auntie's Harp), e sa creare anche belle atmosfere umane allo stesso livello degli artefatti macchinistici (Galaxy in Yanaki), con qualche passaggio techno-ambient anni '90, e persino qualche break drum'n'bass.
L'elemento più radicato sembra comunque essere un techno-jazz illuminato, asservito alla situazione: in Mmmhmm io ci sento dentro addirittura qualche seme canterburyano, in Pickled pare di sentire un Pastorius ipercinetico passato dentro al synth.
Notevole per l'ecletticità.

Flower Travellin' Band - Satori (1971)

Gruppo giapponese che restò sconosciutissimo per quasi 20 anni, fino a quando la prima ristampa fece iniziare il circolo del ripescaggio. Le successive non fecero altro che amplificare le voci di approvazione. Julian Cope ed altri poi hanno osannato Satori incoraggiando al gruppo la reunion che infine avvenne nel 2007.
Non posso che accodarmi al carrozzone dei complimenti: per essere il 1971 Satori era un disco veramente hard, pesante e bello dinamico, un personale incrocio fra Black Sabbath e Jimi Hendrix (io aggiungerei anche un po' dell'epica degli Andromeda), ma con la vocalità spericolata di Yamanaka che faceva la differenza.
Dimostra tutti i suoi 40 anni ma si fa ancora valere.

giovedì 27 settembre 2012

Flaming Lips - Strobo Trip #7 (2011)

Se ne è parlato così tanto, di I Found a star on the ground, e l'enfasi è stata posta talmente tanto sul concetto di follia che sta passando in secondo piano una gran bella realtà: i FL stanno vivendo una nuova giovinezza, iniziata col bellissimo Embryonic.
Detto questo, e per tacere dei suoi due brevi contorni (ma la validissima Butterfly, how long it takes to die merita minimo una menzione), io il mega-mattone me lo sono sparato almeno 5-6 volte per intero e voglio dire, molto banalmente, che è un esperienza assolutamente accecante, un sogno ad occhi aperti, in cui altrettanto banalmente riporto che succede di tutto, è un enciclopedia della psychedelia a cielo aperto.
In particolare, le prime due ore circa (fino all'elenco dei fans che hanno fatto la donazione in beneficienza) e l'ultima e mezza fanno faville. Ma anche nella fase centrale, persino quando si susseguono momenti un po' di pausa (e non dico di stanca), non mi viene mai voglia di portare avanti il selettore o di skippare in avanti col tempo quando sono in auto.
Completo la serie di banalità asserendo che i FL sono ciclopici.

mercoledì 26 settembre 2012

Firewater - Get Off the Cross, We Need the Wood for the Fire (1996)


Neanche un anno dopo lo scioglimento dei Cop Shoot Cop il leader Ashley era già alla guida del supergruppo Firewater, comprendente colleghi di prestigio come Denison e Kimball fra gli altri.
La copertina, che si potrebbe definire anche blasfema, vedeva un Cristo con una bottiglia presumo di birra in mano: il titolo del disco completava il quadro.
Detto questo, si trattò di una svolta molto importante per il bassista: abbandonate per sempre le sonorità caustiche dei grandi CSC, si dedicava ad un progetto che mixava atmosfere decadenti alla Nick Cave con scampoli di svariate musiche tradizionali, con particolare attenzione a quelle dell'est Europeo, o come il tango, la bossanova ed altro ancora. Il tutto con grande dispiego di strumenti a fiati, fisarmoniche e quant'altro.
A parte il grande pezzo d'apertura, Some strange reaction, che comunque avrà soddisfatto il pubblico degli ultimi CSC che già lentamente si stavano dirigendo verso terre caveiane, le stentoree Refinery e I am the rain, non c'è neanche più l'ombra di qualcosa che si possa definire rock. E devo essere sincero, musiche che non sono proprio fra le mie preferite, ma tutto fatto molto bene, nello stile adulto di Ashley.

lunedì 24 settembre 2012

Radiohead - Live in Firenze 23/09/2012

A volte è bello anche scoprire l'acqua calda. Io ad esempio fino a ieri sera non avevo mai visto i Radiohead dal vivo e intraprendendo questa trasferta fiorentina non è che mi aspettassi mari e monti.
Questo in quanto già da qualche anno ritengo che abbiano dato il meglio di loro stessi, il che è anche abbastanza ingeneroso visto i 2-3 capolavori che seppero sfornare 10-15 anni fa, e dopotutto In rainbows e King of limbs sono tutt'altro che brutti dischi. Semplicemente è il caso di una band che fa storia e successo mondiale e poi cerca di tenersi a galla dello standard qualitativo a cui ha abituato il proprio pubblico.
Seppur fossi lontanissimo dal palco, invece ho potuto udire un bellissimo live in cui i RH compiono, come da rituale, la miracolosa foto-sintesi fra perfetta professionalità e velleità artistiche. Oltre a rispolverare vecchie perle per certi versi inaspettate (How to disappear completely e You and whose army, da brividi), mi hanno colpito fortemente per la resa lirica generale e per le emozioni dispensate a iosa.
A dispetto di me stesso, pertanto; grandi, dopotutto.

giovedì 20 settembre 2012

Fiery Furnaces - Rehersing my choir (2005)

Ma che idea bizzarra e carina, fare un disco con la nonna. Quei due matti dei fratelli Friedberger hanno così inscenato un coacervo di alt-pop-prog teatrale dalle non poche sorprese.
E pensare che il rischio era altissimo; i lunghi monologhi dell'anziana signora avrebbero potuto tediare, ma il controcanto diafano di Eleanor e i vulcanici arrangiamenti di Matthew fanno spiccare il volo al disco.
Così capita di sentire un po' di tutto, tanto per giustificare il termine prog: didascalie circensi, bozzetti canterburyani di gran gusto, deformazioni blues, divagazioni elettroniche, persino qualche schitarrata distorta. Tutto in soluzione di continuità, ma fratturato in innumerevoli colpi di scena.
Un brillante saggio vaudevilliano dei nostri giorni, che ricorda un po' i Residents meno ostici ma con un abbondante ed illuminato senso melodico.

mercoledì 19 settembre 2012

F / i - Space Mantra (1988) + Split-lp with Boy Dirt Car (1986)


L'involuzione, la barbarizzazione strumentale e concettuale dei primi Hawkwind e dei Pink Floyd altezza Ummagumma conobbe gli americani F / i come massimi esponenti nella seconda metà degli anni '80. Un acid-space-rock rovinoso, a tratti al limite dell'industriale, contrassegnato dalle due chitarre roboanti di Franecki e Wensing, dai sibili di audio-generator ed una ritmica primitiva, nei casi in cui faceva capolino.
Questa ristampa australiana del 2001 raccoglie il masterpiece Space Mantra del 1988 ed uno split di due anni precedente. Monoliti spaventosi come Just to get us off e Shallow inlet of the meadow sono i più rappresentativi, jams tirate oltremisura come una navicella rombante, dalle distorsioni colossali. Notevoli risultati anche con le astrazioni puntute di Another magic window,e Tropic of capricorn, e c'è spazio anche per uno stralcio di melodia con la finale And so it goes,residuato hawkwindiano epoca In search of space.
Al di là delle derivazioni, da ripescare.

martedì 18 settembre 2012

James Ferraro - Marble Surf (2008)


Mah! Diffidare sempre da chi fa uscire 4-5 prodotti l'anno, che siano ufficiali o cd-r. Tutto questo entusiasmo per Ferraro io sinceramente non lo capisco. (What.cd per lui totalizza 26 titoli dal 2008 al 2011!).
Diffidare perchè è un attimo prender su e dedicare un'oretta a uno qualsiasi degli aghi, per poi restarne profondamente deluso.
Come nel caso di Ferraro: quaranta minuti di ambient (adesso si dice ipnagogica, sic) per synth stratificati rigorosamente vintage (fra cui uno vocale) che sobillano uno schema sempre uguale a sè stesso, dai toni trionfanti e lucenti.
C'è tanta differenza fra l'esser minimalisti con le idee chiare ed il propinare una noia assurda.

lunedì 17 settembre 2012

Fennesz - Endless Summer (2001)


Definì una nuova estetica, una bellezza sporca che a distanza di diec'anni fa ancora impressione. Il chitarrismo elettronico futurista di Fennesz (e quando mai era successo che un'austriaco salisse in questo modo alla ribalta musicale nell'ultimo secolo??) nell'estate infinita toccava il suo massimo splendore.
Il disco che folgorò David Sylvian, tanto per dirne una. Posso immaginare i pezzi in primis che toccarono profondamente il lord: Shisheido, A year in a minute, Caecilia, Endless summer.
In realtà ho soltanto nominato i miei preferiti. Quella di Fennesz è un'arte composita, che opera per scomposizioni e ricostruzioni e che scava nella mente. Ma a differenza di una miriade di compositori elettronici (a volerlo inserire a forza in una categoria), sa anche procurare emozioni fortissime.

domenica 16 settembre 2012

Faust'O - Suicidio (1978)


Le note sulla rete che narrano qualcosa dell'epoca sono prossime allo zero, o almeno ad una mia ricerca. Sarei curioso di sapere le reazioni all'epoca in cui la major CGD diede alle stampe Suicidio: che i dirigenti fossero impegnati a curare l'immagine ed il suono del dandy da non accorgersi della cruda violenza delle liriche?
Passi lo scabroso tema della title-track, ma gli atti d'accusa incompromissori di Benvenuti fra i rifiuti, Bastardi, Godi, erano fin troppo espliciti. D'altra parte Rossi è sempre stato così e da giovane la sua filosofia iconoclasta aveva ben poche mediazioni da cercare, così come il suo canto polivalente, incisivo e beffardo.
Musicalmente il disco era figlio dei tempi, ma con una precisa identità: le quasi sempre ottime composizioni erano guidate dal piano, con una solida sezione ritmica, molto synth e pochi interventi chitarristici. E Rossi aveva la vista lunga, con certi passaggi che in qualche modo anticipavano la new-wave in procinto di esplodere.

sabato 15 settembre 2012

Faust - IV (1973)


Nel 1973 i Faust erano ormai a livello di bancarotta, ma nonostante ciò il gruppo si era dilungato oltre il previsto in studio e per completare IV il produttore Nettlebeck fece aggiungere due pezzi che erano stati precedentemente registrati nello studio vicino a casa. Uno di questi fu Krautrock, ovvero lo sberleffo principe di tutta una stagione dorata: immancabilmente uno dei loro capolavori, un tour de force monotonale di 12 minuti con il chitarrista Sosna in evidenza.
Ma il materiale registrato a Londra meritava da morire. IV fu disco appena più accessibile dei precedenti, ma distillava e spargeva il genio faustiano in lungo ed in largo, come in Just a second e Lauft Heisst, esperimenti coraggiosi e ancora oggi impressionanti.
Nonchè il classico lato dissacratorio faustiano che trionfava in Picnic on a frozen river e The sad skinhead, ed il lato melodico capace di inventare arie ispiratissime come Giggy smile e Jennifer.
Ma fu il loro canto del cigno, e se il mondo li avesse capiti prima chissà cos'altro avrebbero potuto fare.

venerdì 14 settembre 2012

Father Murphy - ... And He Told Us To Turn to the Sun (2008)


Non c'è tanto bisogno che mi accodi al coro unanime dichiarante che i FM sono fra le espressioni italiane più originali da almeno 10-15 anni a questa parte; semmai c'è bisogno di ascoltare i loro dischi con estrema attenzione per cercare di trovare il bandolo della matassa, perchè sono complessi ed affascinanti.
Il mood ritualistico e fatalista è il marchio di fabbrica. Le liriche in inglese li rendono un espressione internazionale; non è riduttivo nè meritevole, è che semplicemente viene acclarato per il motivo che tutti e tre hanno vissuto per lungo tempo all'estero.
Il suono è scarno, spoglio: una chitarra spinosa e spesso riverberata, un'organo spesso chiesastico, una batteria irregolare e discontinua, un'alternanza vocale maschile/femminile che gioca a spiazzare. Tutto estremamente arty.
La prima metà di And he told us to turn to the sun è ultra-magnetica, in particolare la greve I sob no more rage e la magnifica Go sinister. Ma tutto sembra appartenere ad un filo conduttore, un gioco d'incastri melodrammatico che spesso esalta le doti creative del trio.

giovedì 13 settembre 2012

Family - Fearless (1971)


La seconda fase dei Family, dal 1971 al 1973, contrassegnata da sound frizzanti e iper-mutanti, meno emotivi ma sempre dannatamante creativi, ebbe in Fearless il suo zenith. La formazione vedeva due new-entries: il talentuosissimo Palmer come asso pigliatutto fra tastiere e fiati e il bassista Wetton che dava anche un contributo vocale al sempre immenso Chappo.
Da parte sua, Whitney, continuava a scrivere le sue mini-sinfonie con maestria e senso melodico progressivo. Il manifesto è Spanish Tide, intrisa di barocco e dal climax rabbrividente.
Mi ha sempre un po' fatto storcere il naso la definizione di soul-rock per la loro seconda fase, ma in parte posso capire: come fare ad etichettare i Family?
E' impossibile.

mercoledì 12 settembre 2012

Fabio Fabor - Pape Satan (1973)


Sembra di capire che più o meno tutti i grandi compositori library erano (mi si passi il termine volgare) impiegati della musica leggera. Ed il pianista milanese Fabio Fabor Borgazzi non era da meno, in quanto autore piuttosto prolifico nel mainstream melodico del dopoguerra italico.
Classe 1920, raggiunta la cinquantina si dedicò alla library con ottimi risultati per tutto il decennio. Il più riuscito a mio avviso è Pape Satan, lavoro oscuro ed inquietante come ben pochi all'epoca potessero essere. Anche in questo caso, vien da chiedersi cosa diavolo potesse sonorizzare.
Fin dalla sincopata apertura di Ad inferos si viene catapultati in un girone spiazzante fatto di droni raggelanti, schizzi astratti di synth, frasi di piano elettrico tutt'altro che rassicuranti, modulazioni elettroniche di varia foggia. Una sorta di lounge dell'oltretomba, che raggiunge livelli allucinatori finanche nei pezzi con percussioni annesse (V Bolgia, Diabolic Love, Caronte).
Un lavoro che magari non è così estremo, specialmente ascoltato con le orecchie di oggi, ma che porta fantasticamente i suoi 40 anni. Ed è anche molto diverso dall'altro capolavoro di Fabor, quell'Aleatoric Piano Collages di un paio d'anni prima.
(N.b. l'immagine è presa a casaccio: apparentemente sul web non esistono immagini d'epoca del soggetto)

martedì 11 settembre 2012

Explosions In The Sky - Friday night lights (2004)


Cosa c'entrino i miei grandi idoli texani col football americano non lo so. Ma tant'è che per un film ambientato proprio ad Austin sulla squadra del college qualcuno ha ben pensato di convocarli per approntare una soundtrack. E resta solo da fare un plauso per la scelta, anche se la pellicola non l'ho vista.
FNL è una sonorizzazione d'atmosfera, quasi esclusivamente priva di batteria, incentrata sui cristallini intrecci chitarristici. A parte le due versioni ridotte ed adattate di Your hand in mine (di cui una con tanto di archi a corredo, tanto per abbellire ciò che non aveva bisogno), sono tutte pieces inedite. Spiccano le arie di From west Texas, Our last days as children, Lonely train sul resto: mi piace immaginarle come outtakes di ciò che andò a confluire sul monumento di The earth is not..., al servizio delle immagini, funzionale, senza orpelli. Un uscita minore nella carriera, ma non qualitativamente.
Ah, dimenticavo che nella scaletta ci sono 3 intrusi che, immagino sempre per motivi funzionali, sono stati inseriti nel film. Il consiglio è ovviamente di skippare per non perdere la magia.

lunedì 10 settembre 2012

Esdem - A latex society EP (2011) + You can't talk about indie-rock EP (2009)

Mossa astuta ed intelligente, quella dei marchigiani Esdem: offrire un proprio sample di 8 pezzi a tutti gli acquirenti di un Blow Up di qualche mese fa. Operazione a fondo perduto che però di sicuro li ha fatti guadagnare in visibilità. Di certo li andrò a vedere se capiteranno dalle mie parti.
L'EP A latex society è indicativo e provoca un fremito con l'iniziale, splendido quadro di spleen solenne della title-track. A vederli nelle foto non sembrano proprio dei giovanissimi, e guardacaso odo un retroterra tardo '90 nel loro sound, che molto ben prodotto si agita fra elettronica ed isolazionismo post-rock, o sul trip-hop come nella robusta Doctor. Tant'è che il primo nome ingombrante che mi viene in mente ascoltandoli è quello dei Radiohead di inizio millennio (il pattern digitale ritmico di Me suffering è quasi uguale a quello di Pulk-Pull Revolving Doors), per l'ossessività e il senso di mistero. Escludendo la voce di Ricci, che invece resta un soffio timido.L'estratto di 4 pezzi dall'album You can't talk about indie-rock invece li vede in veste quasi intimistica, vista la maggior assenza di ritmi e le lenzuolate di synth che dronano incontrastate. Un filo meno interessante della prima metà, ma nulla che infici la volontà di seguirli prossimamente.

domenica 9 settembre 2012

Ensemble Economique - Psychical (2010)


La Not Not Fun di tanto in tanto ci regala qualche bella perla come Psychical, uno di quei dischi ultra-underground di cui qui se ne parla solo sui blog o sui forum, per i pochi carbonari che si sintonizzano su queste frequenze aliene. Oppure sulla singola colonnina di un terzo di pagina su un luminoso Blow Up.
Brian Pyle è componente degli Starving Weirdos (che non conosco, confesso) e va un po' controcorrente alla linea della label, nel senso che la cura del suono è notevole. In quanto a freakitudine invece sta nella media, ma il suo prodotto è molto più interessante. A sintetizzare parecchio, direi che suona come i primi Tangerine Dream buttati giù nella giungla, unitisi ad un ensemble percussivo africano.
Non traggano in inganno cover (che sa tanto di horror primi anni '70) e Forever Eyes, che col suo battito meccanico riporta all'industrial-wave di 30 anni fa. Psychical è un ondata di strati sonori dall'imponenza a tratti opprimente, che aggira qualsiasi banalità cosmica e nonostante tutti i richiami del passato sembra vivere in una dimensione spazio-temporale tutta sua.
Notevole.


sabato 8 settembre 2012

Roger Eno & Peter Hammill - The appointed hour (1999)


La trovata sa un po' di arty-snob, almeno a livello superficiale. La realtà è che quando di mezzo c'è PH per me è sempre tutto oro ciò che luccica. E qui il metallo è prezioso.
Ad ogni modo, la storia è questa: alle 13 del 1° aprile 1999, Eno ed Hammill iniziano a jammare in solitudine in due studi lontani, senza poter comunicare, probabilmente accordatisi soltanto sulla tonica principale da tenere e su qualche struttura esecutiva, per un'ora esatta. Esperimento ardito e con alte possibilità di produrre un pastone informe, ma i due sulla copertina giurano fieramente di non aver aggiunto nessun overdub. Il lavoro è stato assemblato unicamente per sottrazione, vien da pensare: sono stati tagliati i momenti in cui la fusione non funzionava, ed oltretutto alcune dissonanze sono state mantenute.
E' un'ora seria, l'appointed. Non è molto happy ed è oscura, misteriosa, fascinosa. Non conosco la musica di Roger Eno ma le sue pennellate impressionistiche si impastano bene col dna di PH, che periodicamente imbraccia l'elettrica e libera svisate psichedeliche che riportano ai fasti di Modern, anno di grazia 1974.
Il risultato è una soundtrack fosca, dominata da piano e tastiere atmosferiche, con momenti di assoluto splendore (Fools su tutti), che non risente dell'assenza vocale nè di ritmo alcuno. Non rinuncia alla melodia, ma non è ambientale, preoccupa e fa meditare ma sa anche scaldare.
Bellissimo.

venerdì 7 settembre 2012

Brian Eno - Discreet Music (1975)


Se penso ai compositori correnti dediti ad ambient più o meno classica che mi piacciono tanto tanto come Kenniff, Skelton o Kirby, beh, occorre ammettere che sono concettualmente tutti debitori a Brian Eno, che con Discreet music aprì una pista non indifferentemente nuova, seppur piuttosto minimalistica.
La title-track è una mezz'ora abbondante di tappeti levitanti con pressochè nessuna variazione, fatte salve alcune impercettibili impennate sulle note alte del synth. La portata è abbastanza storica e va bene, ma oggi si potrebbe anche ridire sulla qualità effettiva finale.
Ciò che vale veramente l'ascolto ripetuto è costituito dalla ripresa di Three Variations on the Canon in D Major, un'antica composizione classica del 1600 del tedesco Pachelbel, eseguita da tal Cockpit Ensemble. Qui Eno svolge la funzione di direttore destabilizzante, oltre che intrufolarsi con discrezione con qualche effetto, ordinando ai musicisti di cambiare tonalità alternativamente fra gli archi alti e quelli bassi. Al di là della bellezza intrinseca della sinfonia, è molto interessante cercare di infilare le orecchie nel contesto e coglierne le sfumature.

giovedì 6 settembre 2012

Eluvium - Talk Amongst The Trees (2005)


Prima di svoltare temporaneamente sul neo-classico con lo splendido Copia, Cooper ha improntato le sue prime uscite su un ambientale figlio delle escursioni cosmiche dei Labradford e dei quadretti celestiali minimalistici di Basinski, con una maggior propensione ad arrangiamenti aperti, quando non marginalmente sinfonici.
Ricorrendo semplicemente a tastiere e chitarre effettate, con Talk Amongst The Trees Cooper costruisce uno squisito campionario. Il climax viene raggiunto nei 16 minuti di Taken, numero minimalistico che rapisce i sensi, ma sono da non perdere anche i pulviscoli avvolgenti di Show us our homes, One e Calm Of The Cast-Light Cloud.
Dà senso di levitazione.

mercoledì 5 settembre 2012

Elio E Le Storie Tese - Il Meglio Di Ho Fatto 2 Etti E Mezzo, Lascio? (2004)


In uno dei migliori momenti della loro carriera, fra il 2003 e il 2004, gli EELST assemblarono svariati live fra cui questo triplo di cui una versione ridotta era uscita come supplemento di una rivista musicale, se non ricordo male Rockstar.
Ed è immancabilmente uno spettacolo, collage selezionato da diverse location (ce ne si accorge negli sketch fra un brano e l'altro in cui spesso viene citata la città in cui ci si trova), ma con un sentore di fluidità che non lo farebbe pensare, soprattutto per la cura del suono.
Fra le rendition più formidabili cito Cartoni animati giapponesi, Catalogno, Uomini col borsello, Supergiovane, La visione, Ocio ocio. Persino i pezzi più deboli, concentrati sulla seconda fase della carriera del gruppo, riescono ad inventarsi qualcosa di nuovo strumentalmente.
Per tacere poi delle sempre irresistibili gag, che alla fine riescono persino a giustificare le cadute di tono e nel mainstream che con gli anni si sono succedute.

martedì 4 settembre 2012

Elevate - Bronzee (1994)


Come già scrissi riguardo al loro epitaffio The Architect, gli Elevate sono stati a mio avviso un grande gruppo ignoratissimo da tutti. Destino inevitabile peraltro per chiunque, nel Regno Unito, si sia cimentato in un tipo di sound di chiara derivazione yankee-noise-alternativa.
Incendiario e scalmanato, Bronzee è poco inferiore al successivo. Escludendo le digressioni slintiane di Priceless Water e The train journey (con inatteso assolo di banjo nel finale) e la ballad scheletrica di Half painted chair, il complesso è un grumo compatto di math-noise con grande rilevanza riservata all'ottima batteria, una produzione albiniana e muri sghembi di chitarra a tratti impenetrabili.

lunedì 3 settembre 2012

Electrelane - Rock it to the moon (2001)


Non che fosse poi così irresistibile, la proposta delle inglesi Electrelane: strumentali ossessivamente monocordi, in cui il farfisa ha il compito di andare in assolo perenne, con ritmica fluente. Semmai, almeno in questo debutto, sono le esecuzioni ad incuriosire, scalmanate, di una vigoria sorprendente.
Non che una formula così quadrata potesse funzionare per molto, infatti i dischi seguenti hanno visto l'introduzione della voce, ma con risultati sempre inferiori a Rock it to the moon che qualche bel numero lo tirava fuori come Gabriel, The invisible dog, Blue straggler, tanto debitori alla new-wave quanto al garage meno grezzo. Da segnalare anche una variazione sensibile come l'aria pianistica di Many peaks.
Bravine, ma in questo campo gli Stereolab erano di un'altra categoria.

domenica 2 settembre 2012

Mark Eitzel - The invisible man (2001)

Quando uscì, ci furono alcuni scambi di pareri e domande.
Voglia di spiazzare e mischiare le carte? Tentativo di aggiornarsi e superare gli stereotipi? Necessità di risparmiare sui musicisti di supporto?
Ma poi, riascoltando la meravigliosa traccia iniziale, The boy with the hammer in the paper bag, ogni discussione andava in dissolvenza e la stoffa grezza di autore sopraffino di Eitzel vinceva su tutto. La realtà è che Invisible man non è il disco di un cantautore affermato che si chiude in camera e si arrangia col computer in perfetta solitudine, bensì una grande raccolta dell'Eitzel maturo e riflessivo.
Mai sopra le righe, il vecchio Mark, l'agente confidenziale dalla voce calda e confortevole. Sempre disposto ad accogliere gli interrogativi della vita col suo fare disincantato e discreto.
Sempre armato di due manciate di canzoni da conservare gelosamente.

sabato 1 settembre 2012

Einstürzende Neubauten - Die Zeichnungen Des Patienten O.T. (1983)


La serie è: gruppi che avrei dovuto conoscere da una vita ma che per motivi oscuri ho omesso di ascoltare fino ad oggi.
Quindi, Germania non è stata soltanto anni '70; so bene che non basta una sola grande band per illuminare un decennio, ma gli EN sono stati un archetipo devastante per la musica industriale, e senza necessariamente arrivare per primi (Throbbing Gristle e Nurse With Wound direi, a loro modo ovviamente).
Questo secondo loro disco è un inno alla povertà dei mezzi: a fronte dell'oggettistica, del trovarobato utilizzato per inscenare queste saghe del post-atomico (e come non cogliere un passaggio del testimone dai Neu! riguardo all'utilizzo del martello pneumatico?), corrispondeva una clamorosa creatività rumoristica, con il surplus del grande Bargeld allo strumento-voce, nasale e schizofrenico ed inconfondibile.
Ma non solo rumore e terrore: lo dimostra la liturgia sepolcrale di Armenia, che svetta lirica e sanguinante.