A rifletterci, anche all'inizio era una questione di epidermide; le tracce più infuocate erano quelle che ti facevano gridare al miracolo italiano, ma alla distanza erano quelle più meditate a restare impresse nella memoria affettiva.
In Bianco sporco, l'aspetto riflessivo è predominante: matematicamente nei primi dischi erano una netta minoranza, qui siamo ad una metà abbondante e persino le altre non si agitano più di tanto, dando il via ad una mini-fase molto adulta che culminerà in quel piccolo capolavoro chiamato Uno.
Si prenda una rivelazione come Amen, commovente zenith emotivo come forse mai i Marlene erano riusciti a raggiungere, con messe di violini e cori sepolcrali. Alla stessa altezza poi le splendide La lira di Narciso e Il solitario, imperturbabili denudazioni dello spleen godaniano più ripiegato in se stesso.
Sono canzoni, come esattamente ci si è sempre aspettato da loro, canonicamente costruite (sarebbe assurdo aspettarsi rivoluzioni copernicane) con la loro arte radicata da vent'anni, non più urlate e incattivite. A volte le mutazioni capitano anche in corsa: La cognizione del dolore inizia grintosa ma a metà i violini e i cori annebbiano inesorabilmente il campo.
Pazienza se i momenti di stanca o di routine sono disseminati in qua e in là; in un ipotetica antologia qui ci sono almeno 3 pezzi, e non è poco.
Premesso: sono una fan appassionata dei MK dalla prim'ora, forse anche perchè conterranea.
RispondiEliminaSì, qualche pezzo da antologia c'è. Smessi i panni di ribellione dei primi 3 dischi ( inarrivabili) con Bianco Sporco aprono ad una fase più matura e adulta, molto spinta sul cantautorato che culmina con un grande album che è Uno. Dopo, solo noia, ahimè e mi piange il cuore :(
Io vissi Catartica da adolescente e quindi per me valsero parecchio.
RispondiEliminaDopo Uno direi non noia, ma quasi imbarazzo. Però credo che sia fisiologico