Esempio altamente originale di come si possa restare legati alle tradizioni dell'art-rock con un poco invasivo innesto di elettronica, un pizzico di naivetè mescolato alla seriosità tipica di chi è formato classicamente.
Autore ne è un chitarrista di Baltimora fattosi le ossa come compositore di servizio per teatro ed opera, studente di filosofia e scolaro presso l'istituto artigianale di Bob Fripp. Da lì a pubblicare Verse, il passaggio alla Cuneiform è stato un passo quasi ovvio, vista la qualità eccelsa delle 10 tracce che potrebbero anche segnare l'avvio di un ammodernamento della storica ma un po' ingessata etichetta.
Lungi da me meditare su connessioni fra musica e filosofia; mi è inevitabile però pensare a Verse un po' come un saggio modernissimo, una specie di documentario che passa dalle immagini in bianco e nero del progressive alle copertine neutre e scabre della library, dall'electro-folk alle propaggini più talentuose del cantautorato ambient degli ultimi 10 anni. Davvero difficile da descrivere, ma decisamente un capolavoro di grande equilibrio e gusto, che può intrigare un pubblico veriegato.
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