lunedì 1 agosto 2016

Randy Holden ‎– Population II (1970)

Una di quelle storie che potevano accadere soltanto in quegli anni. Una di quelle scoperte (per me) che riconciliano con l'hard-blues, con il proto-stoner, con la chitarra atomica. Holden sbarcò a Los Angeles dalla Pennsylvania in tempo per passare un'anno nei Blue Cheer e suonare in metà di New Improved. Dopodichè li lasciò (zero prove, zero soldi, zero comunicazione addotti come motivi della separazione) ed ottenne la sponsorizzazione della Sunn che gli diede in comodato d'uso una pila enorme di ampli, con cui ottenne il suono gigantesco di Population II.
Un freak, un disadattato, ma un guitar god, la cui storia è assimilabile a Peter Green. Con il batterista Lockheed realizzò questo monumento di lava e mercurio, dopodichè tutti gli voltarono le spalle lasciandolo letteralmente sulla strada, senza un soldo e senza la minima voglia di continuare a suonare per un quarto di secolo.
Ingiustizie che creano miti. Chissà, magari se avesse continuato la sua figura si sarebbe sminuita, ma altri 3-4 dischi su questa scia li avremmo graditi in tanti. Resta questa mezz'ora scarsa di post-blues solo a tratti hendrixiano (Guitar Song), di proto-doom sabbathiano (Fruit & iceburgs), di bombe alla Cream, di pirotecnie alla Blue Cheer primo periodo; ma attenzione, con un pugno di pezzi dalla media compositiva superiore a quasi tutti questi nomi (Sabbath esclusi), un suono da far tremare un palazzo intero ed il virtuosismo di Holden, ingombrante ma miracolosamente intatto nel tempo.

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