martedì 30 aprile 2019

Zu93 ‎– Mirror Emperor (2018)

Un incontro necessario, per entrambe le parti. Tibet che continua a restare giovane cantore e torna alle sue stagioni del folk apocalittico, gli Zu del nuovo corso che scioperano, piaccia o non piaccia (Pupillo suona un basso doom solo in un pezzo, non odo tracce del sax di Mai neanche un attimo, ma potrei sbagliarmi), con la mediazione di Pilia, deus ex-machina musicale del disco con la sua acustica. Non è una somma delle parti, come scritto altrove, bensì un crocevia di tante esperienze diverse che collimano in un concept ininterrotto su questo Specchio Imperatore. Le anime sono sostanzialmente due, quella della ballad agreste-eterea e quella delle pulsioni elettroniche sinistroidi, con i due celli (Serrapiglio e Tilli) decisivi nel punteggiare i momenti più drammatici. Per Tibet non cambierà niente e forse non verrà neanche considerato in madrepatria, ma per gli Zu è un altro centro collaborativo, dopo quello con ESR ed un percorso autonomo incerto. Bellissimo.

domenica 28 aprile 2019

Screams From The List #82 - Various ‎– Pop & Blues Festival '70 (1970)

Davvero, non avrei dato una mezza cicca a questa compilation inerente un festival amburghese del 1970, eppure la List è servita anche a scoprire che in Germania, durante o addirittura prima del grande movimento d'avanguardia, c'è stata ottima musica anglosassone.
La testimonianza di questa rassegna, edita nello stesso anno dalla MCA, consiste in 8 pezzi per 5 gruppi; già scoperti i Thrice Mice (mediocri nel loro rivisitare la classica, qui come nel disco omonimo) e i Tomorrow's Gift (ottima conferma precedente a Goodbye Future, con una vocalist davvero originale nei 20 minuti torrenziali di Sound Of Which), la sorpresa principale consiste nei niciani/emersoniani Frumpy, presenti con due pezzi che evidenziano il funambolico organista francese Kravetz. Completano il quadro due band che non pubblicheranno null'altro in futuro; i Beautique Corporation, con ben 3 pezzi di post-beat di ottima stoffa, e i fragorosi Sphinx Tush, con un pezzo urticante di hard-rock rombante. La registrazione rende giustizia all'evento, rivelandosi molto fedele ed accurata. Musiche sempre giovani.

venerdì 26 aprile 2019

Andy Partridge & Harold Budd ‎– Through The Hill (1994)

Il bizzarro connubio fra Mister HB e Mister XTC, che la storia narra essere frutto dell'idea balzana di un promoter conoscente di entrambi. Altrimenti a chi sarebbe venuto in mente di farlo?
Ma certe volte nella musica, fra teste alte, ci si può intendere anche se si è molto distanti. Anche se non sono un fan degli XTC, riconosco qui la maestria di Partridge di saper arrangiare un insieme di 18 bozzetti dalle atmosfere più svariate, passando dal meditabondo all'allegro, dal sofisticato al giocherellone, dal grigio al giallo sole come se nulla fosse, fino a sfiorare un concetto di vaudeville-ambient. Divertente, per ciascuno, indovinare chi ha scritto cosa; ovvio che per me le tracce migliori siano quelle tendenti al buddismo più cinematico, ma è soltanto in un ascolto ininterrotto che meglio si può saggiare la gradevolezza di Through the Hill, che PS ha liquidato in una riga e con un 4/10...

mercoledì 24 aprile 2019

Sedia ‎– The Even Times (2006)

Secondo ed ultimo cd su Wallace del math-noise-trio anconetano comprendente un giovanissimo Mattia Coletti, due anni dopo l'esordio omonimo. Dissonanze incrociate, ritmi costipati, sincopi in libera successione, su 7 composizioni accuratamente incasinate. Un apparente progressione, dopo due dischi così, sarebbe stata piuttosto ardua a meno di non trasformarsi radicalmente: di fatto i Sedia diedero la stura con furia al ventaglio delle loro possibilità e poi si sciolsero, consci di non poter tornare indietro oppure inconsci, vista la giovane età. Even Times resta comunque un bell'ascolto catartico, per una categoria che era sì datata, ma ancora capace di dare belle, storte, cervellotiche vibrazioni.

lunedì 22 aprile 2019

Dead Kennedys ‎– Plastic Surgery Disasters (1982)

Un razzo lanciato ai 1000 km/h, con la maturità di sapere di essere grandi; questo il secondo album dei DK, con una crescita tangibile soprattutto in East Bay Ray, chitarrista sempre più cesellatore e meno grezzamente hardcore, ma anche nel basso di Flouride, pulsante e puntuale. Un disco meno epidermico di Fresh Fruit, ma più intenso a livello compositivo, registrato meglio e più omogeneo. Crescita che sublimerà soltanto 3 anni più tardi in Frankenchrist, il lavoro art-hardcore che spaccherà il pubblico (e forse anche loro stessi). E che trova le sue tracce migliori alla fine, con Dead End e Moon over Marin.

sabato 20 aprile 2019

Lightning Bolt ‎– Ride The Skies (2001)

Il divertente, esilarante e caotico secondo dei LB, ma in realtà il primo a farli uscire dall'anonimato ed a renderli un piccolo caso nell'underground noise americano. Davvero poca differenza dai successivi Wonderful Rainbow e Hypermagic mountain, che forse furono leggermente più elaborati: Ride the skies è pià che altro furia esecutiva, lobotomia sonora, lavaggio gastrico e schiacciasassi irresistibile. Fra i power-duo più schizoidi li metto una spanna dietro Hella e Usa Is A Monster, per una maggiore ossessività ed un minor eclettismo, ma resta certo che sono un espressione che difficilmente ci dimenticheremo.

giovedì 18 aprile 2019

Can ‎– Horrortrip In The Paperhouse (Live 1972)

Uno dei primi bootleg dei Can anni d'oro a circolare, messo in giro dalla tedesca Mind The Magic, una delle tante che nei primi anni '90 sfruttò un vuoto legislativo internazionale per lucrare su registrazioni inedite, che fossero di qualità o meno. Horrortrip documenta un live a Colonia nel febbraio del 1972, ed ha una qualità medio-bassa, certamente priva di fruscii ma quasi nulla sui toni bassi. Al netto di questo piccolo problema, è uno spettacolo quasi scontato: 10 minuti di Halleluwah, una versione completamente sfigurata di Paperhouse, Spoon dilatata fino a 12 minuti, Bring me coffee or tea portata al parossismo avant, ed un prezioso inedito, il tellurico e baldanzoso Love me tonight. Non è il free-concert coevo e tenuto sempre a Colonia documentato sul DVD del 2003, ma siamo a quei livelli d'intensità.

martedì 16 aprile 2019

King Of The Opera ‎– Nothing Outstanding (2012)

Smessi i panni di Samuel Katarro (e come dargli torto, pochi monickers furono altrettanto sciagurati, ma un errore di gioventù si perdona a tutti), Alberto Mariotti ha colto l'occasione e varato KOTO, di fatto un trio col batterista Vassallo ed il polistrumentista D'Elia, anche co-autore di una metà delle musiche. E non è stato un passaggio puramente formale; dopo quel piccolo capolavoro visionario che l'aveva innalzato rivelazione italiana di fine anni '00, Mariotti ha formalizzato un upgrade stilistico che potrei banalmente definire crescita: via i rusticani excursus post-blues, via le asperità vocali in favore di un canto lineare, trasognato e mai sopra le righe come in passato, dentro 9 pezzi ben prodotti, con arrangiamenti professionali, dentro un lirismo che faceva già parte delle pagine più emotive di The halfduck mistery ma reso più solenne, a tratti tronfio, ma nell'accezione più positiva che si possa dare. Al primo ascolto non mi era piaciuto, al secondo già la storia è cambiata: GD, Nothing outstanding, Heart of Town le vette, a base di una psichedelia che ha preso campo, che suona classica all'istante, per quanto Mariotti non inventi nulla che non sia il suo stile personale.

domenica 14 aprile 2019

Aerial M ‎– Aerial M (1997)

Un disco al quale sono molto legato affettivamente, di cui comprai il cd dal Pig verso la fine della naja. Trattasi del primo solista di David Pajo, che dopo le prodezze slintiane aveva militato precariamente nei Tortoise e nei For Carnation. Pur non inventando nulla di nuovo, Aerial M resterà la sua migliore espressione, dato che in seguito ripiegherà su un cantautorato non irresistibile per poi riprendere a saltare da un gruppo all'altro.
Il bello di Aerial M è che sembra un'auto-citazione di tutti i gruppi in cui era stato il texano, a ribadire la creatività, il peso e l'importanza. Rachmaninoff e Skrag Theme sembrano prelevate di peso da Spiderland, sintesi degli psicodrammi e delle arie rarefattissime di quell'immenso capolavoro. AASS, Dazed And Awake e Always Farewell ristabiliscono le arie austere e serene del primo Tortoise, nonostante all'epoca Pajo non fosse della partita. Il focus centrale del disco resta comunque il chitarrismo sognante, pigro ed evocativo, al di là del songwriting: era un cantautorato post-rock strumentale di gran classe, e fu un peccato non essere in grado di ripetersi.

venerdì 12 aprile 2019

Mogwai ‎– Kin Original Motion Picture Soundtrack (2018)

Non ripetono il miracolo di Les Revenants, ma non deludono neanche in questa quarta soundtracks maggiore (o esclusiva) i Mogwai; sono passati 5 anni dalla serie francese con cui realizzavano un exploit inaspettato, e da allora sono passati due album ufficiali (più che dignitosi) e l'abbandono di uno dei fondatori, il chitarrista John Cummings. Segnali che potrebbero nascondere qualche incrinatura? Può darsi, ma gli ex-ragazzi sembrano saldi e si danno alla fantascienza, per la pellicola Kin, e fanno un servizio espanso, introspettivo come loro sanno fare, con qualche pieno galattico, le linee di piano a condurre (ancora Burns motore principale) e la solita capacità magnetica di stregare e lasciare campo all'immaginazione. Non so se vedrò il film, ma questa categoria resta la mia preferita della loro fase anta-something.

mercoledì 10 aprile 2019

Swell ‎– ...Well? (1992)

Il secondo disco dei californiani, autoprodotto come l'esordio ma con una registrazione perfetta ed intelligente, alla vigilia dell'approdo su major con 41. All'epoca il gruppo era il quartetto originario, col secondo chitarrista Dettman, un elemento chiave che andrà perso con qualche rimpianto, anche se magari poteva non essere decisivo in chiave compositiva. Freel appariva invece come un anello marginale del suono, visto il suo canto sottovoce, monotono e quasi impalpabile, mentre un'altro protagonista era il batterista Kirkpatrick, uno di quelli intelligenti che calibra le progressioni con estrema ratio ma quando si libera dimostra sempre il suo valore.
In sostanza, gli Swell qui appaiono all'apice della loro parabola, impegnati in quella felice disarmonia fra recupero delle radici ed il suono dei college, un incrocio che in quegli anni in America troverà altre espressioni degne di ricordo (Grant Lee Buffalo su tutti). In Well? oltretutto le composizioni sono praticamente tutte valide, con le punte di At Long Last, Down, The Price e Suicide Machine. Avevano già la stoffa e la maturità per sfondare, e l'avrebbero meritato, canto a parte.

lunedì 8 aprile 2019

Nurse With Wound ‎– ? (2012 - Live 2010)

Cd-r venduto in occasione dei live italiani del 2012, e poi riemerso l'anno scorso con un'altra grafica come cadeaux ad un numero imprecisato di clienti. Immortala un'esibizione in quel di Londra nel Maggio 2010, in occasione di uno strano 25ennale di Current 93. Nonostante il basso profilo (e l'inconsistenza del rilievo che possa avere qualsiasi delle uscite di Stapleton degli ultimi 10 anni, ovvero da quando ha rotto ogni forma di argine), si tratta di una prova eccellente e testimonia il magnetismo palpabile che deve esser stato trasmesso al pubblico. 
Sul palco il quartetto di Stapleton, Potter, Liles e Waldron, più la guest vocalist Lynn Jackson, portatrice di un breve ma seducente cameo. Il set, della durata di quasi un'ora, tratta un'ottima ambient abstract-illusionistica tendente al grigio scuro (affine a Spiral Insana), mai minacciosa e compattissima fino ai 2/3 del percorso, quando i droni si sfaldano, un treno ritmico inizia a far tremare tutto attorno, una space-guitar si libra delirante ed il corno rinforza la sarabanda.

sabato 6 aprile 2019

Stars Of The Lid ‎– Music For Nitrous Oxide (1995)

Stelle atto primo, senza alcun compromesso. Un lavoro ad alto tasso dronico, molto distante da ciò che svilupperanno soltanto un paio d'anni dopo, dalle raffinatezze evanescenti di cui saranno capaci. Wiltzie e McBride, forse ancora influenzati dalle musiche che li circondavano / del loro giro (Labradford, Windsor For The Derby) pervenivano a questa formula chimica sulfurea in cui far distendere le loro sei corde con circospetto fragoroso. Con lunghezza già chilometrica ed infinita calma, raggiungevano depressioni abissali e risalivano celestiali, con la velocità con cui si muovono le montagne, ovvero ere geologiche. Musiche che sfidano il concetto di tempo, che sondano fondali minacciosi ma sanno anche concludere con una Goodnight in chiave positiva, quasi un preludio ai felici sviluppi della loro carriera, contraddistinta da una solenne serenità più affine alle loro corde.

giovedì 4 aprile 2019

You May Die In The Desert ‎– Co-Pilots (2005) + Patient Glaciers 7" (2017)

I due attuali estremi della risicatissima e discutibile discografia del trio di Seattle. Ai tempi della fondazione e della registrazione di Co-Pilots, Salter e Woods si arrangiavano con una drum-machine curatissima e sofisticata, ed avevano già forti attributi da mettere in mostra, dal punto di vista tecnico. Lo stile era quello un po' più giocoso e meno muscolare del LP d'esordio Bears in the yukon, sul quale confluirà la qui presente The writer's audience is fiction, piccolo gioiello explosionsiano in fast forward. L'influenza del quartetto texano è evidente per tutta la cassetta ma appariva chiaro che si trattava di un evoluzione soprattutto in chiave ritmica. Sull'eccezionale Harmonic Motion di 3 anni dopo appariranno versioni opportunamente rielaborate di In Case I Should Die e Let's have sarcasm for breakfast, che qui riescono comunque a fare la loro sporca figura prima dell'arrivo del piccolo grande drummer Mike Clarke. Un demo di gran lusso, in sostanza.
L'apparizione del 7'' Patient Glaciers, all'improvviso, due anni fa, è stata un piacere perchè significa che dopo tutto il trio è ancora vivo, e fa sorridere vederli dichiarare in un intervista non abbiamo più tanto tempo come una volta, ma siamo pieni di progetti e di idee da mettere in pratica. E' anche per questo che mi sono incredibilmente simpatici, i ragazzi: hanno pubblicato n. 25 pezzi in 14 anni, fanno qualche concerto e non sbrodolano perchè non fa parte del loro pensiero. I due pezzi sul vinile sono più o meno quello che mi potevo aspettare, il solito post-math-epic che non inventa nulla ma è di copyright inconfondibile, quel mix di forza e bellezza che mi conquista anche quando tutto il mondo si è voltato da altre parti. Forza YMD, datecene ancora un po'.

martedì 2 aprile 2019

Groundhogs ‎– Who Will Save The World? The Mighty Groundhogs (1972)

Incastonato fra il grande Split e il contrastante Hogwash, questo autoironico pezzo di vinile con tanto di art-work di fumetteria è un'altro vertice delle Marmotte di Tony McPhee, l'ultimo col batterista fondatore Pustelnik. La ricetta era sempre la solita, ma infallibile: blues-rock tipicamente british altamente evoluto, caracollante e con delle trovate semplici ma geniali. Fantastiche le progressioni di Music is the food of thought, Bog Roll Blues e Wages of peace. A giustificare il termine blues-prog col quale di solito vengono spacciati, le incursioni di flauto e mellotron sparse che sono sempre molto gradite e funzionali.
Un suono che meglio di così non poteva invecchiare.