domenica 25 aprile 2010

Swell - 41 (1994)

Fra le bands protagoniste del rinascimento acustico americano dei primi anni '90 gli Swell erano probabilmente una di quelle con maggior potenzialità commerciale. Non a caso 41 fu il loro debutto su major dopo qualche disco molto promettente e non mancavano i pezzi destinati alla programmazione radio dei college, come gli accattivanti Forget about Jesus, Smile my friend, Here it is o Fine day coming; i tre californiani in queste sedi davano il meglio delle loro vivaci doti melodiche fatte di ritmiche sghembe e chitarre acustiche di sostegno disturbate da rasoiate elettriche, nonostante una voce timida e di poco sotto la soglia dell'udibile come quella di David Freel. Il loro sound poteva ricordare per certi versi quello dei Grant Lee Buffalo spogliato di qualsiasi velleità teatrale o da qualsiasi enfasi interpretativa. In questo senso gli Swell sono sempre stati un gruppo molto umile nelle intenzioni e nei risultati, ma molto determinato nella ricerca di un successo commerciale che dopotutto non credo sia arrivato soddisfacente.
Non mi hanno mai fatto impazzire a parte qualche pezzo sparso in giro per i dischi, in 41 ce ne sono due: Song Seven, che è la miglior sintesi di mix agreste-rumoristico che possano aver elaborato e lo splendido atmosferico It's time to move on, con una sequenza di accordi che avranno fatto un invidia terribile al miglior Neil Young.
Peccato che siano solo due oasi in un disco che nel suo complesso non entusiasma fra ripetizioni e riempitivi (davvero bizzarra l'idea di registrare l'ultima traccia con le liriche dei pezzi lette a bassa voce...)

(originalmente pubblicato il 20/05/08)

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