Un anno dopo il varo del progetto, Plotkin rilanciava anche col nome: da spacca-atomi a spacca-fantasmi, per un vortice ancor più azzardato, un punto di non ritorno che infatti segnò la fine di questo lato sardonico ed impazzito del chitarrista; di lì a poco avrebbe fondato il più grande gruppo doom della storia.
Svariate soluzioni pervadono Phantomsmasher, che si lancia con un inedito glitch-grind, un elettro-metal per androidi, abrasivo ma persino raffinato a tratti (le linee chitarristiche pulite, dal gusto vagamente avant-wave), un art-core venato di follia digitale. Dopo qualche ascolto molti punti restano irrisolti: ma dove voleva arrivare Plotkin? In un bilancio complessivo, forse un filo inferiore ad Atomsmasher, ma che coraggio...
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