Uno dei dischi più ignorati di Jesu, e parzialmente bocciato persino da Broadrick stesso, che in un intervista lo dichiara un'esperimento non esattamente riuscito come pensava di poter realizzare. Si tratta di una suite di 50 minuti in cui condensa i concetti fino a quel momento brillantemente espressi sui primi due album, mentre lui lo ha elaborato pensando ad una cosa proggy (!).
Mi chiedo cosa avesse in mente di sviluppare, dato che per me invece si tratta di uno dei suoi massimi capolavori; 50 minuti emozionanti, che si articolano su 4-5 temi principali, concatenati ma non ossessivamente ripetuti. Una breve partenza elettronica, una seconda serrata dream-gaze con doppia cassa, poi un rallentamento parziale, un rapidissimo excursus godfleshiano con growl, un emotivo bridge e poi lo stop.
E' il sogno; un riff sospeso nel vuoto che trasporta in un'altra dimensione. Qui Broadrick tradisce una grande influenza fino a quel momento pressochè insospettabile, che poi diverrà assodata su Ascension: i primi Red House Painters. E' l'inizio della fase slow-core di Infinity, che si dipana per 16 magici minuti. Gli ultimi 10 invece sono la fase ambient, con le scorie chitarristiche che si stratificano una sopra l'altra, su cui mi immagino Mark Kozelek che ascolta compiacente e benedice, pensando, bello, avrei voluto farlo io.
Beh, se questo è Broadrick-progging, prog sia. Ed è chiaro che l'esperimento non si ripeterà, perchè ha ben altro per la testa. Ma Infinity è una delle sue vette, e non m'importa se lo penso solo io.
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