E' giunta l'ora per me di rivalutare un disco che all'epoca non ripagò adeguatamente la lunghissima attesa. Erano infatti passati ben 12 anni da quello che restò il suo insuperabile capolavoro, ed in quel lasso di tempo DS aveva fatto qualsiasi cosa non fosse un album solista, in ordine sparso: la dissimulata riunione dei Japan, gli esperimenti ambientali con Holger Czukaj, qualche tour autocelebrativo, la discussa e controversa avventura con Fripp, e forse altro che non ricordo e non ho voglia di andare a scovare. Dead bees on a cake comparve con sembianze di grande speranza, ma in realtà, ad una manciata di anni dall'irreversibile metamorfosi del nostro, rappresentò un enorme compromesso fra le meraviglie passate (I surrender, Thalhiem, Cafè Europa, The shining of things), spiccatissime derive ethno-world, sofisticazioni di lusso quasi salottiero, e persino una sfuriata free-jazz. Un album molto ma molto eterogeneo, quasi incasinato se non suonasse come un insulto alla classe sylvianiana. Non diventerà un capitolo molto amato per i fans, ma merita una ripresa anche soltanto per il poker sopra citato, una sorta di testamento di ciò che aveva rappresentato negli anni '80, lasciando aperti grandi interrogativi su quello che sarebbe stato il filone esplorativo di lì a venire. Che nessuno potè prevedere, in ossequio ad uno spirito inquieto e nomade com'è sempre stato.
lunedì 30 maggio 2022
David Sylvian – Dead Bees On A Cake (1999)
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Cult Music,
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