domenica 12 dicembre 2010

Keiji Haino - A challenge to fate (1995)

Questo è un artista che devo approfondire, anche se non dev'essere facile orientarsi visto che è effettivamente 30 anni che KH pubblica musica e oltretutto a valanga. Qualche anno fa approcciai questo A challenge to fate, che uscì in un momento in cui se non ricordo male veniva citato dai Sonic Youth come una specie di icona.
Occorre più di un ascolto per capirlo, almeno in questo capitolo. Tornandoci sopra con insistenza, comprendo meglio molte cose. Come altre mosche bianche giapponesi, KH è un artista a sè, un chitarrista improvvisativo. Ci sono veri e propri banzai rumorosissimi (Not beginning, The born one, You who will...) in cui le distorsioni maniacali e la vocalità schizoide incutono vero timore.
Ci sono conati orrorifici (First, Second, Third blackness) che sembrano incroci fra le urla di un lottatore di sumo, barriti di elefante e rantoli di chissà quale bestia alterata.
Il meglio di sè KH lo dà quando si tranquillizza, stacca il distorsore e va in trance. What stalking fate è un trip surreale per arpeggi inquietanti e voce estatica/angelica. My only friend, Become one hanno una serenità ancestrale, quasi da levitazione. Appena appena più marziale The curse that..., con i riverberi chitarristici a stratificarsi fino alla catarsi, un suono davvero affascinante.
Ed il finale quasi new age di Affection, col suono acuto di un triangolo (?) che scandisce un tenue coro gregoriano per circa dieci minuti. Sì, occorre approfondire con qualcos'altro.

Keiji Haino - A challenge to fate (1995)

1 commento:

  1. Il re dell'improvvisazione nipponico fu Mizutani Takashi (Les Rallizes DéNudés). Da recuperare sicuramente. Suono fangoso, discografia torrenziale: urge uno studio preparatorio prima di immergersi (vale la pena, il rock giapponese pullula di perle misconosciute)

    G.C.

    RispondiElimina