Gli australiani feedtime hanno il pregio, sul finire degli anni Ottanta, di aver riportato il rock ‘n’ roll alle sue forme strutturali elementali.
Come nell’affinazione dell’oro i vari scarti di lavorazione vengono trattati per riottenere il metallo nella sua purezza, così il power trio di Sidney ricetta cascami di voodoobilly, noise, blues e garage-punk e li precipita in decine di brucianti episodi sonori di intatto splendore.
Nel monumentale esordio i Nostri (Tom, Al e Rick, batteria, basso, chitarra - niente cognomi) rivelano da subito la loro potente alchimia che smantella decenni di scorie, compromessi, trucchi ed artifici. Si riparte dal grado zero: inizio e chiusura del cerchio sono due classici gemelli, Ha ha e I wanna ride, in cui le percussioni basiche, il gloglottìo del basso, la sei corde catarrosa e un frontman abrasivo organizzano un muro di suono inaudito sin dai tempi degli MC5 (Mandead, Southside Johnny); anche quando sembrano rallentare (All down, Doesn’t time fly) in realtà la potenza resta sottesa e minacciosa.
Il successivo Shovel li riconferma ad altissimo livello: assieme a tirate supersoniche (Mother, More than love, Nice, Shoeshine shuffle) trovano posto episodi meno frenetici (Fractured, Rock ‘n’ roll, Baby baby) e persino, in Curtains, il suono d’un sassofono. Dopo un album di cover, Cooper S, in cui terremotano Rolling Stones, Ramones, Slade, esce l’ennesima sfuriata, Suction. Defezioni e riunioni partoriscono, sette anni più tardi, Billy, non indegno della vecchia gloria. Ancora attivi in concerto non hanno però registrato più nulla, dimostrando, anche qui, un’ammirevole essenzialità.
Di loro resta questa manciata di reperti, schegge di pietra lavica ripulite dalla canicola dei deserti australiani.
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