lunedì 4 aprile 2011

Pontiak - Sea Voids (2009)

Davvero difficile per me scegliere un disco su cui appuntare impressioni, da parte degli ormai ben consolidati (nell'underground, come si diceva una volta...) Carney bros. Sarebbe stato abbastanza ovvio pescare fra i due colossi Maker e Living, ma in realtà ho ripiegato su questo episodio che soltanto superficialmente potrebbe essere definito interlocutorio.
Sea Voids non è nè un album, nè un EP. Dura 30 minuti ed è esaltante come praticamente tutte le uscite. Se non altro, c'è quello che ritengo essere il loro capolavoro, World Wide Prince. Un mantra ipnotico ad onde modulari, dai bassi stordenti di Jennings, che a più riprese sembra annunciare un esplosione che non arriva mai. Soltanto nella fase centrale c'è un breve, spacey e solenne assolo di Van, e alla fine l'ispessimento del volume porta ad una mega-rullata di Lain che suggella il tutto.
A parte questo, è comunque un'altra fase di ricerca. Allo stesso modo degli amici e compagni di scuderia Arbouretum (davvero splendido il nuovo), è uno scandagliare stili vecchi come il cucco e metterci il fatto proprio, una cifra stilistica che finisce per diventare una dote personale, unica e quasi inconfondibile.
Il rombo rintronante di One ton one kilo, la muraglia solenne di Shot in the alarm, la letargia sospetta di Feeding, evidenziano anche una voglia di giocare coi ritmi (e forse Lain è il vero protagonista del disco, in questo senso). Dopo un paio di passabili episodi acustici, il gran finale è dedicato al folle deragliamento cosmico della title-track, con Van in grande evidenza.
Dopo averli visti live un anno fa, la mia stima per loro non ha fatto altro che crescere.

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