Il primo disco senza Suzuki, e in barba a tutto e tutti i Can proseguirono il loro lungimirante percorso avanti anni luce senza fare una piega, nonostante la perdita dell'iconico vocalist.
Ricordo un video promo di Dizzy Dizzy, con un Karoli in capello corto, violino e intento a sussurrare con timidezza sul microfono. C'era anche uno Czukaj che suonava coi guanti di lattice, se non sbaglio. Ma la cosa importante è che con Babaluma i Can ebbero una svolta coraggiosa e determinata, dove ovviamente le parti strumentali sono il nocciolo della questione. E' un disco molto più di Karoli, che non soltanto sviolina a destra e manca ma svisa con la sua Strato svolazzando come un papero impazzito. E' un disco molto meno di Leibezeit, che sembra starsene in disparte, con i suoi spunti che faticano a farsi notare. Ma si sa che i Can furono sempre un'unità ben definita e coesa, per cui questo venne così punto e basta. L'opening track sopra citata è fondamentalmente un reggae psichedelico soffuso e meditato con le linee di Czukay in pieno delay; Splash è un jazz-rock esotico, con Karoli padrone della scena col violino fuzzato.
Il lato B invece si dedica fondamentalmente alla creazione di una proto-techno ante-litteram: la sincope iniziale di Chain reaction di ciò si occupa, pur lasciando qualche spazio ad uno sgraziato space-glam a mo' di scherzo. Gli armonici risonanti all'inizio di Quantum physics creano una situazione di tensione opprimente, che sembra preludere ad un esplosione che in realtà non avverrà mai; rimane infatti una personalissima versione dei corrieri cosmici piegata su sè stessa, ridotta in pulviscolo atmosferico che uccide il disco. Ho tralasciato il tonfo di Come sta la luna, che non sembra entrarci molto col contesto, dal melodismo forzato alla ricerca delle famose inflessioni suzukiane, fallendo in pieno. Ma è solo l'unico neo di una delle meraviglie della galleria Can.
(originalmente pubblicato il 07/10/09)Ricordo un video promo di Dizzy Dizzy, con un Karoli in capello corto, violino e intento a sussurrare con timidezza sul microfono. C'era anche uno Czukaj che suonava coi guanti di lattice, se non sbaglio. Ma la cosa importante è che con Babaluma i Can ebbero una svolta coraggiosa e determinata, dove ovviamente le parti strumentali sono il nocciolo della questione. E' un disco molto più di Karoli, che non soltanto sviolina a destra e manca ma svisa con la sua Strato svolazzando come un papero impazzito. E' un disco molto meno di Leibezeit, che sembra starsene in disparte, con i suoi spunti che faticano a farsi notare. Ma si sa che i Can furono sempre un'unità ben definita e coesa, per cui questo venne così punto e basta. L'opening track sopra citata è fondamentalmente un reggae psichedelico soffuso e meditato con le linee di Czukay in pieno delay; Splash è un jazz-rock esotico, con Karoli padrone della scena col violino fuzzato.
Il lato B invece si dedica fondamentalmente alla creazione di una proto-techno ante-litteram: la sincope iniziale di Chain reaction di ciò si occupa, pur lasciando qualche spazio ad uno sgraziato space-glam a mo' di scherzo. Gli armonici risonanti all'inizio di Quantum physics creano una situazione di tensione opprimente, che sembra preludere ad un esplosione che in realtà non avverrà mai; rimane infatti una personalissima versione dei corrieri cosmici piegata su sè stessa, ridotta in pulviscolo atmosferico che uccide il disco. Ho tralasciato il tonfo di Come sta la luna, che non sembra entrarci molto col contesto, dal melodismo forzato alla ricerca delle famose inflessioni suzukiane, fallendo in pieno. Ma è solo l'unico neo di una delle meraviglie della galleria Can.
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