lunedì 23 maggio 2011

Saxon Shore - It doesn't matter (2009)

Inizia con un bel giro di piano riverberato, Nothing changes. L'educato svolgimento ricorda le parti più morbide dei primi Mogwai, così come il crescendo fino all'assordante esplosione noise. Ovvero, i luoghi comuni più facili e prevedibili.
Il quintetto americano (componenti misti da più stati) cerca di trovare il suo spazietto con una buona preparazione di fondo e tanta voglia di emozionare. E gli storici scozzesi sono un punto di riferimento anche nel passo marziale di Thanks for being away, più simile alle cose degli ultimi 7-8 anni. Ma nella parte centrale del disco hanno la forza di tentare la mescola delle carte, e subentra una venatura shoegaze quasi inaspettata (This place, con una guest vocalist non proprio fenomenale), quando non squisitamente wave-4AD (Bar clearing good times), o simile ad una versione post-rock dei Piano Magic (Tokyo 4:12 a.m.).
Non mancano momenti molto suggestivi, come le elegie cameristiche di Goodnight so long e Small steps, o lo slow-core spaziale di What keeps us up. Peccato però che non manchi neanche una bruttura imbarazzante come Sustained combustion....
Ma tanto siamo alle solite: i Saxon Shore sono riservati esclusivamente ai fanatici del settore e faranno molta fatica a trovare consensi critici.

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